Saint Jerome, The conversion of Paula,1898
olio su legno (112.7x-50.8cm)
“Tale brama d’amore che nel mio cuore
si è insinuata
versa sui miei occhi
densa nebbia rubando dal petto l’anima fragile.”
Archiloco ,Frammento 191 W.
«Chi odia il fratello»,
cioè chi non lo ama,
«è omicida»
Vangelo di Giovanni 3,15.
L’innamoramento è una esperienza mistica allo stato
selvaggio,
ma dove c’è veramente l’estasi.
Chi non ama, chi è indifferente, è omicida.
Non amare equivale a uccidere.
Questa è la serietà del credere all’amore .
Se c’è qualcosa sulla terra che apre la via all’assoluto,
questa cosa è l’amore,
luogo privilegiato dove arrivano angeli.
Il cuore è la porta di Dio.
Ermes Ronchi
La poesia del disamore , interrogandosi ,cercando un’
espressione di sublimazione, introspezione ed elaborazione del lutto nella
scrittura , si è sempre posta come un antidoto alla rabbia agita ,al cinismo
reattivo e ideologizzato nella misoginìa, alla malinconia, alla nostalgia, all’orgoglio
ferito, alla ferita narcisistica dei fantasmi d’abbandono che ricordano la
prima relazione con la madre, alla disillusione corrosiva degli affetti conseguente
alla perdita del soggetto d’amore idealizzato.
Il poeta ha però potere solo su chi corrisponda ai suoi
testi con immaginazione “empatica”.
Questa mobilitazione interna
è una sorta di transfert psichico, un processo di trasposizione di
emozioni e affetti che qui, però ,proprio perche condiviso, può farsi strumento
di consapevolezza.
Sappiamo anche che questo “trasferimento” di esperienze
facilita nuovi apprendimenti quando altre analoghe esperienze si siano già
verificate.
Nell'esperienza poetica, infatti, non è la pura
percezione nella lettura o nell'ascolto a trasformare il lettore ma il
desiderio: è il desiderio del lettore che permette l’immedesimazione e lo
implica nel testo.
Questo è il ponte che ogni autore si augura che unisca e
metta in contatto l’ esperienza privata individuale e l’ esperienza universale.
Antonin Artaud diceva "
Questa mattina io ho per la prima volta compreso la
differenza tra uno stato d'animo e un sentimento: nel primo si prende ciò che
viene, nel sentimento si interviene» e intervenire vuol dire implicarsi,
coinvolgersi .
Se il lettore – con la sua storia, le sue peculiarità, il suo desiderio – interviene
e si implica/coinvolge , dal semplice stato d'animo si giunge al
sentimento “.
A quello che scriveva Artaud aggiungiamo che la scrittura e
l’immedesimazione può (o non ) permettere di giungere alla coscienza dell’emozione, nella sua
accezione piu corporea e ancora non elaborata psichicamente, e poi a quella dei
suoi legami con lo stato affettivo , il sentimento.
E che quest’operazione, l’apprendere dall’esperienza come
diceva W.R.Bion, è ciò che fonda il Pensiero .
Un pensiero sempre più carente,d’altronde, che consegna i
maschi feriti sempre più ,nell’esiziale abbraccio compulsivo delle droghe,
delle dipendenze patologiche del gambling e dei social network ,
all’impulsività reattiva e violenta nei confronti delle donne, (ma anche di
tutto ciò che non ulula con i lupi come scrivevano E.Gaburri e L. Ambrosiano), spesso
sfortunatamente colluse inconsciamente con i loro violentatori e soprattutto
detentrici di un’immagine inconsapevole dell’amore e del maschio altrettanto
oscure e prive di capacita di pensiero e sublimazione.
Le tipologie e le sfumature del sentimento del disamore
paiono essere molteplici.
Una particolare accezione del disamore è quella che Wisława
Szymborska canta in “ Amore a prima vista”:
“Sono entrambi convinti che un sentimento improvviso li uní.
È bella una tale certezza ma l’incertezza è piú bella. Non conoscendosi,
credono che non sia mai successo nulla tra loro. Ma che ne pensano le strade,
le scale, i corridoi dove da tempo potevano incrociarsi? Vorrei chiedere loro
se non ricordano –una volta un faccia a faccia in qualche porta girevole? uno
“scusi” nella ressa? un “ha sbagliato numero” nella cornetta? –ma conosco la
risposta. No, non ricordano. Li stupirebbe molto sapere che già da parecchio
tempo il caso stava giocando con loro. Non ancora del tutto pronto a mutarsi
per loro in destino, li avvicinava, li allontanava, gli tagliava la strada e
soffocando una risata si scansava con un salto. Vi furono segni, segnali, che
importa se indecifrabili. Forse tre anni fa o lo scorso martedí una fogliolina
volò via da una spalla a un’altra? Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla tra i cespugli dell’infanzia? Vi furono maniglie e
campanelli su cui anzitempo un tocco si posava sopra un tocco. Valigie
accostate nel deposito bagagli. Una notte, forse, lo stesso sogno, subito
confuso al risveglio. Ogni inizio infatti è solo un seguito, e il libro degli
eventi è sempre aperto a metà”.
Citando Szymborska ,Concita Di Gregorio ,in un recente
saggio conferenza sul Disamore ,edito da Nottetempo dice : “Io penso che il
disamore sia un amore disabitato. Cioè, il posto dell’amore c’è, è quello lí,
ma chi doveva stare in quell’esatto momento e proprio in quel posto ha mancato
l’appuntamento, ha come disertato un impegno col destino, senza sapere tuttavia
di averlo disertato.
È come se, nel tempo e nello spazio, ci fosse un luogo che è
pieno di quell’amore, a prescindere, e le persone che dovrebbero occupare quel
luogo non lo occupano.
Ma quell’amore c’è, e quelle persone ci sono.
È come una stanza pronta per gli amanti, senza gli amanti.
Italo Calvino,ne “Il castello dei destini incrociati” dice
al riguardo : «È in cielo che tu devi salire, Astolfo, su nei campi pallidi
della luna, dove uno sterminato deposito conserva dentro ampolle messe in fila,
le storie che gli uomini non vivono, i pensieri che bussano una volta alla
soglia della coscienza e svaniscono per sempre, le particelle del possibile
scartate nel gioco delle combinazioni, le soluzioni a cui si potrebbe arrivare
e non si arriva».
La sensibilità femminile è certamente più sottile e tutt’altra cosa da quella
maschile ma il disamore per il maschio, è un’altra cosa, e pare più disperante
. Non è l’amore sprecato , un’occasione buttata via pur nella tragica
inconsapevolezza che tuttavia salva da ben piu gravi pene.
La lirica di
Szymborska pare sottolineare con sereno distacco il ruolo del destino di un amore allo stato
embrionale e dunque potenziale che però malinconicamente non si svilupperà :
tutt’altra cosa dal destino tragico del disamore ,l’ossessione, la
disperazione, il logoramento del sentimento d’amore, la fine di un amore, la
perdita di interesse, l’esaurimento, l’ indifferenza, l’abbandono, il
tradimento, l’attaccamento “staccato” catastroficamente a forza, l’amore come
una selva spinosa, intricata e faticosa, da cui puo generarsi paranoia,cinismo,
rabbia, sentimento di vendetta.
C’è un destino che malinconicamente non fa incontrare ma c’è
un destino più tragico che fa incontrare ma poi separa più dolorosamente ,per
il quale ci si addentra in un roveto che pare non finire mai e che certamente
non si prevede che si sciolga in un roseto, per citare Ginevra Bompiani.
Le considerazioni sul
ruolo impersonale del destino , come una delle possibili cause e spiegazioni
della tragedia, possono ricondurre il dolore ad un origine
sopraindividuale che allevia la colpa , stempera la rabbia ,permette
l’accettazione ed evita violenze ma questo presuppone una precedente dolorosa e
faticosa elaborazione personale .
Il disamore maschile e la scrittura : il museo
dell’innocenza di
Orhan Pamuk .
Un’altra tipologia di più dolorosa elaborazione maschile ha
trovato , compimento letterario in un’opera contemporanea di straordinaria
profondità : “Il Museo dell’innocenza” del premio nobel turco,O.Pamuk :” Dove
l’amore passò , io costruii un museo”.
Pare di sentire “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” di
Mogol, Battisti ,tratta da: Il mio canto libero del 1972 :
“Quando lei se ne andò per esempio
Trasformai la mia casa in un tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
a guarirmi chi fu
ho paura a dirti che sei tu
…
Io quel dì mi trovai per esempio
quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
ho paura a dirti che per te
mi svegliai (…)”.
L’ amore maschile si scontra con la sorte avversa dell’abbandono
da parte dell’amata ed allora inizia la caduta nell'ossessione.
Kemal costruisce un museo dell’innocenza come un gigantesco
e ossessivo altare al feticismo d’amore in onore e ricordo di Fusun: una
elaborazione del lutto amoroso psicologica e
letteraria che si articola in
ottantatre capitoli e al contempo un vero museo organizzato da Pamuk nel
quartiere Beyoglu di Istanbul in un antico palazzo rosso .
Dice Pamuk : “Quando indichiamo il
momento piú
felice della
nostra
vita,
siamo anche consapevoli che si tratta di un
passato remoto
che non tornerà mai piú, e questo provoca in noi un grande
dolore.”
La trama è la seguente : entrato in un negozio per comprare
una borsa alla fidanzata, Kemal Basmacı, trentenne rampollo di una famiglia
altolocata di Istanbul, si imbatte in una commessa di straordinaria bellezza:
la diciottenne Füsun, sua lontana cugina. Fra i due ha ben presto inizio
un rapporto anche eroticamente molto intenso, che travalica le leggi morali
della Turchia degli anni Settanta. Kemal tuttavia non si decide a lasciare
Sibel, la fidanzata: per quanto di mentalità aperta e moderna, in lui sono
comunque molto radicati i valori tradizionali (e anche un certo opportunismo);
vuole la moglie ricca e la bella amante povera, il matrimonio e l'amour fou, i
party a base di champagne (importato clandestinamente) della Istanbul bene e la
seducente atmosfera di una stanza in un appartamento disabitato. Così si
fidanza, con un sontuoso ricevimento all'Hilton. E perde tutto: sconvolta dal
suo comportamento Fusün scompare, mentre Kemal, preda di una passione che non
gli dà tregua e mosso da una struggente nostalgia, trascura gli affari, si
ritrae sempre più dal suo ambiente e alla fine scioglie il fidanzamento.
Quando, dopo atroci pentimenti, i due amanti si ritrovano, nella vita di Füsun
tutto è cambiato. Kemal però non si dà per vinto. In assoluta castità, continua
a frequentarla per otto lunghi anni, durante i quali via via raccoglie
un'infinità di oggetti che la riguardano: cagnolini di porcellana, apriscatole,
righelli, orecchini, mozziconi di sigarette, ditali, saliere, mutandine,
grattugie per mele cotogne; poterli guardare assaggiare, toccare annusare, è
spesso la sua unica fonte di conforto.
E quando la sua esistenza subisce una nuova dolorosa svolta, quegli stessi
oggetti confluiranno nel Museo dell'innocenza, destinato a rendere
testimonianza del suo amore per Füsun nei secoli futuri.
Come dice Orhan Pamuk: (pag.253)
"La vera sofferenza amorosa si annida alle fondamenta
della nostra esistenza, ci stringe inesorabilmente nel nostro punto più debole
e pervade ogni cellula del nostro corpo, ogni aspetto della nostra vita. Se
siamo disperatamente innamorati, tutti gli altri dolori, preoccupazioni o
inquietudini, a partire dalla perdita del padre fino alla più banale delle
sfortune - qualsiasi cosa, anche solo smarrire le chiavi di casa -, diventano
la molla che fa scattare questa sofferenza sempre pronta a esplodere. Uno come
me, la cui vita è stata messa a soqquadro dall'amore, pensa che tutti gli altri
problemi si risolveranno soltanto quando avrà fine la sofferenza amorosa, senza
rendersi conto che in questo modo non fa altro che esacerbare la propria ferita
interiore."
Così l’uomo cade continuamente ed alla caduta sembra non ci
sia fine. L'ossessione diventa la casa della propria esistenza e gli oggetti i
muri che quello spazio delimitano. La vita scandita da un solo ritmo.
Sulla costruzione del Museo , Pamuk dice:"Sarò ingenuo,
ma sono sinceramente convinto che tali sensazioni non appartengano solo a me:
anche il visitatore del museo, venendo a contatto con questi oggetti, proverà
quello che sento io."(pag.357). "Gli istanti che quegli oggetti mi
facevano rivivere componevano dentro di me un altro tempo, un tempo più
vasto."( pag.435)
Entrare nel museo , guardare e sentire negli oggetti il
tumulto di altre vite. Di un'altra vita. La vita della persona amata. Come si
diceva ,appunto, in apertura , il poeta ha potere solo su chi corrisponda ai
suoi testi con immaginazione “empatica” e questo può suscitare una
mobilitazione interna di sentimenti in
entrambi le direzioni.
Fare entrare nel suo museo appare una potentissima metafora
del rapporto che si instaura con i lettore grazie alla scrittura: far sentire il proprio dolore,condividere il
proprio privato con l’unico strumento che è dato a noi umani , la Koinodinìa,
il dolore vissuto insieme. Il lettore ha d’altronde a sua volta un’altra e
nuova possibilità, quella di leggere nel poeta il suo dolore e vederlo per
tanto riconosciuto, cantato con la prosodia e verbalizzato con le parole, non
più isolato, inspiegabile.
Il superamento della dimensione privata è una delle chiavi
dell’elaborazione del lutto amoroso ed è la spinta a scrivere se è vero ,come
diceva
Simone
de Beauvoir,che si scrive quando qualcosa non va e si sta male, ma anche a
leggere.
Cuore di giovane maschio ferito , i dolori del giovane
Werther : farsi rapire dall’amore come Assoluto.
Come non ricordare , andando più indietro nel tempo ,nel 1771,
I dolori del giovane Werther di W.J.Goethe ?
In tutt’altra epoca, sotto l’influenza dell’idealismo
tedesco , dell’incipiente romanticismo e dello Sturm und drung , Werther,
analogamente all’autore ragazzo ventenne proveniente da una buona famiglia e
dotato di ottima cultura, con una particolare passione per le opere classiche,
ama dedicarsi all'otium litterarum (ozio letterario); in occasione di un
ballo incontra Charlotte, soprannominata Lotte, una ragazza del luogo dotata di
bellezza e acume, ma già promessa ad Albert, un giovane funzionario.
Werther rimane presto stupito dalla grazia e dall'agilità di
Lotte quando ha l'occasione di invitarla per un valzer. Nel corso dei giorni
successivi scopre sempre più chiaramente di essersene infatuato e approfondisce
la confidenza con lei. Benché Werther conoscesse sin dall'inizio la promessa di
matrimonio di Lotte, è solo al ritorno di Albert che inizia ad accorgersi dell'impossibilità
di coronare il crescente desiderio affettivo - sbocciato nel profondo del suo
cuore - verso la ragazza. La consapevolezza di non poter amare Lotte produce
sconforto e continuo malumore, il che, combinato al suo carattere istintivo, lo
porta a diverse ostentazioni della propria impulsività, dalle quali Lotte
deduce lo stato di amarezza in cui versa il giovane. Werther a un certo punto,
per liberare la sua mente dall'inerzia in cui è precipitato a causa
dell'irresolubile pena d'amore, decide di accettare l'offerta del caro amico
Guglielmo (con cui fino a quel punto si è sempre interamente confidato) e di
abbandonare Wahlheim per recarsi in città e cercar d'iniziare una carriera da
diplomatico.
Dopo poco la città lo delude, a causa delle ipocrisie e
dell'indifferenza tipiche dell'alta società con la quale ha a che fare,
intrattenendo superficiali quanto necessari rapporti sociali; sceglie quindi
d'interrompere tale percorso. Tornato al villaggio, viene a sapere del
matrimonio tra Albert e Charlotte; l'evento ha il palese effetto di
incrementare l'infelicità di Werther, che più e più volte nelle lettere
all'amico Guglielmo si dichiara insoddisfatto della propria vita. Medita di
interrompere la propria agonìa, prima grazie a un vago progetto di entrare
nelle forze armate, poi col desiderio di togliersi la vita.
Charlotte, a cui non sfuggono il dolore di Werther e il
rapporto teso che lui ha con Albert, chiede ripetutamente al giovane di
trasformare il loro rapporto in un sentimento di
amore
platonico e fraterno, un'autentica amicizia e nulla più, assicurando
l'amico che ogni infelicità sarebbe scomparsa appena avesse conosciuto un'altra
ragazza da amare. Werther, tuttavia, non riesce a liberarsi dall'ossessione per
Lotte, tanto da baciarla contro la sua volontà, durante il loro ultimo incontro
prima di Natale, in occasione dell'assenza di Albert. Pur ricambiando forse in
segreto l'interesse di Werther, Lotte è irrimediabilmente vincolata al marito e
non ha altra scelta se non intimare all'amico di lasciare la sua dimora.
Il giorno dopo, al ritorno di Albert, arriva una richiesta
scritta di Werther di prestargli le sue pistole, con la motivazione di viaggio
da affrontare a breve; Albert acconsente ed è Lotte stessa a porgerle, con mano
tremante, al servo dell'amico. Il giovane tormentato, si ritira nella propria
abitazione, dove congeda il proprio servo e finisce di scrivere la lettera
d'addio a Lotte. A mezzanotte in punto, Werther si spara alla tempia con le
pistole prestategli da Albert.
Dopo ore di agonia, Werther muore verso mezzogiorno. Nessun
prete accompagna il suo corteo funebre, neppure Albert e Charlotte. Werther
viene sepolto dagli artigiani locali undici ore dopo la morte in un luogo del
villaggio a lui caro, in mezzo a due grandi tigli, come lui stesso ha
espressamente richiesto nella sua lettera d'addio.
Werther è un giovane è colto e raffinato, ma insofferente
verso le convenzioni sociali e una netta propensione a farsi rapire dai
sentimenti in maniera assoluta.
Werther appare come un'anima innocente, che non cerca una
vita tranquilla, ma quella felicità totale che solo l'amore potrebbe dargli.
Questo aspetto lo rende estremamente fragile, essendo in definitiva legato alle
decisioni di qualcun altro, cui ha affidato la sua intera vita. Werther è
capace di amare e lo fa donando ogni attenzione e pensiero a Lotte, ma lei non
può ricambiare e lo costringe a uno stato di frustrazione continua, dalla quale
neanche Werther riesce realisticamente a immaginare un'uscita serena.
Nonostante una buona consapevolezza di sé e dei propri pregi
emersi fin dall'inizio del libro, Werther non ama il suo mondo, le sue
convenzioni, il conformismo, la routine, i luoghi comuni, la razionalità, ma
soprattutto riconosce la propria sconfitta, la propria nullità davanti a un
sentimento totalizzante.
Amore e malattia nella poesia greca e latina.
Già nell’antica cultura greca che ha fondato la nostra
civiltà, l’amore era descritto talvolta come una malattia che
avvicina alla morte, un sentimento violento, che, quando non è appagato,
“scuote l’anima”. E la induce alla disperazione. Saffo dichiara di preferire la
morte alla vita, poichè ha perduto la fanciulla amata. E così
esclama:
“Ermes, io lungamente ti ho invocato. / In me è solitudine:
tu aiutami, / despota, ché morte da sé non viene; / nulla m’allieta tanto che
consoli. // Io voglio morire: / voglio vedere la riva d’Acheronte / fiorita di
loto fresca di rugiada” (fr. 95 V).
Secondo Paolo Saggese ,di cui riportiamo qui buona parte del suo importante saggio "Amore
disperato e sublimante, tra antico e moderno ”questi versi hanno alimentato il
mito, diffuso da Ovidio, del suicidio di Saffo per l’amore non corrisposto
di Faone. Da Ovidio il mito passerà a Leopardi, a Baudelaire, a Pavese.
L’amore è causa di follia, come dichiara esplicitamente
Saffo nella famosa Ode ad Afrodite (fr. 1 V.).
Diviene sentimento abnorme, violento, distruttivo, nella
tragedia – si pensi a figure come Fedra o Medea o Clitennestra .Il
sentimento d’amore come passione scuote le membra, e incute paura, è
motivo diffuso nella poesia greca arcaica, soprattutto in Mimnermo e Ibico.
Stemperato, sebbene ancora intenso, in Archiloco e Teognide.
L’amore induce dunque anche alla pazzia.
L’amore è sofferenza, e i poeti ne descrivono i
sintomi, la malattia (si pensi all’Antigone di Sofocle, oppure alla Fedra di
Euripide)meno intenso in Alcmane e Anacreonte. Diviene sentimento abnorme,
violento, distruttivo, nella tragedia – si pensi a figure come Fedra o Medea o
Clitennestra. L’amore induce dunque anche alla pazzia.
L’amore è sofferenza, e i poeti ne descrivono i sintomi, la
malattia (si pensi all’Antigone di Sofocle, oppure alla Fedra di Euripide).
Sublimazione e sintomatologia d’amore, dunque, dominano
anche la poesia epica successiva, quella del V sec. a. C., ma compaiono ancora
invariati nella produzione ellenistica, da Menandro ad Apollonio Rodio a
Teocrito, agli epigrammisti del III sec., a Meleagro, che – si può dire –
inventano quasi il moderno psicologismo.
A questa tradizione fanno riferimento Catullo e i poetae
novi.
Alla disperazione d’amore , carme 85:
“Odio e
amo.
Forse chiederai come sia possibile;
non so,
ma
è proprio così
e
mi tormento”
Catullo è diviso tra due sentimenti contrapposti: il
desiderio sessuale (“amo”) e il rancore per i continui tradimenti (“odi”) di
Lesbia; tutto ciò, il contrasto tra desiderio irrefrenabile e inappagato e
rancore provoca uno stato di doloroso tormento.
L’amore in Catullo, dunque, è una malattia, che spinge sino
alla follia.
Così, ad esempio, si esprime il poeta nel famoso colloquio
con se stesso:
“Povero Catullo, basta con le follie, / ciò ch’è finito,
convinciti, è finito. / Un tempo brillarono per te limpidi giorni, / quando
correvi dove voleva la ragazza / da te amata come nessuna sarà mai amata. / E
là quante dolcezze nei giochi d’amore / che tu volevi allora e lei non
rifiutava. / Davvero brillarono per te limpidi giorni! / Ma ora non vuole più,
e tu cerchi di vincerti / e mostrarti indifferente come lei / e non seguire i
suoi passi se ti fugge / e non tormentarti più, ma, ostinato, resisti. / Addio
fanciulla, ormai Catullo è deciso, / non tornerà a cercarti, non ti vuole per
forza. / Ma tu soffrirai se non sei desiderata. / Ti pentirai, perfida! Che
vita sarà la tua? / Chi ora verrà da te? E per chi sarai bella? / E chi amerai?
E di chi si dirà che tu sei? / Chi bacerai? A chi morderai le labbra? / Ma tu,
Catullo, ostinato, resisti” .
Questi toni dell’ambivalenza amoroso maschile paiono
riecheggiare in Nietzsche, di Così parlò Zarathustra:
Ti temo vicina,
ti amo lontana;
la tua fuga mi attira,
il tuo cercarmi
mi blocca:
soffro,
ma che cosa
non ho sofferto volentieri per te!
La cui freddezza accende,
il cui odio seduce,
la cui fuga lega,
il cui sarcasmo commuove:
chi non ti odierebbe,
grande irretitrice, ammaliatrice, tentatrice, cercatrice, scopritrice?
Chi non ti amerebbe,
peccatrice innocente,
impaziente,
rapida come il vento,
dagli occhi di bimba!
Ove mi attiri ora,
mostro e bambina selvaggia?
E ora mi fuggi di nuovo,
dolce preda ingrata!
Catullo si rivolge a se stesso, invitandosi ad abbandonare un sentimento e
un’ostinazione folli; Lesbia non gli vuole più bene, e perciò deve resistere
nel suo non volere amare.
La sintomatologia
d’amore è quella saffica.
Il disamore e la poesia moderna.
Secondo Paolo Saggese “ Il poeta che ha descritto con
maggiore intensità la violenza d’amore è Charles Baudelaire: l’Amore domina
l’uomo, anzi per il poeta incombe fisicamente sul suo cranio, sull’uomo così
debole e destinato nella sua materialità a dissolversi e morire. Amore domina
l’intera umanità, con il suo trono, e disperde le illusioni degli uomini (le
sferiche bolle) sino al cielo. Il cuore debole è aggiogato, si rompe, ha perso
dunque le sue illusioni che sono svanite.
Il cranio vorrebbe porre fine a questo crudele gioco, perché
attraverso queste bolle di sapone che volano in cielo si perde e consuma la sua
vita:
L’AMORE E IL CRANIO
Sul cranio del genere
umano
s’è in trono posato Amore
e l’allegro profano
dal riso sfrontato
disperde col soffio uno sciame di sferiche bolle
che verso il romito reame degli astri s’estolle.
I fragili globi di
luce
han breve fervore:
qual sogno dorato, si scuce il debole cuore.
Il cranio, a ogni bolla più fioco,
ripete gemendo:
“Mai dunque avrà fine il tuo gioco ridicolo e orrendo?
O mostro, è mio
sangue,
è mia vita il fiato che effondi
con quella tua bocca omicida nei cieli profondi!”
Dunque, si ritorna al motivo dell’amore come malattia, come
mostro distruttore e che è in sintonia con il modo di vivere l’amore dei poeti
greci; tale coincidenza è espressamente dichiarata da Baudelaire, che presenta
Saffo e la sua morte come alter ego della sua esistenza e del suo modo,
trasgressivo, di amare. Del resto già Leopardi aveva visto in Saffo il suo
alter ego.
L’eros, in Baudelaire, non è quasi mai capace di dissociare
la voluttà dal disprezzo, conforme a un gusto che i testi di psicologia
chiamerebbero degradazione dell’oggetto libidico, e che consiste nell’abbassare
[…] il bersaglio del desiderio fino alla soglia della ripugnanza” (p. XX).
Tuttavia, si legga questa descrizione di Jeanne, la venere nera:
A UNA SIGNORA CREOLA
In un paese aulente e tiepido
conosco una signora creola,
ricca di grazie nuove:
di rossi alberi e palme la vidi
sotto un chiosco,
donde sopra le
palpebre sonno e silenzio piove.
La bruna incantatrice
ha un viso ardente e fosco,
e il collo con movenze nobili e rare muove;
alta e agile incede
come arciera di bosco,
con quieto riso e
occhi che mai nulla commuove.
Se della verde Loira o della Senna in riva andaste,
ove la gloria verace si coltiva, bella,
degna d’ornare
castelli leggendari,
quanti sonetti, al cenno dei grandi occhi,
i poeti, più d’ogni
vostro negro umili e mansueti,
vi offrirebbero, in fondo ai parchi solitari!
(da Charles Baudelaire, I fiori del male, Traduzione di
Gesualdo Bufalino, Testo originale a fronte, Arnoldo Mondadori Editore, 2001)
Questa creatura ha il fascino di una amazzone, la fierezza e
la grazia insieme di un animale elegante; non è un angelo, ma è nobile
ugualmente e incanta tutti i poeti, che le si prostrano umili e mansueti:
ispira poesia d’amore, Jeanne, e aggioga gli uomini con la forza di eros.
Cesare Pavese ha dedicato alcune delle sue poesie più
struggenti al tema della solitudine, della delusione d’amore,
dell’inappagamento. Le sue figure di donna e di ragazzo sono un po’ alter ego
del poeta; del resto, al motivo dell’amore come violenza, degrado,
disperazione, solitudine, angoscia, lo scrittore ha dedicato alcune delle
pagine più efficaci della sua opera in prosa. Da non dimenticare sono anche gli
impegnativi Dialoghi con Leucò. Si pensi, ad esempio, alla figura di Saffo qui
descritta con toni leopardiani. Del resto, la sua stessa biografia e il suo
suicidio legato indirettamente a una delusione amorosa, ma che ha cause
ovviamente più profonde, sono sintomatici del suo modo disperante di essere al
mondo. Le sue Poesie del disamore sono una amara meditazione sulla vita; ma la
poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi collega inesorabilmente amore e
morte, attraverso una riscrittura del motivo degli occhi strumento di seduzione
e di amore (di origine properziana e stilnovistica):
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera,
insonne, sorda,
come un vecchio
rimorso o un vizio assurdo.
I tuoi occhi saranno una vana parola,
un grido taciuto, un
silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi nello specchio.
O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello
specchio riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso. Scenderemo nel gorgo muti.
La poesia non ha
bisogno di commenti. Il legame tra amore e morte, non amore e vita, è palese,
tremendo.
Per Alda Merini, l’amore è sofferenza.
Del resto, difficilmente, e quindi raramente, in lei un
sentimento è disteso, limpido, appagato, privo di sconfitta. Vi è in
particolare una paura della solitudine, dell’essere abbandonata, che molto
somiglia a qualche lamento disperante del giovane Pavese.
“Quando avrò alzato in me l’intimo fuoco
che originava già
queste bufere
e sarò salda, libera,
vitale,
allora sarò sola?
E forse staccherò
dalle radici
la rimossa speranza
dell’amore,
ricorderò che frutto
d’ogni
limite umano è
assenza di memoria […]”
(Sarò sola?, da Fiore di poesie, p. 20)3 .
La solitudine si accompagna alla cancellazione della
memoria, alla negazione, dunque, anche della speranza di aver lasciato di sé un
ricordo. Quest’idea della solitudine è in un certo senso sentita dai suoi stessi
“compagni”:
“O miei grandi compagni
confusi in un
intreccio senza addio,
dal più misero al più
buono
tutti avete cantato alla luna
pensando di me che
ero sola” (p. 203).
Talvolta l’amore è accompagnato da indifferenza e quindi
solitudine:
“Ho acceso un falò
nelle mie notti di
luna
per richiamare gli
ospiti
come fanno le
prostitute
ai bordi di certe
strade,
ma nessuno si è fermato a guardare
e il mio falò si è
spento” (p. 108).
L’immagine della
prostituta ritorna poi nel suo autoritratto (per il quale cfr. infra). Talvolta
l’amore è negato dalla società, dalla pazzia, dai manicomi, come l’autrice
stessa chiarisce all’inizio della terza strofe di La Terra Santa:
“Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando
amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un
pazzo
non può amare nessuno”
(p. 96).
Per questo, per
questa vita negata, per questo senso di impotenza e disperazione, l’esperienza
poetica di Alda Merini non può che essere accompagnata dalla percezione del
“maledettismo”. La stessa scoperta allusione all’albatro di Baudelaire è un po’
il segno di questa alienazione dal mondo, propria di una vita segnata:
“Io ero un uccello
dal bianco ventre
gentile,
qualcuno mi ha
tagliato la gola
per riderci sopra,
non so.
Io ero un albatro
grande
e volteggiavo sui
mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità
di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni
d’amore” (p. 80).
La parte centrale della poesia sintetizza tutta la prima
strofe de L’albatro baudeleriano:
“Spesso, per passatempo, acchiappano i gabbieri
un di quei grandi
albatri, uccelli d’altomare,
che, come pigre
scorte, i nomadi velieri
sogliono sugli amari
vortici accompagnare”
evidente anche nella
scelta dell’aggettivo “grande”.
L’allusione è esplicita e presuppone tutto il prosieguo del
modello. Tuttavia, osserva la Merini, il viaggio è interrotto, ma non la poesia
e l’amore, che sembrano vincere ogni cosa. Questa “venere delusa” (p. 61) non
ha limiti per sentire e vivere l’amore; e così prorompe, forse indulgendo, in
questo caso, ad una retorica voluta e autoironica:
“Io sono folle, folle,
folle d’amore per te.
Io gemo di tenerezza
perché sono folle,
folle,
perché ti ho perduto.
Stamane il mattino
era sì caldo
che a me dettava
questa confusione,
ma io ero malata di
tormento
ero malata di
perdizione” (p. 123).
I sintomi d’amore che nascono dalle parole dell’amato, la
confusione, la forza misteriosa che prende corpo e mente, la “devastante
arsura”, “il tremito da far paura che mi abita il cuore”, il “rumore di pelle”,
il tramortimento (“sfinita: / da me si diparte la vita”), l’amore “furente” e
“divino”, sono immagini che sembrano liberamente tratte da Saffo.
L’autoironia è tutta nella ripetizione ossessiva di “folle”,
che induce a pensare alla malattia dell’autrice; ed invece, attraverso un aprosodòketon,
si rivela diversa la follia di cui soffre: è la follia d’amore, motivo topico
della descrizione dei sintomi d’amore che rimonta almeno alla famosa ode
ad Afrodite di Saffo (fr. 1 V.)
“Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le
querce;
e scioglie le membra
e le agita,
dolce amara
indomabile belva”
Nella poetessa greca
Eros è “dolce amaro” (in quanto suscita gioia, ma anche dolore, quando l’amore
non è corrisposto o troppo intenso); nella Merini “dolce amara” è proprio
Saffo, che viene ad essere quasi personificazione del sentimento amoroso.
Fin qui , il bel saggio Paolo Saggese.
Nella sua Educazione sentimentale delle “Lettere ad un
giovane amico” Rilke dà un importante contributo alla comprensione del valore
pedagogico psicologico dell’Amore , come si legge nella sezione II “Amore e
psiche” de “Il lungo cammino del fulmine”,dedicata proprio all’Amore umano come
strumento di consapevolezza e conoscenza di sé.
” Anche amare è una cosa buona: l’amore è difficile. Per un
essere umano amare un altro essere umano, questa è forse una delle più
difficili tra le nostre attività, quella definitiva, il lavoro per cui tutto
quello che facciamo non è altro che una preparazione. Perciò i giovani, che sono
principianti in ogni cosa, non possono ancora conoscere l’amore: devono
impararlo. Con tutto il loro essere, con tutte le loro forze, raccolte intorno
al loro solitario, timido e ribelle cuore, devono imparare ad amare. Ma il
tempo dell’apprendimento è sempre un tempo lungo, isolato, e così amare, che
per tanto tempo precede la vita ed è lontano da questa, è solitudine,
intensificata e intensa solitudine per colui che ama. L’amore all’inizio non è
qualcosa che significa fusione, abbandonarsi e unirsi a un altro, è un alto
stimolo all’individuo per maturare, per diventare qualcosa in se stesso, per
diventare mondo, per diventare molto per se stesso per l’interesse di un altro,
è una grande impegnativa richiesta a se stesso, qualcosa che sceglie e chiama
il giovane a cose vaste. Solo in questo senso, come l’attività di lavorare per
se stessi, i giovani potrebbero usare l’amore che gli è dato. Fondersi e abbandonarsi
e qualsiasi tipo di comunione non fa per loro (che devono risparmiarsi e
raccogliere per tanto, tanto tempo ancora), è la cosa ultima, è forse quella
per cui le vite umane non bastano ancora”.
(R.M. Rilke ,Settima lettera al suo giovane amico, maggio 1904).
Come scrive Ferdinando Testa “Nella cultura pagana del mito
greco , diversamente dalla cultura Cristiana in cui Dio è Amore, il dio è anche
sofferenza, (si pensi alla scultura di Eros tra due serpenti, che si
trova nel mantovano palazzo Te) poiché chiunque abbia sofferto i dolori
dell’amore, le separazioni, ciò che codesto sentimento comporta, sa che esso è
ben più del piacere, fonte di arcano veleno, che il serpente
suggerisce.
Nel mito di Eros e Psiche di Apulejo , Psiche(La Mente) ha
degli amplessi con Eros(L’Amore) ma non può vederlo(perché ?) e nel momento in
cui vuole disvelarne l’identità, questi fugge, non si fa imprigionare nelle
categorie della mente: dònde, la fine dell’Amore, l’abbandono. E dall’abbandono
Psiche la Mente soggiace alle prove della morte ed affronta mille sofferenze
prima di ritrovare la Luce, perché ogni cammino del mito, è dalle
tenebre alla Luce”.
Un lungo cammino del fulmine dalle tenebre alla luce.
Michele
Mezzanotte scrive che“
Alla base della relazione tra uomo e donna c’è
violenza. Guggenbühl-Craig la chiama violenza erotica.
Il femminile è un archetipo, una forza che agisce sia
nell’uomo che nel mondo. Maschi e donne hanno sia una parte femminile che
maschile.
Nessun uomo è tanto virile da non avere in sé nulla di femminile (C.G.Jung)
Il femminile è una parte dell’essere umano che ha
determinate caratteristiche. Nel corso della storia il femminile ha vissuto
tantissime difficoltà e ha rischiato più volte di essere distrutto dalle inflazioni
violente del maschile.Se prendiamo in analisi i miti di creazione della
nostra civiltà, ci possiamo rendere conto di come la cultura maschile e
patriarcale abbia influito sul nostro modo di vivere il rapporto uomo-donna.
In principio era Adamo, ed Eva nacque da una costola di
Adamo. Eva è una parte di Adamo. Il femminile è creato dal
maschile. Inoltre Eva sarà la portatrice del peccato originale e del
demonio. Durante il medioevo i frati domenicani Sprenger e Kramer scrissero
il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe) il cui intento era
di annientare l’eresia e il paganesimo che era insito nelle donne. Questo testo
è un vero e proprio manuale di misoginia antica.
Anche il femminile ha una sua violenza (vis) che è diversa
da quella maschile.
Il volto virile del femminismo è un risvolto “naturale” dell‘archetipo violenza.
Il femminismo ha preso la violenza del maschile e l’ha
trasformata in una sua energia. L’archetipo non si distrugge ma si trasforma.
In questo modo la violenza maschile “penetra” il femminile
trasformandosi in violenza femminile.
La parte violenta del femminismo individua il maschio come
la strega dell’epoca moderna: stupratore e criminale. Il maschio è il nemico da
condannare e sconfiggere.
La violenza etimologicamente è la forza, la vis,
la potenza. La violenza intesa come manifestazione della vis, ovvero
della virilità, è prerogativa del modello maschile.
Tuttavia come vedremo esiste anche una vis femminile.
L’estremo contesto della violenza maschile sulle donne è il
femminicidio.
In media muoiono 66.000 donne l’anno nel mondo a causa dei
diversi atti di violenza:l’uxoricidio, il femminicidio, il genericidio (o aborto
selettivo) e il ginocidio.
La violenza genera violenza perché l’energia
archetipica di cui è portatrice non si crea e non si distrugge, ma
continua a perpetrarsi come in un’orrida staffetta.
Devo rifarmi di nuovo al cristianesimo, affema
Adolf Guggenbühl-Craig nel libro Il bene del male, “Chi
di spada ferisce, di spada perisce (Matteo 26,52)”.
L’uso della violenza genera un’escalation individuale e
collettiva.
In particolare la violenza sul femminile è generata da altra violenza e ne
genera altra.
In che modo ?
Solitamente si dice che esiste una violenza fisica che
è tipica del maschile e una violenza psicologica che invece è tipica
del femminile. Sono d’accordo in questo, tuttavia esiste un altro tipo di
violenza femminile, ugualmente fisica che chiamo: violenza della donna.
Helene Deutsch è molto netta nel suo trattato in duevolumi “Psicologia della donna“: lei
considera qualsiasi atto sessuale come uno stupro dell’uomo sulla
donna.
Usa questo termine svestendolo dall’accezione morale che ha
assunto ai giorni nostri.
Per la Deutsch, lo stupro è un atto aggressivo e
violento del membro maschile che penetra l’organo sessuale femminile il quale
deve “arrendersi” ad esso.
Una volta arresa a questa potenza, la vagina può esercitare
la sua forza trattenendo,stringendo e all’estremo castrando.
L’immagine negativa popolare della forza violenta della
donna è la vagina che divora. Tuttavia prima di essere divoratrice la
vagina, deve aver subito a sua volta una penetrazione, uno stupro maschile.
Senza lo stupro maschile non può trattenere, stringere e castrare, perché non
ci sarebbe nulla per farlo.
Ma questo movimento violento ciclico del penetrare e del
trattenere è un movimento erotico.
È in questo momento che possiamo percepire la dinamica della
violenza che genera violenza.
La vis si trasmette dall’uomo alla donna, che
necessitano l’uno dell’altra per essere violenti ed erotici. L’uomo ha
bisogno di un “contenitore” per la sua violenza, la donna ha bisogno di un
“oggetto”.
L’atto sessuale è erotico e violento al tempo stesso, ecco
perché le fantasie erotiche hanno la strada spianata verso la violenza: dai
gesti più piccoli come un morso, alle pratiche più complesse che la grande
massa ha imparato a conoscere grazie a romanzi e film.
La violenza è qualcosa di profondo e complesso che è alla
base della relazione uomo-donna.Come è possibile?
Adolf Guggenbühl-Craig che differenzia tra violenza
erotica e violenza distruttiva. Se la violenza è usata con eros,
allora può essere impiegata in modo molto utile. Mentre se la violenza
diventa distruttiva assistiamo alla degenerazione della relazione uomo-donna.
Dunque abbiamo osservato che il rapporto sessuale tra uomo e donna è costellato
dalla violenza, ma è appunto una relazione erotica e l’eros porta con sé
violenza.
Eros è una forza violenta che possiede. In mitologia è
rappresentato con arco e frecce. Il dio greco deve ferire e colpire per essere
efficace.
Ancora Eros m’ha colpito:
con un gran maglio, come un fabbro
(Anacreonte )
L’arco di Eros è duplice, così come la violenza
secondo Guggenbühl-Craig. Le frecce erotice possono essere
costruttive e portare amore, ma allo stesso tempo possono distruggere l’anima
dell’uomo.
In una coppia la violenza è un bisogno per vivere pienamente l’eros.
Più la neghiamo più emergerà con forza ed irruenza.
Prevenire la violenza è impossibile perché è alla base di ogni relazione.
Tuttavia è possibile imparare a riconoscere il nucleo
violento dentro di noi al fine di usarlo eroticamente.
Tre sono le modalità dominanti di immaginare la sessualità
che noto oggi – dice J.Hilmann :una è quella eroica: scopare, fottere,
chiavare. Un'altra è la fantasia romantica della fusione, dove i due diventano
uno, si cavalca il ritmo in modo che l'uccello sia di entrambi, o di nessuno.
Ma la fusione può trasformarsi di colpo in terrore ed essere vissuta come
perdita del fallo:
"Lei" se lo
prende, lo divora.
L'incanto romantico diventa incantesimo di una potenza
femminile.
Ma c'è un terzo modo che mantiene il desiderio dentro i misteri
dell'iniziazione, evocando gli Dei oscuri, in entrambe le loro forme,
dell'animale selvaggio e del fanciullino. Una sorta di teatro neobarocco del
sublime: una misteriosa bellezza fatta di terrore, di sacro sgomento e di gioco
a due; il corpo sessuale e le emozioni dell'amore che si incontrano su
quell'orlo rischioso senza promessa di vittorie eroiche né di unioni totalmente
soddisfacenti. Si ha qui una più vasta devozione alle potenze animistiche o
animalistiche, dalle quali sempre dipende la sessualità e verso le quali essa
spinge; non umanesimo secolare, ma i misteri”.
Mariano Grossi a proposito del mio libro di canti in verso
libero “Cuore di giovane maschio ferito” dedicato al disamore nel maschile,ha
così chiaramente sottolineato le sue relazioni
con la poesia d’amore latina e greca:
“L’impressione personale più essenziale nell’analisi di questo libro è l’inopinabile, a tutta
prima, lezione universalizzante della vicenda che se può, ad un primo acchitto,
apparire individuale e strettamente personale e privata, ad una lettura più
attenta e approfondita ha in sé estensibilissimi connotati generali che ne
fanno un’occasione di riflessione antropologica e psicologica sul mondo affettivo
maschile : uno stringente spaccato della naturale dualità tra uomo e donna in
una società che, negli anni 80 del secolo scorso,oramai registrava la piena
emancipazione della donna, decisa ad autodeterminarsi e farsi piena padrona
delle sue scelte, scalzando i tabu vigenti che circoscrivevano ancora e solo al
maschio la possibilità e il diritto al confronto tra i partner e la relativa
“collezione” degli stessi, e la fedeltà come ultimo periferico optional nel
rapporto sentimentale.
Ne deriva una ribellione intima del sé che, pur prendendo
coscienza di una donna oramai lecitamente e legittimamente affrancata e
omologata ai parametri maschili, vive con profonda delusione questa nuova
realtà .
Oggi reazioni così nobilmente autoriferite ,dolorosamente
autometabolizzate e cauterizzate non si registrano più in un mondo in cui la
virtualità ha distrutto sia la dialettica psichica interiore degli esseri umani
che la reale interlocuzione maschio-femmina: il dolore auto-elaborato in attesa
di guarigione autonoma cantato dall’autore , con riferimento al suo primo
volume “Il lungo cammino del fulmine”, lascia il posto invece ad un’assenza di
pensiero e di sublimazione che genera un’aggressività incontrollata nei drammi
di cui son piene le cronache di femminicidio. Lungi dal repellere o impellere
la rabbia per un rifiuto, come visibile nell’epopea del disamore dell’autore ,
il maschio odierno l’espelle e la deflagra sovente esizialmente sulla partner
fuggiasca.
Leggere dunque la teoria del disamore di Guglielmo Campione
può fornire uno spaccato di una società che oggi si è decolorata e dileguata.
Anche per questo si deve esser grati all’autore per una produzione poetica
oltre che per l’incredibile didattica della sublimazione delle proprie più
intime emozioni istoriate dalle figure retoriche e dal bagaglio culturale
classico che ne caratterizzano tutta l’opera, perché, volente o nolente,
chi legge queste liriche sente
chiaramente ronzare nelle orecchie Saffo, Catullo e Properzio ed è un fracasso
dolcissimo!
Bibliografia.
Baudelaire C., I fiori del male, Feltrinelli.
Bompiani G., “Introduzione a lezioni d
'amore :il disamore” ,
Nottetempo Editore
Campione G., Il lungo cammino del fulmine, Ilmiolibro,1a ed.2015,2a
edizione 2016
Campione G., Epiphaino con testo a fronte in latino e greco
antico a cura di
M.
Grossi, Universitas studiorum editore , 2017 , Mantova
Campione G. Cuore di giovane maschio ferito”, Ilmiolibro edizioni 2016.
Catullo, Poesie, Mondadori
Ferenczi S. , Diario clinico. Raffaello Cortina
Di Gregorio C. ,"Lezioni d 'amore : il disamore
" Nottetempo Editore
Grossi M., " Pothous-pathos:
il dolore e la Scrittura :
pathos-il-desiderio- e-il-dolore.html
Grossi M, I canti del disamore e la poesia d’amore latina e
greca ,in
G.Campione
“ Cuore di giovane maschio ferito”, Ilmiolibro
edizioni
2016.
Goethe W.J., I dolori del giovane Werther, Feltrinelli.
Kernberg O., Disturbi gravi della personalità. Bollati Boringhieri
Leopardi G.,Opere, I meridiani, Mondadori
Merini A., Poesie, Einaudi.
Pavese C.,Opere, Einaudi
Pamuk O. Il museo dell’innocenza, Einaudi.
Il_museo_dell'innocenza
/9788806198084/01fdc72f49d1ac085c
Ronchi E., Le nude domande del vangelo, San Paolo.
Saffo, Poesie, Feltrinelli.
Saggese P., “Amore disperato e sublimante, tra antico e moderno”,
Szymborska W., Amore a prima vista ,tratta da: Vista con
granello di sabbia,
Adelphi.
M. Mezzanotte, Tremate, tremate le streghe son tornate! La
violenza nella
violenza-nella-coppia/
J Hilmann , Fuochi Blu p. 265, , Adelphi
J Hilmann ,Sex Talk, p. 76, Adelphi
Zoia l. I centauri e la violenza maschile
R.M. Rilke ,Settima lettera al suo giovane amico, maggio 1904.