Santina Favolla la masciara bianca : recensione di Fernando Stendardo


Predisporsi alla lettura del racconto (o romanzo breve?) di Guglielmo Campione, richiede una preventiva rinuncia al nostro schema mentale di categorie letterarie.
Una definizione sinottica, infatti, risulta pressocchè impossibile, spaziando, l'autore, dalla commedia al saggio storico, dal melodramma al classico romanzo d'amore, fino a rasentare, senza mai abbracciarlo, il racconto gotico.
Tutti generi che Campione padroneggia da par suo dimostrando ancora una volta le possibilità pressocchè infinite dlla scrittura, il suo potere primordiale di portare sulle pagine storie, mondi, personaggi a volte, come nel caso della protagonista Santina, superiori alla realtà.
Questa volta, ci proietta in una favola d'altri tempi che trasuda intelligenza, tenerezza e magia.
Una storia fatta di indicibili segreti, poteri magici, incontri fatali, misteriose metamorfosi, amori che durano in eterno.
Il tutto in un'ambientazione ricostruita con tratti a volte essenziali, più spesso ridondanti e ricchi di colore, non pensati per dare una misura topografica esplicita, ma perfettamente in linea con una dimensione riconoscibile e familiare (difficile non identificare nella casbah, nel dedalo di vicoli, corti e sottani, il borgo antico di Bari, cui l'Autore, è legato da un mai reciso cordone ombelicale).
Così, alleggerito dall'uso sapiente del registro ironico, il racconto tocca, tuttavia, temi esistenziali e profondi.
L'Autore, lo alimenta attigendo a piene mani dall'inesauribile anfora rappresentata della psiche umana, soffermandosi sugli aspetti più introspettivi, quelli costituiti dai più gelosi segreti dell'anima.
Li affronta e li legge servendosi della lente che gli è più congeniale, quella della psiconalisi, sempre rigorosa com'è d'uopo per un professionista della materia quale Guglielmo Campione è, ma mai fredda e distaccata.
Il racconto interpreta, grazie alle chiavi del sogno, le dinamiche della psicologia e della psicoanalisi presenti in alcuni meccanismi inconsci legati all'identificazione della protagonista Santina: lo sdoppiamento di personalità, l'io scisso, l'io diviso che si trasforma in un altro essere, nel nostro caso in un granchio favollo, nelle notti di plenilunio.
Tema scientificamente rilevante e spesso ricorrente in letteratura come in psicoanalisi (basti pensare a Dr. Jekill e Mr. Hyde di Stevenson), e qui affrontato e risolto con indubbia inteligenza narrativa ricca di chiavi psicologiche importanti  ma immediatamente comprensibili.
Sempre, comunque, con raffinato pudore.
Per cui, ad esempio, pur muoventosi in un contesto di superstizione popolare, con masciare, fattucchiere, pozioni, riti e formule magiche, il racconto conserva sempre una dimensione illuminata e positiva che lo tiene ben lontano dall'atmosfera tetra e tenebrosa del romanzo gotico, dove le emozioni estreme sconfinano nella paura.
Qui tutto rimane sotto un dominio congiunto del cuore, della ragione e della fede, regni normalmente tra loro contrapposti ed in eterna esiziale lotta, ma che nella nostra storia trovano una sublime composizione nella scelta consapevole di Santina di consacrarsi al suo umanissimo sogno d'amore per Achille pur conservando la doppia natura, umana e magica, finalizzando, però, quest'ultima alla luce del bene, della verità, delle leggi naturali e dell'armonia del creato.
Così Santina smette per sempre i panni oscuri della masciara, per indossare quelli candidi e iridescenti della saggezza e della sapienza: sarà ancora masciara, ma masciara "bianca".
In questo modo tutto torna nel racconto di Campione nel punto esatto da cui si era partiti, il soprannome della compianta madre di Santina: "la Checchevasce", la civetta, l'uccello caro ad Atena, simbolo di saggezza e sapienza.
Infatti, in virtù della sua capacità di pre-vedere (e, quindi, pre-dire), di saper vedere prima degli altri senza ricorrere a vaticini, oroscopi o pittoreschi riti,di scandagliare le tenebre dell'animo umano, la civetta (nome scientifico Athene noctui!) rappresenta il simbolo della filosofia, il cui compito è proprio quello di far luce là dove apparentemente regna il buio dell'anima e della coscienza.
Il cerchio, quindi, si chiude mostrando nel suo perimetro il riverbero di tutto il mondo di rifermento in cui nasce e si sviluppa il racconto: l'amore ed il legame mai rescisso dell'Autore per la sua terra/città natia, il culto della memoria e delle tradizioni popolari, la sua solida cultura classica, la sua visione etica e filosofica della vita corroborata da una fervida fede reliogiosa, la passione per il mondo sommerso, non solo quello del mare, ma anche, sopratutto, dell'anima, vero terreno d'esplorazione di questo racconto.
Tanta ricchezza umana e culturale trova una composizione armoniosa ed esemplare nella storia di Santina e fa di Guglielmo Campione uno degli autori più completi ed interessanti del panorama letterario.

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