Parliamo di Bellezza di Chiara Troccoli Previati






Partiamo dalle foto di sole al tramonto e all'alba.

Quando siamo di fronte ad uno spettacolo del genere cosa proviamo dentro? Ma, soprattutto, a cosa pensiamo?

Facciamo esperienza vera di bellezza? 
Sentiamo vivo in noi un innegabile ANELITO ALLA BELLEZZA?
 Contempliamo. Ammiriamo. 

Ma se tutto si fermasse qui, al piacere estetico, al dire -mi piace! -, -che bello! -, non ci illumineremmo, non sentiremmo aprire dentro di noi alcun cancello che da questo finito, contingente spettacolo, si espanda verso l'infinito, il profondo.

Il bisogno interiore di bellezza, i cui canoni l’arte delle prime avanguardie storiche hanno messo in discussione fino a proporne, in modo sempre più eclatante nel corso del ‘900, il loro netto ribaltamento, è ancora e sempre una emergenza oggettiva dell’uomo, anche di quello confuso, distratto, impreparato, inconsapevole, sordo, superficiale, cieco talvolta, presuntuoso, del nostro tempo.

Dunque, da sempre, dicevo: Facciamo l'esempio dell'arte preistorica per la quale, non a caso, si parla di ‘arte e magia’.

Pensiamo all'uomo che, senza alcuna inculturazione, ha visto per la prima volta un arcobaleno, un temporale coi fulmini, un tramonto. Ha assistito al cambio delle stagioni, ha ammirato la luna, il sole e le stelle.
Quest'uomo ha sentito l'esigenza di 'mettersi in contatto’ col cielo da cui ha visto provenire questi meravigliosi o tremendi eventi e cosa ha realizzato, creato, che esigenza di comunicare quel che sentiva dentro, ha avuto?
Ha innalzato megaliti verso quel cielo. Semplici menhir o addirittura costruzioni complesse come nel Caso di Stonehenge. Lo stupore di fronte a questa ‘opera d’arte’ nasce quando veniamo a conoscenza del fatto che il cerchio interno dei megaliti di Stonehenge, le cosiddette ‘pietre azzurre’ (2100 ca a C.) ovvero la dolerite maculata son stati prelevati da una cava distante circa 200 km dal sito famoso. Che motivazione interiore avevano per compiere un simile immenso sforzo quegli uomini? L’azzurro è il colore del cielo e quella era un’opera che, come un osservatorio astronomico, mostrava quel che loro avevano compreso del cielo.

Quello che ho potuto sperimentare e osservare in me e negli altri con cui di quest’argomento ho discusso è che quando dall'esperienza fisica si passa a quella metafisica si scopre la meraviglia. 
 Ci accorgiamo di avere due sguardi: quello degli occhi del volto, della carne, e quello degli occhi della mente, meglio, dello spirito. L'azione sinergica dei due sguardi coglie più profondamente la bellezza come luce che ci illumina e ci muove quindi verso la scoperta e la conoscenza. (Brano di Riccardo di San Vittore pag. 67 da Benjamin maior)

Parlando di bellezza abbiamo già visto la bellezza della natura ma anche la bellezza creata dall'uomo ovvero quel che merita il nome di opera d'arte. (La radice ariana di arte è ar che in sanscrito vuol dire muoversi, andare verso qlc. no, dunque l’arte è comunicazione.)

La più compiuta definizione di bellezza viene dai greci che parlano di completezza della bellezza usando il temine kalokagathia: riferito ad un soggetto indica colui che alla bellezza fisica unisce la rettitudine morale così da raggiungere l'ideale di persona; riferito ad un oggetto il kalos kai agathos indica ciò che è bello e funzionale, fatto a regola d'arte. Risponde cioè a criteri di gradevolezza estetica derivanti dall’unione di armonia, equilibrio, proporzione, perfezione che però l'artista sa bene, avendo i modelli davanti, che in realtà non esiste ed è dunque qualcosa di ideale.
 Dunque, l’artista classico greco scolpisce l'uomo come sarebbe se fosse divino, perché la scultura, così come l'architettura dei templi, sono pensati dai greci per essere un omaggio alla divinità! Dunque, non possono essere men che perfetti.

Successivamente, dopo il momento dell'arte classica greca di cui questi erano i canoni, si comprende gradatamente passando dall’età post-classica a quella ellenistica come in realtà esista e pertanto vada contemplato, anche il non perfetto, il diverso, la vecchiaia, il dolore, che entrano a far parte delle rappresentazioni artistiche che comunque noi definiamo bellezza e allora comprendiamo una cosa importante: il contrario della bellezza non è la bruttezza. Arriveremo più tardi a spiegare cos'è.

Cosa hanno secondo voi in comune le due bellezze cui ho accennato, quella naturale e quella creata dall'uomo?

Quel che condividono e' certamente il dato naturale, la natura in tutti i sensi, perché l’espressione artistica nasce dal confronto con il dato naturale che ci circonda, è mimesi e insieme suo superamento, ma, quello che condividono è lo svelamento dell'invisibile attraverso il visibile, che rende evidente la relazione tra finito e infinito. L'esperienza sensibile della bellezza ci pone dunque in relazione con l'infinito, con l'assoluto, con ‘l’oltre’.

La contemplazione attenta della bellezza rende consapevole chi la attua di avere dentro di sé una speranza di eternità. L’esperienza della bellezza ti colpisce come un dardo e ti annienta l'idea del nulla. Ecco perché, dice il filosofo Wittgenstein nel 1916, che - il bello è ciò che rende felice- perché l'idea del nulla ti angoscia mentre l’idea di eternità, di un oltre, ti rasserena.

Ma facciamo un esempio di bellezza creata dall'uomo da parte di un artista rinascimentale che si suole identificare con l'idea di bellezza: Botticelli.
Leggiamo insieme La Primavera, opera che incanta tutti, esperti e neofiti per quei canoni classici di cui abbiamo già parlato.
Lettura dell'opera e scoperta dei suoi molteplici significati dei quali una spia è il porsi la domanda, dopo una attenta visione contemplativa: - Ma perché se l'opera si intitola La Primavera la sua rappresentazione non è al centro del quadro? Chi c’è al centro? E chi sono gli altri personaggi?

Possiamo quindi affermare che per fare esperienza della bellezza dobbiamo passare attraverso:

a) la contemplazione, silenziosa (perché cm già diceva Platone la bellezza chiama, associando il nome kalos al verbo kaleo e se io non sono in silenzio non riesco ad ascoltare!!!)

b) la scoperta e la conoscenza che nasce quando la ammirazione diventa cosciente

c) il godimento, la felicità che ne viene. (Come sono felice quando riesco a entrare nel messaggio che la natura, l’artista con la sua creatività vuole comunicarmi!)

Dimostriamo ora come il contrario della bellezza non sia la bruttezza leggendo un'altra famosa opera coeva della precedente: La ‘Maddalena penitente’ di Donatello. Scultura che si propone come apparente negazione della bellezza esteriore. Nessuno guardandola direbbe subito: -che bella! -
Una volta che ci educhiamo a relazionarci con la bellezza, con l’arte autentica e cominciamo a riconoscerla e a gustarla ne veniamo rapiti e impariamo a immergerci nelle sue profondità. Affiniamo la nostra sensibilità imparando a contemplare la bellezza e capiamo che il nostro destino non è solo nel tempo che irrimediabilmente si dissolve ma è nell'infinitezza.

Come riconoscere la bellezza? Con l'esperienza e la conoscenza.

Come educarsi alla bellezza? Con piccoli gesti che stimolino lo stupore, il desiderio di lasciarsi sorprendere, l’amore per le piccole cose, anche una piantina in camera da curare e veder crescere, la visita a luoghi naturalistici e paesaggistici, a luoghi culturali ricchi di arte, insomma si può essere educati alla scoperta della bellezza, fin da piccoli.

Vi siete mai chiesti perchè quando siamo in una cattedrale paleocristiana, o gotica, rinascimentale, avvertiamo un senso di pace, di splendore, che ci predispone alla contemplazione?

E vi siete chiesti perché invece in moltissime chiese moderne anche se progettate da illustri e famosi architetti si resta indifferenti e queste ci appaiono non dissimili da luoghi mondani come un auditorium, e non certo sacri, come la funzione liturgica dell’edificio richiede? Sono luoghi vuoti, perché non connettono l’aspetto con la funzione, il luogo non rimanda alla presenza invisibile di Dio.

A questo punto proviamo a capire quale possa essere il contrario della bellezza: lo diceva il grande Cezanne, artista-filosofo, capace di trascorrere gli ultimi 10 anni della sua vita a dipingere sempre la stessa montagna, il Monte Saint Victoire, spostandosi solo poco più a sn o poco più a ds.
In un percorso conoscitivo-speculativo sulla realtà che gli sta davanti Cezanne si sente sollecitato a una scoperta senza fine che passa dalla restituzione quasi fedele, pur con la sua tecnica a spatolate, dello spettacolo naturale che ha davanti agli occhi ad una rappresentazione della profondità dello stesso; passa gradatamente da un qualcosa di visibile all'invisibile, che è qualcosa che ci sopravanza. Penetrare il finito per arrivare all'infinito e' il suo scopo e non perfezionando la tecnica, raggiungendo un effetto finale gradevole e somigliante alla realtà, perché questo-come lui stesso dice- suscita l'ammirazione degli imbecilli! 
Il suo fine è una pittura vera e sapiente che sveli come quel monte contenga l'essenza ontologica della bellezza, cioè Dio. 
Ecco perché l'azzurro diventa gradatamente più pregnante.
È' il volto che lui cercava in quel monte.
Ha raccontato la serie di trasfigurazioni verso la bellezza andando dal monte verso Dio.
Questa è, inaspettatamente, arte sacra.

Ecco cosa diceva Cezanne: il contrario della bellezza NON è la bruttezza ma e' la stupidità, la volontaria ignoranza.

La bellezza del mi piace/ non mi piace ti imprigiona, non rimanda a nient'altro e finisce scioccamente e vanamente lì', non ti porta a trascendere e, se credi, ad ascendere.

La bellezza vera invece ti interroga, ho provato a dimostrarlo, e ti fa partire verso un avventuroso percorso di conoscenza che prima o poi ti conduce alla verità.

Posso aggiungere che se la bruttezza non è il contrario della bellezza essa può coincidere con la bellezza stessa. Umberto Eco dopo aver scritto il “Manuale della Bellezza” ha scritto quello della Bruttezza per dimostrare che la Bellezza è negli occhi di chi guarda e sa guardare.

Quando si usa e spesso abusa della frase di Dostoevskij" la bellezza salverà il mondo" ci si ricorda cosa lui intendesse per bellezza? E in che senso salverà il mondo?

Cominciamo col dire che KRASOTA’ in russo vuol dire molto più che bellezza, significa meraviglia, splendore, fascino, eleganza, perfezione, insomma; nella costruzione russa della frase MIR SPASET KRASOTA’ mir significa mondo (ma anche pace), dunque la traduzione dovrebb’essere -il mondo (lo)salverà la Bellezza? Cioè il mondo sarà salvato dalla Bellezza? Qual è la Bellezza che può pretendere di salvare il mondo?

Quella bellezza, diventando 'bruttezza', perché avrà una parabola tragica terrena, il mondo lo ha salvato, annunciando la resurrezione dalla morte. Ma sta a noi scoprirlo sulla nostra pelle.

Chiara Troccoli Previati