Ad un libro-che sia un romanzo, un racconto o un saggio-chiedi sempre che ti conduca in un mondo reale o immaginario, comunque diverso da quello da cui se partito.
Chiedi-quel mondo-di fartelo conoscere, toccare e, se ha colpito la tua immaginazione, di farlo tuo.E che al ritorno, magari per altre strade, quel che hai visto,conosciuto, toccato, ti abbia,almeno un po', cambiato lo sguardo.
È quel che accade ogniqualvolta ti capita tra le mani uno scritto di Guglielmo Campione, diventato,ormai,compagno di viaggio abituale delle nostre serate di lettura.
Questa volta ci racconta il percorso spirituale e di vita di un personaggio realmente esistito all'esordio del secolo scorso.
E lo fa da narratore vero, di razza, qual'è.
Ma il racconto è, come suo stile e consuetudine,solo una cornice intarsiata di ricordi ed immagini,spesso, sublimi,entro la quale è incastonata una tela da dove emergono di volta in volta, come bassorilievi illuminati, le tante tematiche che gli stanno a cuore e che contribuiscono a farne uno scrittore vero, a tutto tondo, abile come pochi altri a delineare i caratteri umani e, in questo caso, soprattutto, morali dei personaggi che abitano nei suoi romanzi, non prescindendo mai da una perfetta contestualizzazione spazio-temporale delle vicende raccontate.
Nascono, così,fotografie di sublime dolcezza
(le case bianche del villaggio addossate l'una accanto all'altra colte nel tenero atto di proteggersi) ovvero quadretti di struggente nostalgia come la descrizione fedele quanto minuziosa della sartoria lo dico da figlia di "mescia sarta" che in quell'atmosfera soffusa ed austera ci ha vissuto gli anni della sua giovinezza, tanto da sentirne ancora il profumo leggero delle stoffe con la vecchia Singer a pedale con ruota inferiore a trazione con corda e ruota superiore innescata-e frenata- a mano.
Così tutte le tematiche care all'autore,fede, ragione,filosofia, etica
(intesa come arte di vivere), morale, amore per la poesia, per la cultura classica e per quella popolare,per l'arte e la bellezza, il forte, tenace, legame per la propria terra (estesa, questa volta, fino alla Lucania) confluiscono e sono fatte proprie dalla protagonista della storia e il suo piccolo ma prezioso entourage di apprendiste.
Donna Beatilla, infatti, è donna umile e semplice quanto intuitiva, riflessiva, innamorata dell'arte e della bellezza ("la bellezza salverà il mondo" le fa pronunciare l'autore evocando Dostoevskij), ma, soprattutto, è detentrice di una convinta e profonda filosofia di vita figlia, nella stessa misura,della sua sensibilità religiosa, del suo vissuto e di un ricco patrimonio di saggezza popolare.
In lei si fondono un'innata predisposizione all'ascolto ed una,quasi santa, capacità di adattamento e accettazione delle vicissitudini della vita proprie di una concezione evangelico-cristiana che l'autore, forse un po' ad abundatiam, fa confortare e corroborare perfino da una colta e raffinata disciplina orientale.
Nel racconto l'immagine simbolo di questa dedizione ed abbandono a Dio è data dall'atteggiamento di completo assenso al sacrificio attribuito alla postura del Crocifisso ritratto da San Giovanni della Croce.
Ma è il nostro universo interiore il vero campo di Agramante, il campo di battaglia dove,secondo Donna Beatilla, si affrontano in un'asperrima lotta il nostro ego e la nostra anima.
Dall'esito di questo scontro dipende cosa farne della nostra vicenda terrena.
Se consacrarsi ad una idea suprema in cui l'uomo riconosca e si convinca con tutte le forze della sua natura che l'impiego più alto che egli possa fare della sua individualità consiste nel mortificare questo stesso io, nel donarlo interamente a tutti e a ciascuno individualmente e senza riserve, cercando di far crescere il nostro potenziale divino( santa Teresa d'Avila,richiamata nella dedica del racconto, ma anche Madre Teresa di Calcutta).
Oppure arrendersi alla tirannia del nostro ego, innescando una lenta ma costante caduta verso l'abisso dell'anima così mirabilmente descritta in ogni suo passaggio in una della pagine più dense ed inquetanti del racconto dove la statura letteraria ( e professionale!) dell'autore assurge a livelli quasi dostoevskijani.
Nessuno meglio del grande scrittore russo, infatti, ha saputo descrivere lo stesso dramma che, però,fa svolgere sempre entro due poli opposti, antitetici, tesi ed antitesi, Cristo ed il sottosuolo, i dèmoni.
L'idea principale del racconto/romanzo di Guglielmo Campione, invece, è e rimane quello di disegnare una natura umana pienamente bella:
a questa funzione rispondono tutti i personaggi, primari
( Donna Beatilla)o secondari( Carmelina, Dolores e Proserpina), nessuno dei quali assume mai un ruolo negativo o tormentato, pur in una ricca sfaccettatura di caratteri ognuno dei quali portatore di una sua personale,ma sempre positiva, filosofia di vita.
In questo senso, Campione è uno scrittore limpido che non lascia spazio ad interpretazioni, è tutto chiaro leggendo le sue parole, non si può fraintendere.
Il suo stile narrativo è immediato, la sua prosa sempre fluente , a tratti fitta e prepotente come pioggia battente, le sue poesie intercalate ricche di un lirismo antico.
A definitiva conferma che l'autore rappresenta un fenomeno naturale, prima che intellettuale, una ventata di novità e di freschezza nel panorama letterario italiano.
Nessun commento:
Posta un commento