Guglielmo Campione L’essere scritto dello scrittore.








La mia esperienza di scrittore mi ha avvicinato alla comprensione dell'esperienza della dissociazione creativa di cui quest'opera intende occuparsi.


Gilbert Rouget (1) descrisse meritoriamente, dal punto di vista dell'antropologia culturale, la fenomenologia dell'estasi e della trance come fenomeni mentali umani in cui possiamo sperimentare una diversa esperienza del soggetto.

L'estasi, per Rouget, è un certo tipo di stato modificato di coscienza raggiunto nel silenzio, l’immobilità e la solitudine (classicamente con tecniche repiratorie e meditative).

La trance, uno stato a cui si perviene unicamente in condizioni rumorose, agitate e in compagnia di  altre persone  attraverso la danza, la musica e l'uso di sostanze psicotrope.

Lo spossessamento dell'io è il nucleo centrale dell'esperienze di entrambe.

Nel Timeo Platone aveva differenziato le malattie  in soma nosemata e  psiche nosemata, a loro volta differenziate in anoia (stoltezza), mania (follia) e amanthia (ignoranza).

La manìa (la Trance di possessione per Rouget) è la manifestazione dell’entusiasmo (en-theos), letteralmente l’entrata di una divinità nel soggetto, che ne è pertanto posseduto (katechomenos).

Le Trance possono essere emozionali o eccitative e, a secondo del ruolo  dell’ascoltatore, passive o attive o più precisamente indotte o condotte : il soggetto è “musicato o è “musicante. Una distinzione interessante questa, che apre delle prospettive.

La scrittura letteraria, in particolar modo poetica, può a mio parere essere un'altra importante esperienza di modificazione della coscienza che in quanto solitaria è piu estatica nel senso rougettiano.

Lo scrittore da questo punto di vista è lo sciamano musicante che è autore del proprio ingresso in trance e non dipende da altri che cantano o suonano il tamburo come nel caso della trance di possessione. Anche lo scrittore da questo punto di vista s'induce da solo la modificazione dello stato di coscienza e di conseguenza può venir scritto ,per cosi dire, più che scrivere. Egli cioè può essere consapevole del presente , attingere alla memoria del passato e programmare un futuro, in questo avendo il proprio io in regia oppure rappresentare personaggi e situazioni che nascono, crescono e poi possono misteriosamente autonomizzarsi e chiedere di condurlo dove dicono loro  E nel far ciò, lo scrittore vive questa esperienza del mistero dell’essere scritto come del tutto nuova rispetto alle precedenti.

Scrivere è cioè poter fare esperienza dello stato di flusso.

Il termine flusso è stato introdotto, nell'accezione psicologica, da William James, nella sua celebre opera Principi di psicologia. James introducendo il concetto di flusso di pensiero intendeva sostenere che il pensiero è continuo mentre la coscienza è simile alla vita di un uccello, un'alternativa di voli e di riposi. I punti di riposo sono occupati da immagini sensoriali, i punti che corrispondono ai voli, invece, sono occupati da pensieri di relazioni, statiche o dinamiche, che si formano per la maggior parte fra i fatti considerati nei periodi di relativo riposo. (2)

Nello scrivere, per lo meno nella fase piu creativa e libera della composizione, possiamo vivere la trascendenza del „come se“ i confini del sé si fossero espansi. Come un marinaio che si sente tutt'uno con il vento, il mare e la barca , un musicista che sente un misterioso senso di universale armonia. In questi momenti la coscienza del tempo scompare e le ore sembrano volare via senza accorgersene. Agli estremi di questa esperienza spesso ci sono l'ansia e la noia dell’insignificanza.

Lo stato di flusso è una dimensione nella quale si abbandona un Io rigido legato a memoria e desideri, a favore di un Io più fluido, abbandonato al vissuto del fluire. Come osserva C. Tart, ci troviamo in un altro stato di coscienza, rispetto a quello ordinario, che è caratterizzato da un proprio pensiero, da una logica propria, da un tempo proprio, da un linguaggio proprio, da una memoria specifica di quello stato. Il passaggio ad esso è regolato dall'entrata in una sorta di silenzio interiore. Il silenzio consente di fermare l'ordine in cui gli eventi si presentano: è la realizzazione dell' hic-et-nunc.(3) 

Lo stato di flusso tipico dello scrittore è caratterizzato anche dall’intensa significatività di ciò che fa, una sorta di stato di grazia e di pienezza che lo attraversa. Eliminando la tensione emotiva, l’ispirazione fluisce, si raggiunge uno stato simil estatico in cui la mente è tranquilla perché stimoli ed inibizioni sono in accordo con la necessità del momento. L’estasi deriva dalla concentrazione prolungata (la meditazione puo essere un valido supporto), la condizione base per lo stato di Flusso.(4)

Intorno a questi temi va detto che già nel 1915, Luis Aragon e André Breton, studenti in medicina, interessati alla neurologia e alla psichiatria, ebbero da   dire cose interessanti, pur se da un'altra prospettiva; quella dell’inconscio psicoanalitico. A quei tempi Pierre Janet, professore al Collège de France e, all’epoca, figura di spicco della psicologia, nel suo saggio “Automatisme psychologicque” del 1889, sosteneva il ruolo fondamentale dei traumi psicologici sulla frammentazione (dissociazione)dello spirito e anticipava di poco Freud nell’affermare l’importanza dei ricordi inconsci nella quotidianità.

Su questa scia intellettuale e culturale, nel 1924, Breton formulò il noto manifesto del surrealismo, definendolo “un automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza d’ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d’ogni preoccupazione estetica o morale" . I surrealisti, quindi,  cominciarono a considerare la creatività automatica come una forma di attività artistica superiore, l’unica in grado di raggiungere la fonte della creazione poetica suprema, svincolata dalla tirannia della ragione, appellandosi all' universo inconscio  teorizzato da Freud. Breton, in realtà, aveva letto solo documenti di seconda mano riguardo Freud e le sue teorie, anche perché lui, così come la maggior parte dei suoi colleghi, non conosceva il tedesco. Nel 1921, decise di fare un viaggio a Vienna proprio per incontrare il mitico padre della psicoanalisi, il quale però pare lo ricevette piuttosto sbrigativamente, liquidandolo con una compassionevole pacca sulla spalla. Nonostante la sua delusione, Breton sostenne la psicoanalisi, sopportando anche le forti e continue tensioni ideologiche tra il movimento surrealista e quello psicoanalitico. I surrealisti, infatti, non hanno mai sposato uno dei concetti fondamentali della psicoanalisi, quello del complesso d’Edipo, definendolo come una ridicola uniforme per un astratto manichino.

Era il sogno l’anima del surrealismo.

Così Freud, consapevole del crescente riconoscimento che questi giovani sobillatori stavano conquistando anche in virtù di alcune sue teorie, cominciò a intrattenere una fitta corrispondenza con Breton. L’argomento fondamentale del loro epistolario era la relazione tra sogno e creazione artistica e, pare, che il tono tra i due fosse sempre piuttosto teso, reciprocamente sfidante come fossero due duellanti calamitati da sentimenti contrapposti d’amore e odio, sempre in bilico tra l’ironico e il pedante. Breton fu comunque fino all’ultimo un ammiratore di Freud, pur mantenendo una certa distanza dalle sue teorie.

D’altro canto,come sottolinea Paola Cerana, anche la psicoanalisi è stata fortemente influenzata dal surrealismo. Jacques Lacan s’ispirò quasi certamente a Salvador Dalì nel suo famoso metodo della critica paranoica e gli stessi concetti di dialettica del desiderio, immaginario e inconscio strutturato sembrano ispirarsi in tutto e per tutto a due opere di Breton, L’Amour fou e Le message automaticque.(5)


Io ritengo che la scrittura in quanto corpo stia in rapporto con l’elemento incorporeo psichico come tutto ciò che porta "il peso e l’inerzia della materia". Cosi essa, ad esempio, può farsi pesante sotto il peso di un’anima gravida di vissuti angoscianti o farsi arzigogolata e barocca simultaneamente ad un essere lezioso e mellifluo dell’anima.

Nel far ciò la scrittura si presta infatti usando parole, vocaboli e dunque convenzioni. In quest’uso dello scrivere la comunicazione avviene ancora sotto il beneplacito della tendenza raziocinante emisferica cerebrale sinistra (6) e dunque classicamente dell'io. D’altro canto il vocabolo non è certo l’unico medium utilizzabile in scrittura : v’è cioè un parlare, un sussurrare sottile attraverso il ritmo e la melodia e dunque attraverso la musicalità del testo: un cantare la gioia e la melanconia attraverso un ritmo narrativo vivace o monotono. In questo riconciliarsi con universi semantici simbolici e non verbali, l’ascolto si fa piu attento e la vista "torna a vedere."

Un fulmine è non solo un chiarore fra bui ,ma anche un presente tra passati e futuri, uno schiocco fra silenzi,un celeste fra neri e blu di prussia, e cosi ugualmente un’intuizione, un’ idea ,un flash back.

Quale più fedele mezzo per comunicare attraverso l’occhio e l’inchiostro personale che vuole trascendersi se non comporre l’immagine con la stessa brevità e velocità del fulmine?

E' quello che si deve essere chiesto James Joyce nell'“Ulisse“(7) inaugurando la scrittura a "stream of consciousness" ma anche Jack Kerouac in "On the road"(8). L’emisfero sinistro logico analitico e consequenziale che si esprime con le sue parole e punteggiature viene qui by passato in favore dell’emisfero destro intuitivo ,che ignora le divisioni spaziali /temporali del testo ,privilegiando la percezione olistica delle parole insieme alla loro musica. Attraverso ciò il compositore e il suo interlocutore possono giungono prima e meglio al cuore delle cose.

D'altronde la scrittura è metafora di un tempo soggettivo :" « Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi». (9)

Un tempo di coscienza  fatto di istanti eterni , di blocchi , di deja vù che scorrono come un fiume carsico , sotto il tempo meccanico digitale dei timer della produzione . Un tempo soggettivo che dà piu il senso dell’esistenza e all'esistenza.

L'Aiòn di Platone: il tempo interiore, coscienziale, che non ammette delimitazioni cronotopiche, ma è spazio della mente compenetrata nel Tiamat primordiale della religione sumera, un Io non ancora individuale immerso nella Consapevolezza Universale.).

Penso anche all'esperienza di leggere i miei testi poetici tradotti in latino, greco antico, tedesco, inglese, francese, portoghese e spagnolo: un'esperienza perturbante. Uso questo termine nell'accezione che ne diede Sigmund Freud nel 1919 per esprimere in ambito estetico una particolare attitudine del sentimento più generico della paura , che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo cagionando spaesamento.

Come se la traduzione avesse aperto nuove porte all’attribuzione di nuovi significati attraverso la nuova prosodia intrinseca alla nuova lingua in cui i testi apparivano tradotti per la prima volta dinanzi ai miei occhi. Sentire suonare in lingue diverse i propri testi, è stato come sentirli per la prima volta: una nuova nascita. Ma quante vite hanno essi allora. Mi sono chiesto? Possibile che io abbia scritto questo? Quale io ? Misteri delle lingue umane!

Della scrittura poetica mi affascina la prosodia, quel che unisce musica e parola, uno degli aspetti protomentali dell'esperienza umana. Mauro Mancia a proposito della musicalità del transfert in psicoanalisi usava il termine "sentire le parole"provenire dagli Archivi sonori della memoria implicita:“Ho così ridimensionato l’attenzione per la semantica delle parole, ma ho accentuato l’interesse per la loro musicalità. Questo mi ha permesso di acquisire una particolare sensibilità all’infraverbale, cioè non solo alle cose dette dal paziente, ma come vengono dette, al tono, timbro, volume della sua voce e alla struttura del suo linguaggio. Ciò è importante perché nel transfert questi elementi della comunicazione ripetono modalità comunicative che hanno caratterizzato precocemente la relazione madre/bambino e che sono state veicolo di affetti ed emozioni non ricordabili perchè a quell’epoca non si è ancora fortmato l’ippocampo struttura cerebrale fondamentale della memoria. Per questo motivo si parla di un inconscio non rimosso protomentale e di un inconscio rimosso successivo nell’evoluzione. L’inconscio rimosso, non permettendo il ricordo, si manifesta attraverso la musicalità del transfert e attraverso le funzioni simboliche del sogno“.(10)

D’altronde ,già dalla ventiquattresima settimana di vita nostra madre ci si è rivelata attraverso i suoi rumori organici, viscerali, ma soprattutto tramite la voce. Abbiamo assorbito tutta la sostanza affettiva di quella voce,  ne siamo stati impregnati; allora il desiderio di comunicare non era altro allora che il desiderio di non interrompere, o eventualmente di rinnovare, una relazione acustica con nostra madre così soddisfacente. Siamo stati immersi in un universo sonoro di rumori interni in cui ogni tanto faceva capolino la musica della sua voce. Per ritrovare l'universo musicale impregnato della voce materna abbiamo imparato a tendere l'orecchio perché potessimo instaurare nuovamente il dialogo con quella musica . Già nelle prime ore dopo la nascita abbiamo riconosciuto la sua voce rispetto a quella di altre donne e rispetto alla voce di nostro padre. .Parafrasando l’incipit del Vangelo secondo San Giovanni “in principio era il suono", Franco Fornari in Psicoanalisi della Musica (11) scrisse :” e il suono era presso la Madre, e il suono era la Madre”. D'altronde è  certo: la prosodia è la prima percezione, e la prosodia d'una lingua s'apprende in amnios : i bambini francesi piangono secondo la prosodia della lingua francese e cosi gli inglesi, gli italiani, i tedeschi e cosi via.

Come canta Pedro Solinas in "La voce a te dovuta ": 


Sì, al di là della gente

ti cerco.

Non nel tuo nome, se lo dicono,

non nella tua immagine, se la dipingono.

Al di là, più in là, più oltre.

Al di là di te ti cerco

Non nel tuo specchio e nella tua scrittura,

nella tua anima nemmeno.

Di là, più oltre.

Al di là, ancora, più oltre

di me ti cerco.

Non sei

ciò che io sento di te.

Non sei

ciò che mi sta palpitando

con sangue mio nelle vene,

e non è me.

Al di là, più oltre ti cerco”.


Il linguaggio della poesia è una danza continua tra la prosodia, la musica della parola, e il suo significato. In questa perenne oscillazione nulla più appare definito e una volta per tutte. Se la mente programma, calcola , infatti, la musica della parola che è musica del cuore, non conoscendo calcoli e opportunità, non mente mai”.

L’emergere interiore della parola poetica è uno di quei momenti in cui si può sperimentare il lasciar andare la guida dell'io, avere fiducia nell’intangibile che t'ha scelto come veicolo, solo leggendo i suoi segni non logici e imprevedibili nel Mondo e nella nostra vita.

Ci si lascia guidare da una voce arcana e misteriosa, seguendola come “parola che guida i miei Passi, come luce sul Mio cammino”, come dice il Salmo 118 e si risponde : 

"Mi fido di Te, Parola, ti ascolto, dialogo con Te anche se non sei un ragionamento ma non per questo sei da negare.

Insieme alla Parola, sogno".


((Immagine by Chiara Troccoli Previati)


Bibliografia.


Rouget  G., Musica e trance“ Einaudi, 2019


James W., Principi di psicologia, Principato, 2004


Tart C., Stati di coscienza,Ubaldini, 1977


Csikszentmihalyi M., Esperienza ottimale: studi psicologici sul flusso nella coscienza,  Cambridge: Cambridge University Press, 1988.


Cerana P., Psicoanalisi e surrealismo, la strana coppia https://www.outsidernews.it/psicoanalisi-e-surrealismo-la-strana-coppia/, 2012.


Erdman E., D.Stover, Beyond a world divided: human values in the brain mind science of Roger Sperry , Iuniverse.com, 1991


Joyce J., Ulisse, Mondadori,1984


Kerouac J., Sulla strada, Mondadori, 1995


Bergson H., C. Riquier Storia dell'idea di tempo, Mimesis.2019


Mancia M., “Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del  Transfert”, Boringhieri 2004.


Fornari F., Psicoanalisi della musica, Feltrinelli 1984.

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Guglielmo Campione .

Bari 1957 .

Ha compiuto studi classici presso il Liceo Quinto Orazio Flacco di Bari, allievo del filosofo Fabrizio Canfora. Dal 1976 vive e lavora a Milano come medico psichiatra, psicoanalista, scrittore, musicista e blogger. E’ stato collaboratore del neurofisiologo dell’estasi Marco Margnelli. Premio letterario Poesia 2019 Città di Castello,è autore di libri di psichiatria, psicoanalisi , poesia, racconti  e romanzi.

LA NATIVITA 3 CERCHI di Piero Ragone a cura di Guglielmo Campione.

La nativita 3 CERCHI dello scultore Piero Ragone, (personaggi e stella in tufo a grana grossa, con cerchi in metallo,interamente smontabile) dell'ospedale San Carlo di Potenza, é un progetto "en plen air '.

Si pone come il dialettico contraltare dell'aperto al chiuso, dell' antimateria alla sostanzialitá della pietra rispetto alle sue nativitá scavate nel tufo e nella pietra leccese.

Come una liberazione emerge dal mondo ctonio e disegna forme e spirito nell'aria, come un respiro nuovo e libero dopo l'immersione nelle caverne.

Fa dell essenzialita di linee e materiali la sua dimensione primaria. I cerchi concentrici che stringono al centro conducono l'occhio alla sacra culla, ricordando il simbolo arcaico della spirale, simbolo del tempo .D'un tempo che non procede linearmente ma ciclicamente ritorna diverso e trasformato .

Le figure tufacee della nativita stilizzate e dematerializzate al loro massimo assecondano e fanno un tutt uno con le curve della spirale ,in un concerto di inchini e schiene curve che si piegano su Gesú .

Tutto allude alla centralità e circolarità del divino.

 La culla - sarcofago e’ un classico paleocristiano ripreso sempre dalla cultura bizantina.Tutto si china davanti al fuoco centrale.

Nell’icona della nativitá  più famosa di Rublev il bimbo e’ in fasce a ricordare poi il seppellimento e in una ‘culla’ che rimanda alla tomba.

Anche qui il Salvatore appare

stilizzato massimamente nella culla che pare alludere a un piccolo sarcofago ,momento cruciale di potente profezia del simbolo in cui la culla predice da ora quel che sará domani la croce








Il sacro mistero della Pietra di scarto di Piero Ragone a cura di Guglielmo Campione

E Gesù disse loro:
«Non avete mai letto nelle Scritture: la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo ?
Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi.

(Sal 118/117,22-23)






La nativita di Gesú é credere nel Mistero.

Un Uomo Nuovo che entra nella storia umana, nato da un'adolescente  che lo accoglie in una nuova e insuperata ,straordinaria ricettivitá creativa femminile ,incondizionata, attraverso il mistero della fecondazione da Spirito e accudito ed educato da un padre anziano adottivo non naturale chiamato a credere nel mistero di una paternitá non "conjuncta" eppur massimamente Genitale in quanto generosamente generativa (uguale la radice "gen").

Le nativitá di Piero Ragone sanno di mistero ,di questo mistero .
Di una fatica di mani e unghie entusiaste (ενθουσιασμός che hanno Dio dentro,possedute da Dio) che parrebbe rischiosamente inutile nello scavare la pietra dura della ragione della sola evidenza materiale ma solo guidate dall'intuito del Mistero lí racchiuso invece alla fine lo scopre.

La diversa forma e consistenza della pietra tufacea dolce friabile ma intrisa di inclusioni,di altre misteriose gravidanze geologiche  ,e della pietra leccese ,piu consistente e resistente ma piu povera in inclusioni,testimonia dell' indistinta accoglienza di tutte esse come potenziali scrigni del Mistero, della disperata non accettazione di esse come scarto inutile , perché non c'é scarto ,in ognuna alla fine dello scavo puó manifestarsi la sacra Epifania.

Non c'é scarto infatti per un uomo che si riconosce figlio di Dio Padre ma un solo anelito : UT UNUM SINT ,affinché siate tutti UNO.

Guglielmo Campione



PIERO RAGONE

Piero Ragone pubblicista dal 1993, tecnico, coordinatore, regista e responsabile di Produzione presso la sede RAI per la Basilicata fino ad aprile 2021, ora in pensione scultore.



Racconti Fantasy Hystorika edizioni 2022

 G.Campione 

" Il mistero del batik lapislazzulo" 

Un racconto sul destino e il caso.




HYSTORICA EDIZIONI BOLOGNA 2


022

Epiphaino” di Guglielmo Campione : recensione di Cinzia Baldini.


Nuovi Pensieri Su Di te
stasera
complimentandomi col miliardo di stelle
di questo cielo terreno
di porti e bordelli
dove l’amore
sbatte
come una vela stracciata
su corde tese
da pirati e 
mercanti di sogni speziati.


L’interpretazione di questi versi potrebbe essere rivolta al Supremo come ad una donna.

 Se considerato nella sua accezione spirituale è il Sentimento per eccellenza, quello più alto, che porta il poeta a riscoprire, con animo grato, le bellezze del creato nonostante lo squallore tipicamente umano “di porti e bordelli”. 
E’ anche l’amore platonico verso una donna quando ispira “nuovi pensieri” e gli alleggerisce l’animo facendolo volare verso “sogni speziati”, promesse di gioie future. 
E’ l’amore fisico, carnale quando “sbatte come una vela stracciata su corde tese da pirati e mercanti”.

Ma in Epiphaino c’è anche di più. 

C’è l’amore universale che tracima da molte liriche come per “Tempo che fugge”. Ed è l’amore profondo e intenso che alberga nel cuore di Campione e che lui getta, come un seme di speranza, nel fertile terreno della poesia per chiunque voglia raccoglierlo e farlo sbocciare, un esempio ne è “La mandorla dei suoi occhi”. 
C’è l’amore per le piccole cose in “Tu potrai”, per i gesti quotidiani “Nel fondo dei fondi”, per la sua terra in “Nicola cuore di popolo”. 

Non è un amore semplice perché è un sentimento fatto di fughe, di dolore e sofferenza ma anche di riscatto e pace, di solidarietà e fratellanza, di pacatezza e umiltà. 

E’ un amore a tutto tondo che commuove e incoraggia, rafforza lo spirito e rinvigorisce gli altri sentimenti positivi punzecchiando le coscienze in dormiveglia o precocemente appassite che hanno dimenticato la suggestione delle emozioni.

Oltre ad incoraggiare a leggere questo prezioso volume, posso aggiungere poco che non sia stato già detto e analizzato da Mariano Grossi, approfondimento del quale condivido ogni parola. 

Lasciatevi cullare, dunque, dall’ars poetica personalissima di Guglielmo Campione

Dal suo stile classico, poco comune, spesso aulico ma sempre fine e ricercato. 

Non è snobismo, ve lo assicuro: è garanzia di eccellente poesia e godetevi anche le preziose nonché dirompenti e avvolgenti traduzioni dei medesimi versi, in latino e greco, di Mariano Grossi.

La lettura di Epiphaino è un’esperienza letteraria unica, che capita poche volte nella vita e che vi raccomando vivamente di fare.

Epiphaino”, di Guglielmo Campione: recensione di Mariano Grossi.

 







Un volo di uccelli 

nel vento di levante

indicava una via diversa

per il ritorno, 

non quella per la quale 

venisti presa per lo scontento 

delle cose fin lì sapute 

scrutando le stelle 

nello stesso cielo.

Non si può tornar

per la via vecchia

se quel che hai visto

t’ha cambiato lo sguardo.

 

Questo l’exordium della raccolta “Epiphaino”, scritta da Guglielmo Campione e che abbiamo umilmente provato a vertere nelle lingue classiche, ispirati come siamo stati dall’aura sacrale che la lettura delle sue liriche ci ha ingenerato, poiché riteniamo capace quant’altri mai l’uomo, il credente, l’analista, autore della raccolta, di cogliere nella lettura delle Sacre Scritture valenze pragmatiche che si pongono alla ricerca di un messaggio estremamente umano e meno trascendente rispetto a quello che una certa bigotta cultura fideistica vuole far intendere; il riferimento nemmeno tanto recondito alla visita dei Magi a Gesù Bambino, il cui gnomon è già nel titolo della silloge, diventa occasione per una docimologia di natura principalmente psicologica: l’invito a non fidarsi dell’opinione comune, lo sprone a guardare la realtà con i propri occhi e riconsiderare il pregiudizio, rischio che ogni uomo di qualunque livello sociale, estrazione culturale e humus storico inevitabilmente corre; vedere coi propri occhi significa capire e rivoluzionare i propri programmi. Le lingue classiche con la loro capillarità compositiva morfologica e lessicale, a mio giudizio, corroborano ed aiutano questo orientamento, dacché un verbo ordinario, oseremmo dire, come cambiare si trasforma in convertereovvero methistemi, le cui preposizioni (cum e metà) marcano quasi fisicamente l’effetto ribaltante della decisione consequenziale alla visione ottica di ciò che si è andati a cercare.

Uscendo

dal tempio

onorata tomba

per colui che porta

nome di vittoria

e un libro con tre sfere d’oro in mano

si mescolavano

profumi d’incenso urina, semola, ragù e alghe

nel vento freddo di maestrale

e nel mio cuore

il senso del mistero infinito,

del viaggio,

della casa

e delle urgenze carnali.

E se qualcuno, fuorviato dall’argumentum della prima lirica, può pensare ad una raccolta tutta spiritualista, ecco che l’autore ci “cambia lo sguardo”, convertit oculos nostros, poiché la successiva costituisce il biglietto da visita dell’uomo mediterraneo perfettamente in bilico tra spirito e carne, anelito d’internazionalità e senso del nostos; un viaggio nella basilica Nicolaiana può davvero costituire per i forestieri un’ermeneutica quasi fisiologica e succedanea del messaggio contenuto nella prima poesia: la città vecchia, con le sue attiguità antipodiche così amalgamate, invita a cassare i luoghi comuni e a postarsi come uomini nuovi e gravidi di ossa e sangue, di anima e corpo. Ed anche qui, inutile dirlo, la centrifuga delle sensazioni psicolfattive che l’uomo annusa. Lasciando il tempio più etimologicamente mediterraneo del globo terracqueo (basta venire a Bari e sostarvi per capire il crogiuolo di razze che vi si concentra), viene esaltata dalla traduzione gravida di quelle prefissività (com-misceo, sum-mignymi) che l’italiano sovente trascura.

Spira nell’italiano solenne e per certi versi eccezionale di Guglielmo Campione l’aspirazione a riconquistare certe tonalità e bradipodie filologiche che la modernità ha ineluttabilmente smarrito: la dovizia dei congiuntivi nelle loro differenziate sostanze esortative ed ottative, la ciclicità delle interrogative dirette e indirette, gnomoni di un uomo in assidua sagola interiore, l’attitudine all’azione qualitativa più che alla sua semplice riproduzione cronologica, son tutti attributi formali affini alla classicità e sorge pertanto naturale l’input a guadare le sue poesie in lingua latina e greca, gli uteriin cui il suo italiano venne concepito. E il traduttore si arrischia con piacere nelle prolessi dei complementi di specificazione, nell’elevazione attributiva dei complementi di materia, nella posposizione dei verbi in finale di proposizione, ritemprando la consanguineità ematica del suo scrivere con la suggiuntività (restituzione in lingua albionica e castigliana del modo che noi italiani chiamiamo congiuntivo) e l’ottatività del greco antico che riesce a magnificare spessissimo le sue abituali subordinate narrative per mezzo del Genitivo assoluto, gemello dell’Ablativo assoluto latino.

Agli studenti liceali italiani d’oggi già questi approfondimenti sintattici possono sembrare estranei e sorpassati, ma io li stimolo a leggere le poesie di Guglielmo per attizzare un esercizio di episteme sostanziale e non solo formale, poiché, al di là dell’abito lessicale e stilistico, esse sono dotate di un caposaldo di formazione mitologica trasfuso cristallinamente nei più specifici concetti psichici e sarà gradevolissimo per loro, procedendo nella lettura di poesie come “Altrove nel firmamento”, “L’Oltre e l’Altro”, “Sale e Luce”, “Acqua”, o i dialoghi di occhio e anima o “Mille e una notte”, scoperchiare le sterminate competenze bibliche, mitologiche ed omnicomprensivamente storiche di questo poeta prestato alla psicanalisi. E l’impulso a leggerlo in lingue che oggi si definiscono morte sarà enormemente vitale!


Una recensione di Mariano Grossi


LE ORIGINI FILOLOGICHE DEI FANTASY 'SANTINA FAVOLLA" E "OCTAPIA" di Guglielmo Campione : la fata Melusina e la dualitá della rappresentazione femminile medioevale di Sabine Miquelis






Riflessioni su 
"Eroi e meraviglie del  medioevo" di Jacques Le goff.


 Melusina è un personaggio 
femminile immaginario molto antico :
per i mitologi é la "mater lucina"  romana che presiedeva le nascite.
La letteratura latina del XII e XIII secolo già infatti produceva storie su una fata simile a Melusina.

Per i Celti, “Melusina era una divinità protettrice della Fontana della Sete.
 (Font-de-Sé).

Potrebbe anche essere la Lyke dei Greci, la Melugina dei Liguri o la Milouziena degli Sciiti. Questo popolo proverrebbe da Eracle ed Echidna (anch'essa con coda di serpente e ali di pipistrello). 
Gli Sciiti, detti "Taifales", si sarebbero stabiliti con l'esercito romano in Poitou, dove fondarono la città di Tiffauges.

Per i Galli sarebbe piuttosto una sorta di parca tessitrice del destino umano.

Una delle più antiche evocazioni della figura di Melusina proviene da Walter Map (1140 -1208), nel suo" De nugis curialium "in cui narra di“Henno dai grandi Denti” (Henno cum Dentibus) e il suo incontro con Melusina,diventata dopo sua moglie.
La madre svela al figlio Henno il segreto di Melusine : si trasforma in un drago quando si bagna.

 
Nel Medioevo, ci furono molti altri testi che  scrissero diverse versiomi della leggenda.

In una Melusina è figlia di Presina, moglie di Elinas, re d'Albania.
Elinas incontra Presina durante una caccia nel bosco.
Dopo il loro matrimonio, Presina fa giurare ad Elias di non assistere alla nascita dei loro figli. Elinas non rispetta il suo giuramento.
Presina fugge allora con le sue tre figlie Melusina, Melior e Palestina, nell'isola di Avalon.
Al compimento del loro quindicesimo anno, le 3 sorelle decisero di vendicare il tradimento del padre rinchiudendolo su una montagna ma venendo a loro volta punite, non avendo il diritto di incarcerare il padre.

La punizione di Melusina fu quella di trasformarsi in serpente ogni sabato.

In un 'altra versione ,Melusina incontrava alla fonte Raimondino,figlio del conte di Forez, che aveva ucciso suo zio durante una battuta di caccia. Lei promette di risparmiargli le conseguenze dell'omicidio e di vivere una vita felice con lui se consentava al matrimonio. Lei realizzava molte belle cose e la coppia aveva dieci figli, tutti con un marchio fisico (macchie sul corpo, marchi animaleschi).

Melusina è il simbolo del  destino, una creatura, vicina alla fata: un essere ibrido,metá umana, con un busto di femmina e metá animale, con una coda di serpente o un corpo alato di drago.
Melusina era dunque all'epoca quella che si chiamava un mostro, anche se suo padre era di sangue principesco e sua madre una fata. 

Nel.medioevo la psiche femminile fu disconosciuta e il confine tra uomini e mostri, tra realtà e mondo fantastico, sfumato. 

Le fantastiche creature femminili,(Sfinge, Banshee, Medusa ecc) si comportavano infatti  sempre elementi animali cattivi.

Per i cristiani, il drago era una forza malvagia, che aveva assimilato i quattro elementi (aria, acqua,fuoco, terra). Era terrestre e celeste, come Melusine che ha una sua vita umana e vola peró dopo la sua trasformazione.
Soprattutto, il drago era un entitá che non poteva essere controllata. 
Questo è anche ciò che accade a Melusina, che fugge dalla finestra e torna la sera a contemplare i suoi figli.

Queste caratteristiche fisiche sono rivelatrici di un pensiero medievale  che credeva nella presenza in ’ogni uomo di instinti bestiali incontrollabili, più o meno legati al diavolo.
Istinti pregiudizievoli che si nascondevano nella parte la più profonda dell’anima e della mente.
Cose vergognose, che spaventavano, che non si volevano vedere né sentire. 
D’un uomo o di una donna che avevano compiuti atti malvagi , si diceva nella societa medievale ,di “avere fatto la bestia”.


La parte animale di Melusina si rivela solo nell’acqua.
Dimostra che un evento, un fatto esterno puo provocare l’uscità della bestia che c’è in noi, come, la credenza nel fenomeno della licantropia, per gli uomini che diventano lupi con la luna piena, (vedi gli eroi moderni  Marvel, ad esempio Hulk, che si trasforma quando è arrabbiato, o Dr. Jekyll che si trasforma inMr. Hyde). 

C’è l’idea che la bestia fa parte di noi, è come un altro sé stesso che convive con noi. 

A volte, la donna, qualsiasi la sua posizione sociale,fu considerata nel.medioevo un piccolo animale da educare.

E’ in questo contesto che le credenze e gli stereotipi sulla natura e l'immagine della donna, si rafforzarono e consolidarono attraverso il riferimento a altre creature fantastiche delle sacre scritture :Eva, la prima donna, descritta nella religione cattolica come peccatrice, dal momento che a veva provocato Adamo.

 Il clero la percepiva come inferiore all'uomo e non il suo uguale, poiché era stata creata da una delle costole di Adamo e non interamente creata da Dio (come è stato il caso di Adamo).

 Melusina, nonostante la sua mostruosità, è moglie e madre all'opposto della Vergine Maria, solo madre di Gesu-Cristo.


"Il n’y a plus ni Juif, ni Grec, ni maître, niesclave; ni homme, ni femme. 
Vous n’êtesqu’un dans le Christ Jésus "

Nonostante questa dichiarazione di San Paolo, la realtà fu e resta  meno idilliaca.

 Le donne lottavano per trovare il posto che spettava loro, sia socialmente che legalmente, avevano pochi diritti, la loro sessualità era molto regolamentata:  caste e dedite a Dio, o sposate e madri, come Melusina.
Se una donna era violentata nel Medioevo, la sua colpevolezza o non colpevolezza era determinata dal suo rango sociale, che doveva sottolineare la sua onestà.

Melusina conosce il suo potere e lo usa a suo piacimento. 
A differenza delle donne e delle mogli dell'epoca, non obbedisce al marito e lascia la casa per tornare quando vuole, sotto la forma di un drago.
Melusina disegna il profilo di una donna indipendente e determinata, incontrollabile nella parte umana e indomabile nella parte animale. 
Questa rappresentazione di una donna misteriosa e spaventosa è all'origine del mito di Melusina.

Nonostante le regine, le principesse di rango e tutte le donne che hanno fatto la storia medievale, le leggende e le sacre scritture hanno creato e fissato l'immagine della donna, qualunque sia la sua classe sociale,
quella di Melusina, nonostante il suo semplice aspetto fiabesco, mette in discussione la visione e il ruolo delle donne nella società medievale, attraverso la figura di un mostro.

Sotto l'aspetto inconscio del discorso c'è in realtà una nascosta paura delle donne, a causa dell'incomprensione della sua psiche e natura.

É anche il desiderio di rinchiudere la donna in uno stereotipo di diabolizzazione o santificazione, nella difficoltà di considerare le sue sfumature, la complessità delle personalità femminili, in una società manichea, ossessionata e plasmata dalle reminiscenze di quello che era stato erroneamente chiamato peccato originale.

Alcune donne , fondamentalmente quelle che appartenevano al gruppo sociale non privilegiato e, tra loro, quelle che vivevano e lavoravano per se stesse , erano consapevoli che non avrebbero vinto, o avrebbero trovato molto difficile vincere le loro cause in tribunale per molestie.
La loro stessa condizione di donne single, senza un referente maschio a proteggerle, le ha contrassegnate socialmente: agli occhi della comunità, le ha fatte sospettare di essere disoneste e quindi le aveva messe in una posizione favorevole allo stupro.



Bibliografia

De nugis curialium:
Distinctio quarta:
XI Item de apparicionibus,
Transkription der bibliotheca Augustana(http://www.fh-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost12/Map/map_n409.html) (lat.).

Gervasio di Tilbury,
Otia Imperialia
testo dedicato a Ottone IV del Sacro Romano Impero;

Jean d’Arras,
La Noble Histoire de Lusignan
, 1393, dedicato al duca Giovanni di Berry e sua sorella Maria, duchessa di Bar;

Jean Couldrette,
Mélusine
dedicato a Giovanni Larchevêque, abate di Parthenay.

J. Le Goff,
Eroi e Meraviglie del Medioevo
, Editori GLF Laterza, Roma-Bari, 2005, p.150.

Dizionario :
Fare la bestia: il significato di questa espressione idiomatica ha perso nei secoli un po’ della sua forza. Vuole oggi semplicemente dire “fare l’asino, fare l’idiota, fare l’imbecille”. 
Anche, pronunciare brutte parole all’incontro di Dio , “bestemiare”, cioè, comportarsi e parlare come una bestia.


Lettera ai Galati (III, 28).San -Paolo

Alphonse X le Sage,Code des Sept Partidas 1256-1265.

PROSSIMAMENTE IL NUOVO FANTASY STORICO : OCTAPIA LA SELKIE CHE AMO' NICHOLAS

PROSSIMAMENTE





 

Octapia é un fantasy sul sogno, sui confini tra realtà e sogno che segue in parte lo schema Morganiano dei racconti di fate medioevali.

Il sogno lo conosciamo tutti : ogni notte ci mettiamo a letto e perdiamo il contatto con la realtà, e con noi stessi, fino a quando, al mattino, il nostro cervello riunisce nuovamente i fili del sé e del mondo, preparandoci a un altro giorno di coscienza ordinaria nel mondo ordinario

Ma mentre la discontinuità narrativa é la regola del sogno per cui la narrazione é illogica, non consequenziale, se mai associativa e simbolica, scritta per salti di luoghi, persone e situazioni e cambia di notte in notte in Octapia invece vige una continuità narrativa di luoghi, personaggi , sentimenti, relazioni, emozioni che rende i sogni di Nicholas indistinguibili dalla realtà e più pauroso o desiderabili di essa.
Man mano che Nicholas si addormenta torna sempre li da Octapia , un sogno a puntate più simile a un accesso ad una realtà parallela come Matrix.

SANTINA FAVOLLA ,recensione di Marica Girardi



Bella storia molto al femminile.

Lettura semplice ma intensa di contenuti.

Riuscita sintesi di magia e realismo , sacro e profano, cultura e superstizione , maschile e femminile . 

Attraverso la storia di Santina Favolla e della sua famiglia l'autore è riuscito a disegnare un profilo molto profondo della natura femminile che mostra , non solo di conoscere , ma di apprezzare e valorizzare.

in preparazione ....


PROSSIMAMENTE




 

Kurt Müller 

1943 


ROMANZO




Santina Favolla la masciara bianca : recensione di Fernando Stendardo


Predisporsi alla lettura del racconto (o romanzo breve?) di Guglielmo Campione, richiede una preventiva rinuncia al nostro schema mentale di categorie letterarie.
Una definizione sinottica, infatti, risulta pressocchè impossibile, spaziando, l'autore, dalla commedia al saggio storico, dal melodramma al classico romanzo d'amore, fino a rasentare, senza mai abbracciarlo, il racconto gotico.
Tutti generi che Campione padroneggia da par suo dimostrando ancora una volta le possibilità pressocchè infinite dlla scrittura, il suo potere primordiale di portare sulle pagine storie, mondi, personaggi a volte, come nel caso della protagonista Santina, superiori alla realtà.
Questa volta, ci proietta in una favola d'altri tempi che trasuda intelligenza, tenerezza e magia.
Una storia fatta di indicibili segreti, poteri magici, incontri fatali, misteriose metamorfosi, amori che durano in eterno.
Il tutto in un'ambientazione ricostruita con tratti a volte essenziali, più spesso ridondanti e ricchi di colore, non pensati per dare una misura topografica esplicita, ma perfettamente in linea con una dimensione riconoscibile e familiare (difficile non identificare nella casbah, nel dedalo di vicoli, corti e sottani, il borgo antico di Bari, cui l'Autore, è legato da un mai reciso cordone ombelicale).
Così, alleggerito dall'uso sapiente del registro ironico, il racconto tocca, tuttavia, temi esistenziali e profondi.
L'Autore, lo alimenta attigendo a piene mani dall'inesauribile anfora rappresentata della psiche umana, soffermandosi sugli aspetti più introspettivi, quelli costituiti dai più gelosi segreti dell'anima.
Li affronta e li legge servendosi della lente che gli è più congeniale, quella della psiconalisi, sempre rigorosa com'è d'uopo per un professionista della materia quale Guglielmo Campione è, ma mai fredda e distaccata.
Il racconto interpreta, grazie alle chiavi del sogno, le dinamiche della psicologia e della psicoanalisi presenti in alcuni meccanismi inconsci legati all'identificazione della protagonista Santina: lo sdoppiamento di personalità, l'io scisso, l'io diviso che si trasforma in un altro essere, nel nostro caso in un granchio favollo, nelle notti di plenilunio.
Tema scientificamente rilevante e spesso ricorrente in letteratura come in psicoanalisi (basti pensare a Dr. Jekill e Mr. Hyde di Stevenson), e qui affrontato e risolto con indubbia inteligenza narrativa ricca di chiavi psicologiche importanti  ma immediatamente comprensibili.
Sempre, comunque, con raffinato pudore.
Per cui, ad esempio, pur muoventosi in un contesto di superstizione popolare, con masciare, fattucchiere, pozioni, riti e formule magiche, il racconto conserva sempre una dimensione illuminata e positiva che lo tiene ben lontano dall'atmosfera tetra e tenebrosa del romanzo gotico, dove le emozioni estreme sconfinano nella paura.
Qui tutto rimane sotto un dominio congiunto del cuore, della ragione e della fede, regni normalmente tra loro contrapposti ed in eterna esiziale lotta, ma che nella nostra storia trovano una sublime composizione nella scelta consapevole di Santina di consacrarsi al suo umanissimo sogno d'amore per Achille pur conservando la doppia natura, umana e magica, finalizzando, però, quest'ultima alla luce del bene, della verità, delle leggi naturali e dell'armonia del creato.
Così Santina smette per sempre i panni oscuri della masciara, per indossare quelli candidi e iridescenti della saggezza e della sapienza: sarà ancora masciara, ma masciara "bianca".
In questo modo tutto torna nel racconto di Campione nel punto esatto da cui si era partiti, il soprannome della compianta madre di Santina: "la Checchevasce", la civetta, l'uccello caro ad Atena, simbolo di saggezza e sapienza.
Infatti, in virtù della sua capacità di pre-vedere (e, quindi, pre-dire), di saper vedere prima degli altri senza ricorrere a vaticini, oroscopi o pittoreschi riti,di scandagliare le tenebre dell'animo umano, la civetta (nome scientifico Athene noctui!) rappresenta il simbolo della filosofia, il cui compito è proprio quello di far luce là dove apparentemente regna il buio dell'anima e della coscienza.
Il cerchio, quindi, si chiude mostrando nel suo perimetro il riverbero di tutto il mondo di rifermento in cui nasce e si sviluppa il racconto: l'amore ed il legame mai rescisso dell'Autore per la sua terra/città natia, il culto della memoria e delle tradizioni popolari, la sua solida cultura classica, la sua visione etica e filosofica della vita corroborata da una fervida fede reliogiosa, la passione per il mondo sommerso, non solo quello del mare, ma anche, sopratutto, dell'anima, vero terreno d'esplorazione di questo racconto.
Tanta ricchezza umana e culturale trova una composizione armoniosa ed esemplare nella storia di Santina e fa di Guglielmo Campione uno degli autori più completi ed interessanti del panorama letterario.

Santina Favolla :la masciara bianca recensione di Rosanna Galtieri.




Santina Favolla è un racconto fantasy che ha come protagonista una bambina, poi adolescente e giovane donna, che, inaspettatamente, scopre di avere poteri magici e di possedere una doppia natura, creatura umana e al tempo stesso marina, di essere anche, appunto, un granchio favollo.


La narrazione è scorrevole, di facile e piacevole lettura, l’intreccio è accattivante, ma un pregio dell’opera è il suo carattere “aperto”, in quanto la profondità del testo potrà essere colta ad una lettura più attenta, che renderà ancora più godibile la fruizione del racconto.

Infatti, non a caso, questo si colloca in un tempo ed in uno spazio ben precisi, un borgo antico sul mare, nel 1918, all’indomani della fine del tragico primo conflitto mondiale, quando, sullo sfondo, non appare ancora domata l’epidemia della spagnola.

Di fronte ad un mondo tradizionalmente gravato di problematiche complesse, il Sud d’Italia in questo caso, accentuate dalla contingenza storica, la forza dei miti, della fantasia, dell’immaginazione di un’altra dimensione, anche favolistica, sembra voler fare da contraltare alla brutalità della realtà e al tempo stesso soddisfare quella ricerca di senso dell’esistenza, presente sempre e particolarmente nelle condizioni più difficili.

I riferimenti storici, le tradizioni popolari, riportate dall’autore tramite un’ accurata ricerca, il substrato costituito dai miti del mondo greco e latino, le citazioni relative alle civiltà orientali non appesantiscono il racconto, ma lo sostanziano, fornendo al lettore delle suggestioni coinvolgenti.

Infine, ricorrono alcune tematiche presenti anche in altre opere di Guglielmo Campione: l’ evocazione del passaggio dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza, l’interrogarsi sull’amore, che dalla fase iniziale ed esaltante dell’innamoramento deve diventare “adulto”con fatica e saggezza, e il tema della morte, che appare tanto più accettabile quando più si comprende che il distacco dalle cose umane potrà rendere “leggeri” e quindi liberi.

Consigliata senz’altro la lettura!

Lombardia e Liguria segrete e sconosciute : Racconti



Guglielmo Campione

Il pasto sacro





 

Guglielmo Campione nelle tre edizioni di Racconti pugliesi Hystorica Edizioni 2019 -2021-2022



Guglielmo Campione

2019

Nicola il cicerone e la sarta di Parigi







Guglielmo Campione

2021

Ladri di mandorle







Guglielmo Campione

2022

LE PAGELLE DEL PESCIVENDOLO




 

Racconti Horror

Guglielmo Campione

Memento mori 




 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO EPIFANIE DELLA COSCIENZA LECCE 15 LUGLIO 2022 ORE 19 LIBRERIA ERGOT


15 luglio 2022 ore 19

 Lecce 


PRESENTAZIONE DEL LIBRO 

EPIFANIE DELLA COSCIENZA 


LIBRERIA ERGOT







La presentazione del libro si svolgerà all'esterno della libreria Ergot dalle 19 in poi.

Presenta e modera Marco Caiffa.

Relatori: Eugenio Imbriani, Guglielmo Campione e Rosario Puglisi.

L'Editore Stefano Donno e il curatore Vincenzo Ampolo, accompagneranno il varo di questo importante volume.





IMMERGERSI, IL. MARE E LA PSICOANALISI recensione di Adriana Zanesi Inserra .


 

5,0 su 5 stelle

Recensito in Italia il 12 gennaio 2022

Un approccio molto interessante, evocativa l'associazione immaginifica col mare come metafora della psiche , anch’essa originata dal mare, in senso biogenetico e psico-filogenetico, per dirla con Jung.
Nelle cosmogonie universali, ad esempio nelle tavolette sumere, si può trovare traccia in chiave mitica e religiosa, di questo percorso misterioso e affascinante. Questo studio di Campione sembra portare la questione su un piano di pratica analitico-terapeutica, secondo la visione pragmatica propria della psicanalisi freudiana; ma credo che non manchino i punti di convergenza con la concezione spiritualista che dalla psicologia analitica junghiana potrebbe essere trasferita alla variegata più attuale corrente di pensiero che va sotto il nome di Era dell’Acquario.

Adriana Zanese


Santina Favolla, recensioni


 

Adoro la  scrittura di Guglielmo Campione la trovo affascinante, elegante, ritmata, puntuale, significante, allusiva, mai scontata
Come quando sei di fronte ad un mago e pensi: chissà cosa tira fuori ora dal cilindro.
Intrigante.

G. Francia

SANTINA FAVOLLA recensioni


 Come sempre Campione fa ‘vivere’ profondamente  tutto quel che racconta. E’ la sua caratterstica :insinuare con nonchalance il profondo nel microtempo quotidiano con la sua normale e semplice scenografia

E’ un libro godibilissimo che resta impresso!


L’ho già letto tre volte !!!!!!!!!

Santina Favolla :recensione

 


Santina Favolla ě un libro  ricchissimo di rimandi letterari, che vanno  dalla cultura popolare a quella storica e dalle fiabe popolari, ai racconti orali fino al al fantasy.

Al suo interno ci sono altre cento pagine che chiedono di essere ancora sviluppate.
Molto bello l'incipit, la scena del funerale, la scena della fontana della Pigna dove si incontrano Achille e Santina  e si rompono le giare.
Personaggi maschili interessanti il liutaio e l'Acquaiolo.
Molto belli gli scorci del. Borgo antico e la sua'Casba', gli interni
I racconti sulle masciare. 


Gabriella Campione

Santina Favolla la masciara bianca :recensione di Chiara Troccoli Previati.




Guglielmo Campione torna alla scrittura con un lungo racconto che non lascia tregua.

Lo leggi tutto d’un fiato: non puoi fare a meno di lasciarti incantare nello svelamento, pagina dopo pagina, degli eventi di una strana storia, ricca di magia e traboccante fantasia eppure vera e originalissima.

Santina ne è protagonista: una quattordicenne figlia di masciare o fattucchiere da generazioni che appare come una novella Alice per la sua genuinità e per la ricchezza stravagante dei vissuti in cui volta per volta s’imbatte catturando prestissimo la fantasia e sete di avventura del lettore così come del resto tutti i personaggi, i quali, poco a poco compaiono tra le pagine del racconto.

Si entra immediatamente, come è consueto nei racconti di Campione, nel mondo fisico e oggettivo dei protagonisti, non svelato nelle coordinate geografiche reali ma certamente riconoscibile agli occhi di chi questi luoghi conosce e vive.

Cosí ci si addentra e si percorrono le stradine strette da ‘casba’ del centro antico, così simile a tanti di altri contesti mediterranei e medio orientali , nei quali c’è sempre un’atmosfera di sussurri e grida, di sguardi curiosi e indiscreti, di mistero e occulto, soprattutto se a svelarsi sono i segreti delle ‘masciare’ e fattucchiere, coi loro poteri oscuri e insondabili.

Una vicenda universalmente mediterranea.

Dopo averci fatto addentrare nella casba di questa città che guarda a Oriente, l’autore ci rivela ben presto il segreto di Santina: fin da bambina questa insolita protagonista scopre di possedere una doppia natura.

I racconti che fan voli pindarici, come questo, partono sempre da un’occasione, che dobbiamo intendere proprio in senso ‘montaliano’. Per levarsi in volo si parte da terra, sempre; il volo si spicca se hai lo sguardo interiore giusto e vedi un’occasione che diventa epifania.

Forse un' immagine ben impressa nella memoria dell'autore da bambino un bel giorno riaffiora casualmente, grazie a una foto ritrovata e fino ad allora dimenticata.

Ecco, forse, la scintilla che provoca l’epifania di questo splendido racconto meticoloso nei dettagli, come è nello stile di Campione.

Egli ci incanta partendo dalla concretezza di una situazione storico-antropologica, con diramazioni geografiche ampie, ben fondata storicamente come descritto da lui stesso nella prefazione al libro , arrivando ai confini dell’irreale fantastico, del fantasy apparente,ma così vero da poterlo toccare; fino a giungere poi a profondità che si pregustano ed intuiscono, a ben guardare, fin dall’inizio.


(Personificazione del Kairos, II sec. A.C.)

Già l’introduzione della parola Kairos infatti, al principio del racconto, ci illumina sulle possibili ampiezze che questo testo ci offrirà: il mondo dei riti magici, delle pozioni e filtri d’amore, di petali di fiore e raggi di luna, di malocchi e date fatidiche, di giaculatorie e saluti obbligati alla ‘fata della casa ‘, di trasmissione di conoscenze da nonna a nipote masciàra.

Un mondo magico che s'arricchisce man mano di luce e sguardi che attraversano l’animo, di sentimento religioso sotteso ad ogni azione, di ricerca di senso, di fede nella morte e resurrezione, di cultura classica, di mondi antichi mediterranei.


Tutti i racconti di Guglielmo Campione, questo ancor più, chiedono d’esser guardati prima ancora che letti: sono una sequela d’immagini che si srotolano come un nastro filmico e nel mentre leggo mi sovviene la memorabile sequenza figurata in ben ventitré giri che si avvolge sulla Colonna di Traiano e narra delle sue vittoriose campagne belliche in Dacia. Arricchita da rappresentazioni di luoghi, di spostamenti, di battaglia, di vincitori e vinti che mantengono tutta la loro dignità umana, queste realistiche scene non perdono mai di tono narrativo non cedono mai alla pausa, alla stanchezza e hanno smalto vivo addosso.

Così è la regia narrativa sopraffina di Campione, il quale sa passare dalla panoramica al flash-back e si sofferma frequentemente sulla zoomata come accade in un mirabile episodio che ascolti mentre leggi, perchè i suoni della lingua madre affiorano intensi, anche se sussurrati. Alludo al capitolo 7 che si svolge in parte in un sottano, nella stanza da letto di un defunto, un certo Colino. Ě una scena nella quale si snoda una teoria di personaggi popolari , tra i quali le immancabili lamentatrici prezzolate (prefiche) che vegliano al capezzale il defunto, alternando un rosario chiacchierato agli immancabili aspri pettegolezzi sulla vita erotica della piacente giovane moglie del defunto. Una scena indimenticabile e concretissima, da film neorealista in cui il comico confluisce nel drammatico e viceversa.



Ma torniamo al Kairos, vero bandolo della matassa di questa storia: esso apre e chiude questa narrazione a uroboro come nelle "composizioni ad anello" (Ringkomposition) che si trovano nei testi classici greci e romani, nonché nella Bibbia ebraica.


Il racconto comincia, finisce e ricomincia lí dov'ě iniziato, portando in sé il germe di vita, morte e rinascita.


Kairos ě il più nobile tra i quattro termini con i quali nell’antica lingua e cultura greca si parla di tempo, inteso contemporaneamente come tempo attimale ed eterno, perché fatidico.

Si riferisce al tempo ‘opportuno’, quello giusto perché un’azione si compia e sia compiuta, un tempo rivelatore da cogliere e vivere nell’immediatezza del quotidiano e che ti aiuta a ‘leggere’ gli eventi della tua vita interiore. In teologia è il tempo in cui Dio agisce, il tempo cruciale dell’incontro con Dio, guida del tuo operare.

Nella vita di Santina affiora fin dall’inizio l’entità del kairos, non casuale, da cogliere, comprendere e lasciar agire. Si presenta nelle prime pagine nella scoperta della sua doppia natura, poi nella difficile gestione del suo segreto soprattutto dal momento dell’incontro con Achille, l'uomo col quale nasce un'avventura sentimentale autentica quanto segreta e con profondi risvolti psicologici.


La storia d’amore tra Santina e Achille parla di eternità, di sogno, di incanto e dolcezza, come la più autentica delle storie d’amore.

I sogni e i segreti sono il sale della vita e il loro incontro ne è ricco fin dagli esordi, necessariamente.

Con mosse reciproche accorte i due costruiscono la loro storia, così speciale ma anche così normale, in maniera mirabile, giorno dopo giorno, fino alla loro unione matrimoniale che avviene il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate.


"Il solstizio è un simbolo della rinascita spirituale nonché il simbolo della sconfitta del male e delle tenebre da parte del Sole e il trionfo della luce”, recita a tal proposito il racconto nel finale.

Santina, pur continuando in parte la tradizione di guaritrice di sua madre e sua nonna epurerà dal suo ruolo, tutto ciò che non sia frutto di ‘magia naturale’: richieste di “fatture d'affàscino, malocchi, filtri d'amore e quant'altro fosse da fare contro la volontà di qualcuno come era secondo la tradizione delle vecchie masciare della generazione di Nonna Porzia; un modo di esercitare il potere magico non luminoso che proprio per questo nei secoli subì l'appellativo di nero.”


Grazie alla guida di Donna Innocenza medium di rinomata fama, maga e sua guida, figura centrale del racconto, Santina impareră a praticare solo una magia naturale , guidata attraverso “ lo studio delle sue leggi e in armonia con esse, ritenendo che ogni organismo, fenomeno o evento abbia un posto nel disegno universale stabilito da Dio, in quanto partecipe di un'unica Anima del mondo.

Santina, sottometterà la propria volontà alle leggi del cosmo in armonia con l'universo grazie al senso morale basato sull'obbedienza alla volontà di Dio come gli aveva insegnato Innocenza.

Farà dunque una scelta di campo precisa”, luminosa e per questa sua rivoluzione verrà soprannominata la Masciara bianca.

Nulla è casuale, nella finzione narrativa così come nella vita reale?
Con questo interrogativo pare congedarci l'autore.