CINZIA BALDINI, scrittrice,ROMA
Racchiudere nel grembo di una trama "più frivola", più leggera, meno angosciante un vero e proprio giallo che prende e intriga più di quanto ci si possa aspettare perchè inatteso, tragico, triste e attuale, è un vero e proprio scacco matto al lettore più esigente.
Il romanzo mi ha malinconicamente spiazzata proprio perchè mi ha ricordato un periodo della vita bellissimo: quello che va dall'adolescenza alla giovinezza.
E' stato bello ritrovarmi, anche se in un'altra città e non a Bari, nei modi di vestire, di uscire, di cantare e ballare dei tuoi protagonisti. In fondo la società odierna non ha portato nulla di nuovo in quanto noi una “globalizzazione” giovanile e nazionale l'avevamo già avuta. Eravamo giovani tutti allo stesso modo con qualche licenza in più al nord ma anche noi del centro e del sud ce la battevamo alla grande!
Emozioni vive, forti, pulsanti forse proprio perchè vissute in prima persona ed ora assopite dallo scorrere dell'esistenza ma che, quasi come al suono della carica del settimo fanteria degli yankee si sono affrettate tutte a tornare alla mente e a spingersi per farsi strada e uscire allo scoperto per leggersi nei tuoi paragrafi.
Diciamo che dopo qualche momento di riflessione e di ricordo è arrivata, attesa, la malinconia per quel mondo che ora non c'è e non ci sarà mai più e non solo perchè è impossibile tornare indietro nel tempo ma perchè proprio il mondo è cambiato. Non esiste più il piacere delle piccole cose, la gioia di ritrovarsi, di godere assieme del tepore del sole, di riscoprire il valore dell'amicizia, di quell'affetto fraterno che univa grandi e piccini e del rispetto enorme che si portava agli anziani (a loro volta portatori di saggezza e muse di un tempo ancora più lontano, memoria storica di ogni famiglia/popolo/nazione) e alla vita in generale.
E proprio per dirla con il Leopardi, anzi rivedendo e correggendo il suo verso per adeguarlo al tuo lavoro: Il naufragar m'è stato dolce in questo mare...
Ottima la scelta, direi magistrale, di far intrecciare la storia di Michele, Francesco, Milly, Cinzia, Siranoush, Il Rosso e compagni con l'altra storia di Enza/Arina/Arax (o le altre mille donne da lei inventate per stordire e dare sollievo alla sua anima violata e obliare la vendetta consumata nell’odio più feroce).
La storia degli Armeni al pari di quella dei Nativi Americani è triste tanto quanto quella degli ebrei solo che i primi non hanno uno stato ricchissimo che ne finanzia il ricordo o appoggi mondiali che li aiutino a denunciare le soverchierie che ancora oggi subiscono dai Turchi e il martirio al quale uomini, vecchi, donne e bambini della loro etnia vengono sottoposti.
Mi sono molto piaciuti tutti i preparativi per il concerto dei Cannibals e dei Virus e l'arrampicarsi sui muri di Nino per trovare la location e inventarsi il suo lavoro di Agente.
Particolare e curata, approfondita psicologicamente da maestro, la parte del piccolo Mariolino che pur nella sua apparizione di protagonista secondario entra nel cuore e ci rimane fino alla richiesta dell’appuntamento alla ragazzina “amata” dove la sua santa ingenuità fa sorridere e commuovere e ci accommiata simpaticamente dalla sua figura.
Mariolino lo amiamo insieme.
Cara maestra Angelini!
Avevo capito dalle parole dell'autore che descriveva una figura vera e alla quale era affezionato ma pensavo che fosse perchè ai nostri tempi le maestre erano più che altro seconde mamme e le si amava come tali, scoprire che invece era proprio sua madre spiega la sensazione di amore e affetto che si leggono tra le righe.
GABRIELLA BENEDETTO, BARI
Ho letto questo libro e per me ha rappresentato un tuffo nel passato.
Mi ha riportato alla memoria personaggi, luoghi, canzoni ormai dimenticati.
Mi ha fatto scoprire l'esistenza di un villaggio profughi Armeno situato
in via Amendola di cui non conoscevo l'esistenza.
Penso di rileggere presto questo libro per approfondirne ancora meglio la conoscenza.
Consiglio a tutti la lettura di questo libro.
Gabriella Campione, BARI
"Un romanzo che vorresti che non finisse.
Un romanzo che ti prende per mano e ti fa vivere le emozioni di un gruppo di adolescenti
che hanno un prezioso denominatore comune,una comune Identità: i cortili,le strade,le voci,i volti,
gli odori dello stesso quartiere,la musica e i sogni degli anni 70.
Un romanzo che si fa sempre più intrigante e complesso man mano che
le pagine scorrono e le vicende personali acquistano ampio respiro intrecciandosi
con le pieghe volutamente nascoste del passato del popolo armeno
Un romanzo a cerchi concentrici che, partendo dalla periferia
ti sospinge a riflettere sui grandi temi della Storia .
Francesca Quarto, BARI
Un libro da conservare tra i più cari, perché sembra nel capitolo 20
che lo scrittore sia entrato in casa mia.
Due lacrime scendono ogni volta che rileggo quel capitolo.
Cogliere l'animo e la vita di tutti noi piconiani
di quegli anni e non solo è un grande merito dello scrittore.
Francesco Campione, Monza
Non tutti forse lo sanno, ma nella storia di Bari, a partire dal Medioevo,
si è stabilito un legame importante con la comunità armena,
di cui parla il romanzo.
Il libro coglie anche felicemente 'quadri' di vita popolare di Picone
e non solo (c'e anche il quartiere confinante di Carrassi) soprattutto
nei ritratti dei ragazzi che appaiono veramente genuini, forse più di quelli di oggi.
E poi il racconto delle periferie, allora estese, la campagna che circondava la città
e permetteva a noi ragazzi di allora di non averne paura e viverla
piuttosto come spazio di gioco e amicizia con semplicità,
si ricordi fra tutte le partite fra quartieri al mitico campo Fasulo...
Tina Rausa, Bari
Guglielmo Campione, con questo romanzo ,ci riporta indietro nel tempo
con grande maestria, sia nel raccontare fatti storici che nel far rivivere
emozioni, in noi ragazzi degli anni 70.
Il tutto gira intorno alla musica ..
luoghi, momenti, minuziose descrizioni di particolari riaffiorano
nella mia mente durante la lettura, coinvolgendomi.
Insomma un poeta, che descrive il tempo e l'anima dei protagonisti,
che, agli occhi del lettore, diventano persone viventi e presenti.
MARTINA OTTAVIANO, Bari
Questo è un romanzo che si lascia leggere, leggero, scorrevole
e avvincente che mi ha permesso di conoscere la storia del mio
quartiere, di quei luoghi che frequento ogni giorno senza sapere
cosa hanno rappresentato per la generazione degli anni 70
che ne ha fatto la storia
Un romanzo che dona identità ai luoghi e riafferma quelle vicende
storiche, spesso dimenticate, di cui Bari è stata protagonista
La penna di Guglielmo Campione, vincitore del Premio
Letterario Città di Castello, è come un tocco di plettro di rock anni 70.
Racchiudere nel grembo di una trama "più frivola", più leggera, meno angosciante un vero e proprio giallo che prende e intriga più di quanto ci si possa aspettare perchè inatteso, tragico, triste e attuale, è un vero e proprio scacco matto al lettore più esigente.
Il romanzo mi ha malinconicamente spiazzata proprio perchè mi ha ricordato un periodo della vita bellissimo: quello che va dall'adolescenza alla giovinezza.
E' stato bello ritrovarmi, anche se in un'altra città e non a Bari, nei modi di vestire, di uscire, di cantare e ballare dei tuoi protagonisti. In fondo la società odierna non ha portato nulla di nuovo in quanto noi una “globalizzazione” giovanile e nazionale l'avevamo già avuta. Eravamo giovani tutti allo stesso modo con qualche licenza in più al nord ma anche noi del centro e del sud ce la battevamo alla grande!
Emozioni vive, forti, pulsanti forse proprio perchè vissute in prima persona ed ora assopite dallo scorrere dell'esistenza ma che, quasi come al suono della carica del settimo fanteria degli yankee si sono affrettate tutte a tornare alla mente e a spingersi per farsi strada e uscire allo scoperto per leggersi nei tuoi paragrafi.
Diciamo che dopo qualche momento di riflessione e di ricordo è arrivata, attesa, la malinconia per quel mondo che ora non c'è e non ci sarà mai più e non solo perchè è impossibile tornare indietro nel tempo ma perchè proprio il mondo è cambiato. Non esiste più il piacere delle piccole cose, la gioia di ritrovarsi, di godere assieme del tepore del sole, di riscoprire il valore dell'amicizia, di quell'affetto fraterno che univa grandi e piccini e del rispetto enorme che si portava agli anziani (a loro volta portatori di saggezza e muse di un tempo ancora più lontano, memoria storica di ogni famiglia/popolo/nazione) e alla vita in generale.
E proprio per dirla con il Leopardi, anzi rivedendo e correggendo il suo verso per adeguarlo al tuo lavoro: Il naufragar m'è stato dolce in questo mare...
Ottima la scelta, direi magistrale, di far intrecciare la storia di Michele, Francesco, Milly, Cinzia, Siranoush, Il Rosso e compagni con l'altra storia di Enza/Arina/Arax (o le altre mille donne da lei inventate per stordire e dare sollievo alla sua anima violata e obliare la vendetta consumata nell’odio più feroce).
La storia degli Armeni al pari di quella dei Nativi Americani è triste tanto quanto quella degli ebrei solo che i primi non hanno uno stato ricchissimo che ne finanzia il ricordo o appoggi mondiali che li aiutino a denunciare le soverchierie che ancora oggi subiscono dai Turchi e il martirio al quale uomini, vecchi, donne e bambini della loro etnia vengono sottoposti.
Mi sono molto piaciuti tutti i preparativi per il concerto dei Cannibals e dei Virus e l'arrampicarsi sui muri di Nino per trovare la location e inventarsi il suo lavoro di Agente.
Particolare e curata, approfondita psicologicamente da maestro, la parte del piccolo Mariolino che pur nella sua apparizione di protagonista secondario entra nel cuore e ci rimane fino alla richiesta dell’appuntamento alla ragazzina “amata” dove la sua santa ingenuità fa sorridere e commuovere e ci accommiata simpaticamente dalla sua figura.
Mariolino lo amiamo insieme.
Cara maestra Angelini!
Avevo capito dalle parole dell'autore che descriveva una figura vera e alla quale era affezionato ma pensavo che fosse perchè ai nostri tempi le maestre erano più che altro seconde mamme e le si amava come tali, scoprire che invece era proprio sua madre spiega la sensazione di amore e affetto che si leggono tra le righe.
GABRIELLA BENEDETTO, BARI
Ho letto questo libro e per me ha rappresentato un tuffo nel passato.
Mi ha riportato alla memoria personaggi, luoghi, canzoni ormai dimenticati.
Mi ha fatto scoprire l'esistenza di un villaggio profughi Armeno situato
in via Amendola di cui non conoscevo l'esistenza.
Penso di rileggere presto questo libro per approfondirne ancora meglio la conoscenza.
Consiglio a tutti la lettura di questo libro.
Gabriella Campione, BARI
"Un romanzo che vorresti che non finisse.
Un romanzo che ti prende per mano e ti fa vivere le emozioni di un gruppo di adolescenti
che hanno un prezioso denominatore comune,una comune Identità: i cortili,le strade,le voci,i volti,
gli odori dello stesso quartiere,la musica e i sogni degli anni 70.
Un romanzo che si fa sempre più intrigante e complesso man mano che
le pagine scorrono e le vicende personali acquistano ampio respiro intrecciandosi
con le pieghe volutamente nascoste del passato del popolo armeno
Un romanzo a cerchi concentrici che, partendo dalla periferia
ti sospinge a riflettere sui grandi temi della Storia .
Francesca Quarto, BARI
Un libro da conservare tra i più cari, perché sembra nel capitolo 20
che lo scrittore sia entrato in casa mia.
Due lacrime scendono ogni volta che rileggo quel capitolo.
Cogliere l'animo e la vita di tutti noi piconiani
di quegli anni e non solo è un grande merito dello scrittore.
Francesco Campione, Monza
Non tutti forse lo sanno, ma nella storia di Bari, a partire dal Medioevo,
si è stabilito un legame importante con la comunità armena,
di cui parla il romanzo.
Il libro coglie anche felicemente 'quadri' di vita popolare di Picone
e non solo (c'e anche il quartiere confinante di Carrassi) soprattutto
nei ritratti dei ragazzi che appaiono veramente genuini, forse più di quelli di oggi.
E poi il racconto delle periferie, allora estese, la campagna che circondava la città
e permetteva a noi ragazzi di allora di non averne paura e viverla
piuttosto come spazio di gioco e amicizia con semplicità,
si ricordi fra tutte le partite fra quartieri al mitico campo Fasulo...
Tina Rausa, Bari
Guglielmo Campione, con questo romanzo ,ci riporta indietro nel tempo
con grande maestria, sia nel raccontare fatti storici che nel far rivivere
emozioni, in noi ragazzi degli anni 70.
Il tutto gira intorno alla musica ..
luoghi, momenti, minuziose descrizioni di particolari riaffiorano
nella mia mente durante la lettura, coinvolgendomi.
Insomma un poeta, che descrive il tempo e l'anima dei protagonisti,
che, agli occhi del lettore, diventano persone viventi e presenti.
MARTINA OTTAVIANO, Bari
Questo è un romanzo che si lascia leggere, leggero, scorrevole
e avvincente che mi ha permesso di conoscere la storia del mio
quartiere, di quei luoghi che frequento ogni giorno senza sapere
cosa hanno rappresentato per la generazione degli anni 70
che ne ha fatto la storia
Un romanzo che dona identità ai luoghi e riafferma quelle vicende
storiche, spesso dimenticate, di cui Bari è stata protagonista
La penna di Guglielmo Campione, vincitore del Premio
Letterario Città di Castello, è come un tocco di plettro di rock anni 70.
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