L'ANGOLO DEL GIALLO A CURA DI PIETRO DE PALMA . Stefano Di Marino : Mosaico a tessere di sangue. Collana Crimen, Cordero Editore, 2014





MOSAICO A TESSERE DI SANGUE, è un thriller ad alta tensione, spasmodico talora, francamente uno dei più bei romanzi letti negli ultimi anni. Lontanto anni luce dalle pesantezze nordiche per cui tanti impazziscono, è la riprova che quando vuoi trovare una cosa ben fatta non è necessario fare per forza molta strada.
Il protagonista è un poliziotto, Franco Belli, che ha arrestato una serial killer e l'ha consegnata alle patrie galere: solo che Moira Rachelli, la mantide assassina, grazie a dei compiacenti giudizi di persone interpellate, periti ed un criminologo soprattutto, Malter, è stata internata nel manicomio criminale di Aversa. Intanto però qualcuno gambizza Belli. E qualche tempo dopo, la pazza assassina fugge via dal manicomio dopo aver mazzato medico e suora, in tempo però per essere ammazzata a sua volta con un fucile cal.12 scaricato in piena faccia. Tutti sicuri che sia morta? Sì. Ma...la faccia è andata. Il DNA l'hanno confrontato con i rilievi contenuti nelle cartelle cliniche, ma i rilievi possono anche alterarsi. Insomma, permane un dubbio: potrebbe essere lei , come pure il contrario.
Fatto sta che la pratica è archiviata, e tale sarebbe rimasta se tempo dopo qualcuno non avesse cominciato a fare fuori tutta una serie di personaggi legati all'assassina. Infatti, radunati chissà come, tutti quanti in un albergo sul litorale di Latina, in un periodo morto della stagione, quando l'estate volge al termine, Franco ritrova Malter, e prima ancora Corrado Larcher, il solo tra gli uomini ammazzati da Moira che si fosse salvato dalla camera delle torture a cui Moira l'aveva destinato, accompagnato da una tizia in disintossicazione. Ma tra i convenuti ci sono anche Roberta e Michela due lesbiche che sembrerebbero essere capitate là per caso: ed invece poi si sa che Roberta era stata infermiera all'Ospedale Psichiatrico ed era stata intima di Moira. Poi c'è Rossana, la direttrice dell'albergo, anche lei legata a Moira da un quadro esposto, un grande occhio, dipinto guardando Moira. E il personale dell'albergo, Martina (la receptionist), Fabrizio (il barman), e Zelio (Il factotum).
La prima ad essere fatta fuori è l'amica di Corrado, in una notte di burrasca, sgozzata.
L'amica di Franco, Valeria Rinaldi, criminologa, psicoterapeuta e consulente della polizia, gli suggerisce di andarsene. Ma lui vuole scoprire perchè tutti quelli che hanno avuto a che fare con Moira siano lì accanto a lui, capitato per caso.E così non accetta il consiglio e rimane. Anche perchè la bella Rossana, a diferenza di Valeria, ha fatto breccia nel cuore di Franco. In tempo per beccarsi Larcher, fatto a pezzi con una sega circolare nell'obitorio: E poi una lunga schiera di altri uccisi: prima Zelio, che tenta un ricatto avendo scoperto l'identità dell'omicida, ma gli va male; poi l'amichetta di Roberta salatata in aria nell'auto imbottita di esplosivo, poi ancora Roberta che non si sa se uccisa o suicidatasi cadendo da un palazzo in costruzione, poi ancora Martina, sgozzata (eliminata in quanto conosce l'assassino a cui ha venduto un passe-partout dell'albergo, scomparso), altra tossicomane legata anche a Zelio.
In un albergo isolato dalla tempesta, e da qualcuno che tagliato il cavo telefonico prima, e ha tolto la luce dopo, in un'atmosfera allucinata e allucinante, avviene l'ultimo assassinio orribile (Malter sventrato, colpevole di aver violato l'intimità della Pazza dormiente ma neanche tanto), mentre Fabrizio e la cuoca sono stati rinchiusi nella cella del frigorifero dove è stato riposto il cadavere di Martina.
Il finale al cardiopalmo vede Franco combattere per la vita di Rossana rapita dall'omicida, per scoprire se sia Moira effettivamente o altro (ma chi?).
Romanzo con altissima tensione, MOSAICO A TESSERE DI SANGUE, riprende evidentemente, per chi abbia visto qualche film di Dario Argento, le sue visioni grandguignolesche; e dico evidentemente, perchè l'occhio dipinto da Rossana, a me ha fatto venire in mente subito i dipinti della casa di Profondo Rosso, tra i quali c'è lo specchio con il volto dell'assassina. Con quel film, e con altri beninteso, il romanzo di Stefano condivide il tema della pazzia: Moira la Pazza uccide per follia omicida, ma c'è forse qualcuno che uccide spinto da identici folli propositi? Oppure lei si è salvata ed è stato sacrificato qualcun altro? Certo è che emerge subito chiaro il disegno di un piano condiviso con altre persone, per cui è altrettanto chiaro che se Moira è morta qualcun altro, che l'aveva messa nelle condizioni di fuggire ed uccidere, deve averla uccisa, e quindi chi uccide in seguito non è lei. Se invece è lei, allora la cosa cambia. Comunque sia, nel caso l'omicida non sia Moira (io ovviamente so chi è), perchè ha ucciso? Per emulazione? o per una vendetta condivisa? Perchè chi uccide, lo fa in maniera atroce, come se gli affronti fatti da quelle persone uccise fossero stati fatti all'omicida oltre che a Moira. Paradossale è la colpa di Archer, che è quella di esser fuggito alla morte, e per quello degno di morire.
Al di là di questo, il movente è flebilissimo ed è la cosa che si coglie con minor facilità, mentre l'assassino (che sia Moira , una volta assunta l'altrui personalità, oppure un altro omicida) è quello che si individua più facilmente (almeno io l'ho individuato) perchè con tanti morti ammazzati in un gruppo ristretto, è chiaro che poi l'omicida, per quanto impossibile che possa parere (Stefano ha chiara la lezione di Conan Doyle) deve per forza essere quello. E del resto non si sottrae neanche ad una delle venti regole base di Van Dine, che è quella che l'assassino deve essere presente nella trama e non deve cadere dall'alto: qui l'omicida è presente addirittura nelle prime pagine, anche se la prova del coinvolgimento è scoperta solo per intervento di Germano, un poliziotto amico di Belli, che scartabella le cartelle cliniche del manicomio criminale di Aversa individuando delle cose non riportate sui database informatici.
Come ha ammesso più volte Stefano, tuttavia, la sua base non è nel giallo classico e nei grandi autori di thriller, quanto nel cinema nostrano: Dario Argento, Mario Bava, Pupi Avati sono tutti riferimenti che il lettore coglie seppure modificati nel tessuto dell'opera. Tra tutti soprattutto, La casa dalle finestre che ridono, con il suo sostrato di follia omicida, e Profondo Rosso o Suspiria, possono aver lasciato qualche traccia nel plot di Di Marino. Ma è evidente che verso altrove, i rimandi sono più evidenti: Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, è il modello evidente ( o L'Ospite invisibile di Bristow e Manning), per il gruppo che si assottiglia sempre più in uno spazio ristretto in cui opera l'assassino; ma io direi - anche, per l'atmosfera ossessiva, dei convitati braccati, che non possono neanche tentare di scappare salvo saltare in aria con l'auto, e riuniti in un hotel - che un rimando più sottile può essere quello rivolto a Paragon Hotel, un romanzo claustrofobico del 2005, un thriller di altissima tensione, di David Morrell, se non allo Shining di Stanley Kubrick.
L'omicida è folle, ma si nasconde sotto la personalità di una persona normale. Ma per cosa uccide? Semplice emulazione, se non è Moira? Ma poi perchè tale accanimento? Il plagio non spiegherebbe l'efferatezza, e soprattutto gli atteggiamenti protettivi verso Belli che non è stato ucciso ma gambizzato al tempo, e che figura come possibile vittima solo nel finale, nel duello catartico. Adombro quindi la possibilità di una personalità doppia, con due identità che convivono nella stessa persona e che fatalmente vengono a scontrarsi con il prevalere di quella più forte e malvagia.
Un romanzo adrenalico che tiene incollati sono all'ultima pagina, del maestro italiano della letteratura di genere.
Chi non sopporta le scene truculente, non legga questo libro: è il mio personalissimo consiglio.

Pietro De Palma

Commenti alla poesia “Degli orizzonti che periscono” di Guglielmo Campione Premio poesia Citta di Castello 2019, tratta da “Epiphaino”, Testi latini e greci a cura di Mariano Grossi ,Universitas studiorum editore, Mantova 2018.


Liceo Classico musicale linguistico Cirillo Bari. 

Cattedra di Storia dell’arte : Prof.ssa Chiara Troccoli Previati.





 

 DEGLI ORIZZONTI CHE PERISCONO

 

 Ofthalmos

 seguiva da incomparabile distanza

 la cerulea striscia

 dipinta da tempo sul confine

 lì dove Gea e Urano giungevano al più alto affiatamento.

 Così chiese a Thumos :

“E’ solo mia sensazione

 veder svanire

 il confine all’orizzonte

 lì in fondo da sempre

 ma ora spento

 ghermito

 cancellato

 violato

 oltrepassato

 rotolato sul lato oscuro del pianeta ?”

 Ma Quello rispose:

 “Spento non è l’orizzonte

 violato non è il confine

svanito non è il sogno.

 Sono Io

 Che Te ho capovolto

 Ed ora

 Sono Io

 Quel che tu osservi.

 Svanisce il confine illusorio

 Ove non è più il rovescio del ricamo

 Che tu rifletti

 Ma l’accecante verità della trama!”

 

 

 

 

DE PEREUNTIBUS HORIZONTIBUS

 

Ex incredibili intervallo

caeruleam lineam pictam

iam diu in finibus

ubi Gaia Uranusque

maximam concordiam assequebantur

sequebatur Ophthalmus

quaesivitque ex Thymo:

“Est solum sensus meus quidam

finem elabentem in horizonte

illic in ima parte in perpetuum,

sed nunc

exstinctum,

adreptum,

deletum,

violatum,

excessum,

in planetae latus obscurum

devolutum

videre?”

At ille respondit:

“Exstinctus non est horizon,

violatus non est finis,

elapsum non est somnium.

Ego sum qui te supinavi et

nunc sum ille quem tu observas.

Fallax finis elabitur

ubi iam non est

contrarium acu picti

quod tu reverberas,

sed tramae caecans veritas!»

 

 

Περὶ τῶν ἀπολλυμένων ὁριζόντων.

 

Ὁ Ὀφθαλμὸς εἵπετο ἐξ ἀπαραβλήτου διαστήματος

τῷ ἀεροειδεῖ ἴχνει ὑποτετυπωμένῳ ἐκ πολλοῦ χρόνου

ἐν τῷ ὅρῳ ἐνθάδε ὅπου ἡ Γαῖα καὶ ὁ Οὐρανὸς

κατελάμβανον τὴν μεγίστην ὁμόνοιαν.

Ωὕτως ἠρώτησε τὸν Θυμόν:

"Μόνον ἐμαυτοῦ αἴσθησίς τίς ἐστι τὸ ἰδεῖν

ἀφανιζόμενον τὸν ὅρον ἐν τῷ ὁρίζοντι ἐκεῖ κάτω ἀεί,

ἀλλὰ νῦν ἀπεσβησμένον,

ἡρπασμένον,

διαγεγραμμένον,

διεφθαρμένον,

ὑπερβεβλημένον,

ἐπικεκυλισμένον

εἰς τὸν τοῦ πλάνητος σκοτεινὸν μέρον;"

Ἀλλ'Ἀυτὸς ἠμείψατο:

"Ἀπεσβησμένος οὐχ ὁ ὁρίζων ἐστί,

διεφθαρμένον οὐχ ὁ ὅρος ἐστίν,

ἠφανισμένον οὐχ ὁ ὄνειρός ἐστιν.

Ἐγώ εἰμι ὃς κατέστροφά σε

καὶ νῦν ἐγώ εἰμι ὃν σὺ σκοπεῖς.

Ἀφανίζεται ὁ ἀπατηλὸς ὅρος ὅπου οὐκέτι ἐστί

τὸ τοῦ ποικίλματος ἐνάντιον  ὃ σὺ ἀνταυγεῖς,

ἀλλ'ἡ τῆς συναφῆς τυφλοῦσα ἀλήθεια"



L'analisi di questa poesia, proposta alla lettura e all'interpretazione individuale degli alunni della V AM particolarmente sensibili, si inserisce in un percorso di riflessione sul tema riassunto dalla famosa espressione latina "Per aspera ad astra" corrispettivo laico di "per crucem ad lucem", che ha visto, unitamente a questa poesia, l'analisi di una scultura contemporanea e di un brano cantautorale.
In tempi difficili come questo di pandemia , un tempo di prova e di sacrifici, ho introdotto l'argomento ricordando loro quanto piacere si prova quando si raggiunge un obiettivo programmato e come questo possa anche essere ulteriormente superato, se si osserva la realta' da un punto di vista differente. per non stancarsi mai di procedere guardando alle difficolta' come ad un' opportunita'.

Chiara Troccoli Previati

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Questa poesia parla di come le  nostre scelte e le nostre azioni possano influenzare il nostro futuro.  Per l’autore, nessun tipo di sogno è irraggiungibile. basta solamente la costanza, la volontà e la determinazione per  realizzare ciò che si desidera e non bisogna mai essere troppo  superficiali e frettolosi, perché quando si crederà di essere arrivati  al punto di arrivo, in realtà poi ci si renderà conto che la strada è  ancora lunga e che non bisogna mai dare nulla per scontato. 

Martina Lopez  

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I versi di questa poesia esteriorizzano la profonda importanza  nell’ostinarsi a seguire i propri sogni e nel perseverare nel raggiungimento dei propri  obiettivi, dando importanza alle scelte intraprese nel presente che verranno poi riflesse nel  futuro di ciascuno. La chiave di tutto secondo il poeta consiste nel non abbattersi, ma piuttosto affrontare la  quotidianità senza frivolezza e soprattutto senza la giusta dote di riflessione, perchè in un  futuro che con il tempo diventa sempre meno lontano, comprenderemo e rimpiangeremo ciò  per cui non abbiamo lottato abbastanza e ciò che invece abbiamo dato per scontato.

Anita Caggianelli 

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La profondità di questa poesia si  concentra, attraverso diverse immagini, che la nostra vita  e il raggiungimento di tutti gli obiettivi che ci prefiggiamo  in questa, dipendono per tutto il tempo dalle nostre scelte  concrete, da tutto ciò che attivamente facciamo per  guadagnare i nostri traguardi e soprattutto raggiungerli  all’orizzonte di cui parla il poeta.Il problema, però, nasce  nel momento in cui non vogliamo combattere contro le numerose insidie della vita e decidiamo di limitarci ad un  lavoro più approssimativo e superficiale che inizialmente  può darci l’impressione di aver raggiunto l’orizzonte, ma  quel confine illusorio prima o poi svanirà ed è lì che  realmente vedremo l’”accecante verità della trama”, cioè  la rivelazione della vita per come è. ciò significa che  avremo già perso il tempo per poter recuperare tutto ciò  che abbiamo lasciato e dato per scontato o semplice  insieme a tutto ciò che non abbiamo fatto o lottato per  guadagnarcelo.

Gaetano Fanelli

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La poesia scritta da Guglielmo Campione è una metafora della vita. 

Il poeta paragona il futuro all’orizzonte dove si intravedevano i propri sogni e speranze.

L’orizzonte pian piano svanisce lasciando degli interrogativi.

Rimane l’accecante verità della realtà.


Giuseppe Fraddosio

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 Secondo me questa poesia fa riferimento ad un concetto di “azione-reazione”. Tutto quello che facciamo deve servire per arrivare al nostro obbiettivo, tutto sta nel saper prendere le decisioni giuste anche quando la situazione è difficile fino ad arrivare “all’orizzonte”.

Il problema si crea quando iniziamo a prendere decisioni sbagliate perché qualcuno ci coinvolge in modo inopportuno o siamo noi che pian piano ci abbattiamo e quindi non siamo più costanti.

Arriverà il momento in cui si capirà che prendere volontariamente decisioni sbagliate ci ha portato su un’altra strada che è ancora più insidiosa e lì capiremo che potevamo evitare di sbagliare, perché ora rimetterci sulla buona strada richiederà ancora più tempo.

Sta a noi scegliere la nostra strada e come intraprenderla con l’obbiettivo di arrivare in cima e scrutare  l’orizzonte.

Alessandra Bellomo

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Questa poesia di Guglielmo Campione fa riflettere sulla vita e sul raggiungimento degli obiettivi. L’autore vuole farci intendere che essi saranno solo frutto delle nostre scelte, nei nostri sforzi, del nostro presente che si rifletterà sul futuro e non bisognerà mai essere superficiali, perché nel momento in cui penseremo di essere arrivati al punto d’arrivo, all’orizzonte, esso svanirà e solo lì ci renderemo conto che in realtà la strada è ancora lunga e l’orizzonte è ancora lontano. 

 Martina D'aluisio

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Dopo aver letto più volte queste brevi righe, posso dedurre  che l'intento di Campione era quello di farci comprendere che la “trama della nostra vita” si  baserà su tutte le scelte, su tutti i sacrifici, su tutti i problemi e gli ostacoli risolti; il  futuro di ognuno di noi è lo specchio del nostro presente. lui parla anche di sogni,  come se non ci fossero sogni inarrivabili, bisogna solo applicare perseveranza,  studio e caparbietà; queste sono le chiavi del nostro successo.

Lorenzo Loconte

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In questa poesia Guglielmo Campione, vuole farci capire come le nostre decisioni influiscano sul nostro futuro; Guglielmo dice anche che non esistono dei sogni irraggiungibili, anzi, per arrivarci c’è bisogno di volontà, studio perché questo segnerà il nostro futuro e la strada che percorreremo. potrà anche essere difficile ed insidiosa, ma solo lì capiremo di aver sbagliato, cercando di raggiungere la strada giusta, facendoci capire di non aver lottato abbastanza per i nostri obiettivi e avendoli dato per scontato.

Martina Cassano

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E’ incredibile quanto l’arte riesca in poco tempo a farci arrivare dei  significati talmente forti, importanti attraverso i mezzi che essa ha a  disposizione. 

L’immaginazione dell’arte scultorea, le parole di una poesia, la melodia  di una canzone. 

Le tre opere di cui parlerò adesso sono tutte accomunate dallo stesso  significato che mi permetto di riassumere in poche righe: affrontare la  vita così com’è, così come si presenta, con i suoi lati positivi e negativi  e fare tesoro di entrambi, soprattutto di quelli negativi, perché sono  quelli che ci rimangono di più. non abbattersi, non fermarsi al primo  ostacolo che si pone di mezzo al nostro cammino ma al contrario,  andare avanti perché solo con sudore e fatica si possono raggiungere  grandi risultati, magari anche quelli che noi sognavamo soltanto. riporto alcune frasi che mi hanno colpito di più della canzone “senza  monito (con affetto)” di Troccoli: 

“Sarà proprio il trampolino di lancio  

e capire che il mondo va affrontato” 

“cercare sempre di essere migliori” 

“scoprire di non essere affogato” 

Frasi allusive, a tratti forti accompagnate da una melodia grintosa che  vuole incitare, vuole far prendere coraggio a chi l’ascolta. lo stesso la poesia “degli orizzonti che periscono” da “Epiphaino” di  Guglielmo Campione, dalla quale traggo gli ultimi versi che cambiano  totalmente la visione della poesia stessa: 

“Sono io 

che te ho capovolto 

ed ora 

sono io 

quel che tu osservi. 

svanisce il confine illusorio 

ove non è più il rovescio del ricambio 

che tu rifletti 

ma l’accecante verità della trama!” 

In poche parole Campione vuole comunicarci di non fermarci a quello che noi  vediamo poiché anche ciò che ai nostri occhi si dimostra negativo in  realtà può essere visto da una prospettiva diversa, che può rivelarsi  come un’opportunità per conoscere la verità. 

Domenico Lombardi 


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Questa poesia fa riflettere sulla vita e sul raggiungere i determinati obiettivi. 

L’autore vorrebbe farci presente che gli obiettivi da raggiungere, saranno solo frutto delle nostre scelte,  dei nostri sforza, di ciò che facciamo ora e che ci servirà in futuro. 

Non bisogna essere superficiali e non bisogna mai pensare di essere arrivati all’obbiettivo, perché è  proprio lì che crolla tutto, bisogna sempre continuare e migliorare perché la salita è ancora lunga .

Davide Orofino

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La poesia tratta dalla raccolta Epiphaino “Degli orizzonti che periscono”, scritta dallo psichiatra Guglielmo Campione parla di come i nostri sogni possono essere realizzati se solo ci crediamo realmente, senza  mollare mai, con costanza e determinazione perché quando crederemo di essere arrivati al nostro  obbiettivo ci rendiamo conto che non siamo ancora giunti all’orizzonte, che la strada è ancora lunga.  crederci fino in fondo è la chiave del successo. 

Damiano Minenna 

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La poesia intitolata “Degli orizzonti che periscono” credo contenga nel suo titolo gran parte del proprio significato. gli orizzonti a cui il poeta fa riferimento sono la terra ed il cielo che si incontrano, e pare che quel punto di intersezione tra i due segni la fine di qualcosa, ma poi questo è infinito. i dubbi che sorgono a thumos sono normali, perché sembra che davvero guardando la linea d’orizzonte tra maree cielo tutto finisca. al tempo stesso colui che risponde ha ragione in quanto noi pensiamo che finisca, e che non ci sia più nulla; noi crediamo che un sogno possa finire o che un confine delimiti qualcosa anche quando la terra continua il suo cammino naturale. siamo noi che decidiamo cosa guardare, e quel confine, quella linea che crediamo delimiti tutto è solo una nostra illusione che dobbiamo abbattere.

Andrea Lupelli

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Chiara Troccoli Previati è nata a Bari nel 1958. 

Studiosa e critica d’arte, insegna Storia dell’arte nei licei e, dal 2008, Storia dell’arte cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Odegitria” della Facoltà Teologica Pugliese di Bari. È autrice di saggi di storia della fotografia e di arte sacra. 

Recensione di Chiara Troccoli del romanzo “LA CANZONE CHE SALVO’ ARAX ,edizioni ILMIOLIBRO 2018

 Quale sarà la canzone che salva Arax?

 

di Chiara Troccoli Previati



RECENSIONE






 

 Non appena prendi questo libro in mano non vedi l’ora di intuirlo.

Cominci a leggere e sei proiettato in un tempo che abbiamo vivo dentro i ripostigli del cuore e affiora magicamente, spesso grazie ad accidentali incontri, a una telefonata, al vissuto dei nostri figli, al più insignificante degli oggetti in fondo a uno scaffale o a un cassetto che ha il potere di farti fare balzi all’indietro e ti chiedi se è davvero indietro nel tempo quel tempo risvegliato. Il bello è che accade sempre all’improvviso, come una sorpresa, che è zucchero e sale della vita. Ti spiazza e sei tu a decidere se calartici dentro o glissare per non rischiare di farti coinvolgere.

Balsamo speciale e collante del tempo è la musica ed è proprio quella su cui l’autore fa leva fin dall’inizio del racconto per portarti agli anni settanta in un quartiere come altri della città di Bari, né chic né periferico, vissuto e navigato da ragazzi liceali di quegli anni ( che non sono gli stessi nostri perché la storia si ripete ma ogni tempo è unico), ragazzi per i quali l’amicizia, l’amore, il divertimento, la scoperta, il sotterfugio, l’incanto sono pane quotidiano. Insomma ragazzi, quindi gente che, come dice l’autore, sta ‘fin dentro il collo alla vita’.

La abilità di Guglielmo Campione è quella di spingerti dentro la storia a ritmo di rock, direi, attraverso le capillari descrizioni che non amano mezze misure, ti sospingono, quasi obbligano a figurarti quelle strade, quegli angoli, gli abiti, i profumi, i personaggi attraverso i loro soprannomi incollati per sempre addosso dagli amici; qualsiasi dettaglio è così meticolosamente precisato che non può non balzarti davanti agli occhi. Ha una memoria straordinaria l’autore e te la sa trasferire sapientemente toccando tutte le corde, anche per chi, come me, non ha frequentato quei luoghi e quel quartiere, ma quegli anni li ha vissuti, da ragazza. Ma è l’intreccio delle storie individuali e di gruppo, e non solo, che è ordito sotto lo scorrere in superficie del racconto a farti restare viva quella domanda iniziale e a farti fluire veloce tra le pagine. Una cosa è certa: il  nome Arax fino al tredicesimo capitolo è assente. Certo, all’ottavo è comparsa una ragazza diversa dalle altre, una Barbie, ma con le labbra carnose, cioè vera, con abito rosso lungo e scollato.  -No, non sarà lei-, pensi. Ha un altro nome.

 La storia continua nei suoi rimandi puntuali al vero della vita: palpitazioni, speranze, passioni, rimpianti, inganni, e la musica ne è il fil rouge.

Ma la domanda resta, nascono pronostici mentali su quale tra le moltissime canzoni citate e scritte, parola per parola, anche in traduzione se straniere, sarà quella promessa nel titolo.

E, soprattutto, perché questa Arax , che ormai affiora tra le righe, va salvata?

Fondamentale e prezioso nella trama è il puntuale rimando anche alla grande storia.

Saper coniugare macro e microstoria, quella dell’Uomo e quella degli Uomini è caratteristico di chi è di ampie vedute, sensibile, attento allo sguardo inclusivo e sa abbracciare il più ampio scenario della storia sociale e antropologica. E’ il caso dei tragici eventi dei genocidi degli Armeni, che affiora dal profondo della storia individuale di un personaggio del libro e ne stravolge l’esistenza. Che salto! Che peso specifico assume la narrazione della microstoria barese alla luce di questa più ampia scenografia dei macro-eventi, dei quali peraltro, si parla così poco ancora, finanche nelle scuole! Non dimentichiamo che una comunità di Armeni si è integrata con la popolazione barese sin dal 1924 nel villaggio di Nor Arax di cui si parla nel libro.  L’intensità della narrazione che anima il racconto acquista dunque uno spessore maggiore senza tuttavia intaccare o intorpidire la leggerezza espositiva, cifra stilistica di questo romanzo.

Non viene tralasciato neanche l’aspetto psicoanalitico del senso della colpa e del riscatto dal dolore che ha permanenze transgenerazionali e produce atti terribili, che si pagano in prima persona e cercano salvezza. Alla fine quella salvezza si trova, ce lo garantiva il titolo, ma dove? In quale brano? E dopo quante peripezie che si dipanano intersecandosi tra le storie dei singoli personaggi, che ormai conosci e hai vivi davanti agli occhi e ti avvincono, giungerà la salvezza, che è salvezza profonda, dell’anima, è riscatto dalla colpa e dalla pena che la accompagna?

Non voglio svelare quella canzone perché è molto più di una canzone, è una poesia. Era quello che ancora mancava al romanzo nel quale emerge tutta la complessità e poliedricità della personalità del suo autore: la sua professione di psichiatra, le tante e diversificate passioni, dalla musica allo studio della Storia, alla poesia, al collezionismo e tanto altro ancora mescolate tra loro indissolubilmente e sempre rimeditate, vivificate da una capacità mnemonica non comune, dote forse di chi ha sempre vissuto e vive con incredibile attenzione e passione verso tutto e tutti.

E non è allora un caso che sia una poesia la canzone che salva Arax, perché quella comunità di armeni del villaggio barese di Nor Arax è stata sostenuta e salvata da un poeta, armeno egli stesso, Hrand Nazariantz, il primo armeno ad arrivare a Bari nel 1913; grazie a lui sono stati risparmiati dalla morte, cui non scamparono moltissimi dei loro connazionali.

 Il cerchio si chiude e mi fa pensare a una verità che ho sulla pelle e nel cuore.

La poesia salva, sempre.

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Chiara Troccoli Previati è nata a Bari nel 1958. 
Studiosa e critica d’arte, insegna Storia dell’arte nei licei e, dal 2008, Storia dell’arte cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Odegitria” della Facoltà Teologica Pugliese di Bari. 
È autrice di saggi di storia della fotografia e di arte sacra.