Santina Favolla la masciara bianca :recensione di Chiara Troccoli Previati.




Guglielmo Campione torna alla scrittura con un lungo racconto che non lascia tregua.

Lo leggi tutto d’un fiato: non puoi fare a meno di lasciarti incantare nello svelamento, pagina dopo pagina, degli eventi di una strana storia, ricca di magia e traboccante fantasia eppure vera e originalissima.

Santina ne è protagonista: una quattordicenne figlia di masciare o fattucchiere da generazioni che appare come una novella Alice per la sua genuinità e per la ricchezza stravagante dei vissuti in cui volta per volta s’imbatte catturando prestissimo la fantasia e sete di avventura del lettore così come del resto tutti i personaggi, i quali, poco a poco compaiono tra le pagine del racconto.

Si entra immediatamente, come è consueto nei racconti di Campione, nel mondo fisico e oggettivo dei protagonisti, non svelato nelle coordinate geografiche reali ma certamente riconoscibile agli occhi di chi questi luoghi conosce e vive.

Cosí ci si addentra e si percorrono le stradine strette da ‘casba’ del centro antico, così simile a tanti di altri contesti mediterranei e medio orientali , nei quali c’è sempre un’atmosfera di sussurri e grida, di sguardi curiosi e indiscreti, di mistero e occulto, soprattutto se a svelarsi sono i segreti delle ‘masciare’ e fattucchiere, coi loro poteri oscuri e insondabili.

Una vicenda universalmente mediterranea.

Dopo averci fatto addentrare nella casba di questa città che guarda a Oriente, l’autore ci rivela ben presto il segreto di Santina: fin da bambina questa insolita protagonista scopre di possedere una doppia natura.

I racconti che fan voli pindarici, come questo, partono sempre da un’occasione, che dobbiamo intendere proprio in senso ‘montaliano’. Per levarsi in volo si parte da terra, sempre; il volo si spicca se hai lo sguardo interiore giusto e vedi un’occasione che diventa epifania.

Forse un' immagine ben impressa nella memoria dell'autore da bambino un bel giorno riaffiora casualmente, grazie a una foto ritrovata e fino ad allora dimenticata.

Ecco, forse, la scintilla che provoca l’epifania di questo splendido racconto meticoloso nei dettagli, come è nello stile di Campione.

Egli ci incanta partendo dalla concretezza di una situazione storico-antropologica, con diramazioni geografiche ampie, ben fondata storicamente come descritto da lui stesso nella prefazione al libro , arrivando ai confini dell’irreale fantastico, del fantasy apparente,ma così vero da poterlo toccare; fino a giungere poi a profondità che si pregustano ed intuiscono, a ben guardare, fin dall’inizio.


(Personificazione del Kairos, II sec. A.C.)

Già l’introduzione della parola Kairos infatti, al principio del racconto, ci illumina sulle possibili ampiezze che questo testo ci offrirà: il mondo dei riti magici, delle pozioni e filtri d’amore, di petali di fiore e raggi di luna, di malocchi e date fatidiche, di giaculatorie e saluti obbligati alla ‘fata della casa ‘, di trasmissione di conoscenze da nonna a nipote masciàra.

Un mondo magico che s'arricchisce man mano di luce e sguardi che attraversano l’animo, di sentimento religioso sotteso ad ogni azione, di ricerca di senso, di fede nella morte e resurrezione, di cultura classica, di mondi antichi mediterranei.


Tutti i racconti di Guglielmo Campione, questo ancor più, chiedono d’esser guardati prima ancora che letti: sono una sequela d’immagini che si srotolano come un nastro filmico e nel mentre leggo mi sovviene la memorabile sequenza figurata in ben ventitré giri che si avvolge sulla Colonna di Traiano e narra delle sue vittoriose campagne belliche in Dacia. Arricchita da rappresentazioni di luoghi, di spostamenti, di battaglia, di vincitori e vinti che mantengono tutta la loro dignità umana, queste realistiche scene non perdono mai di tono narrativo non cedono mai alla pausa, alla stanchezza e hanno smalto vivo addosso.

Così è la regia narrativa sopraffina di Campione, il quale sa passare dalla panoramica al flash-back e si sofferma frequentemente sulla zoomata come accade in un mirabile episodio che ascolti mentre leggi, perchè i suoni della lingua madre affiorano intensi, anche se sussurrati. Alludo al capitolo 7 che si svolge in parte in un sottano, nella stanza da letto di un defunto, un certo Colino. Ě una scena nella quale si snoda una teoria di personaggi popolari , tra i quali le immancabili lamentatrici prezzolate (prefiche) che vegliano al capezzale il defunto, alternando un rosario chiacchierato agli immancabili aspri pettegolezzi sulla vita erotica della piacente giovane moglie del defunto. Una scena indimenticabile e concretissima, da film neorealista in cui il comico confluisce nel drammatico e viceversa.



Ma torniamo al Kairos, vero bandolo della matassa di questa storia: esso apre e chiude questa narrazione a uroboro come nelle "composizioni ad anello" (Ringkomposition) che si trovano nei testi classici greci e romani, nonché nella Bibbia ebraica.


Il racconto comincia, finisce e ricomincia lí dov'ě iniziato, portando in sé il germe di vita, morte e rinascita.


Kairos ě il più nobile tra i quattro termini con i quali nell’antica lingua e cultura greca si parla di tempo, inteso contemporaneamente come tempo attimale ed eterno, perché fatidico.

Si riferisce al tempo ‘opportuno’, quello giusto perché un’azione si compia e sia compiuta, un tempo rivelatore da cogliere e vivere nell’immediatezza del quotidiano e che ti aiuta a ‘leggere’ gli eventi della tua vita interiore. In teologia è il tempo in cui Dio agisce, il tempo cruciale dell’incontro con Dio, guida del tuo operare.

Nella vita di Santina affiora fin dall’inizio l’entità del kairos, non casuale, da cogliere, comprendere e lasciar agire. Si presenta nelle prime pagine nella scoperta della sua doppia natura, poi nella difficile gestione del suo segreto soprattutto dal momento dell’incontro con Achille, l'uomo col quale nasce un'avventura sentimentale autentica quanto segreta e con profondi risvolti psicologici.


La storia d’amore tra Santina e Achille parla di eternità, di sogno, di incanto e dolcezza, come la più autentica delle storie d’amore.

I sogni e i segreti sono il sale della vita e il loro incontro ne è ricco fin dagli esordi, necessariamente.

Con mosse reciproche accorte i due costruiscono la loro storia, così speciale ma anche così normale, in maniera mirabile, giorno dopo giorno, fino alla loro unione matrimoniale che avviene il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate.


"Il solstizio è un simbolo della rinascita spirituale nonché il simbolo della sconfitta del male e delle tenebre da parte del Sole e il trionfo della luce”, recita a tal proposito il racconto nel finale.

Santina, pur continuando in parte la tradizione di guaritrice di sua madre e sua nonna epurerà dal suo ruolo, tutto ciò che non sia frutto di ‘magia naturale’: richieste di “fatture d'affàscino, malocchi, filtri d'amore e quant'altro fosse da fare contro la volontà di qualcuno come era secondo la tradizione delle vecchie masciare della generazione di Nonna Porzia; un modo di esercitare il potere magico non luminoso che proprio per questo nei secoli subì l'appellativo di nero.”


Grazie alla guida di Donna Innocenza medium di rinomata fama, maga e sua guida, figura centrale del racconto, Santina impareră a praticare solo una magia naturale , guidata attraverso “ lo studio delle sue leggi e in armonia con esse, ritenendo che ogni organismo, fenomeno o evento abbia un posto nel disegno universale stabilito da Dio, in quanto partecipe di un'unica Anima del mondo.

Santina, sottometterà la propria volontà alle leggi del cosmo in armonia con l'universo grazie al senso morale basato sull'obbedienza alla volontà di Dio come gli aveva insegnato Innocenza.

Farà dunque una scelta di campo precisa”, luminosa e per questa sua rivoluzione verrà soprannominata la Masciara bianca.

Nulla è casuale, nella finzione narrativa così come nella vita reale?
Con questo interrogativo pare congedarci l'autore.

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