Il sole si muterà in tenebra, e la luna in sangue.
Lo profetizzò molti secoli prima di Cristo il profeta Gioele. E da allora, quando la luna appare rossa, le si attribuisce un potere strano, un presagio di sventura. Persino in Goldrake, le armate della stella Vega attaccano la Terra quando la luna è rossa.
Di questo detto popolare si è appropriato Enrico Luceri, intitolando il suo ultimo romanzo, Le notti della Luna Rossa, in edicola in questi giorni, forse l'uscita migliore , come ho detto anche altrove, per celebrare i 90 anni del Giallo Mondadori.
Mennella è un cantante neomelodico fallito. Il suo momento di gloria l'ha avuto cantando Luna Rossa. Ma ora deve tutto a sua moglie, Letizia Romano. Vivono a Posillipo, vicino Napoli. Letizia ha ereditato molti beni di famiglia, essendo stata cancellata dall'asse ereditario della sua famiglia, la sorella Giovanna, per dei conflitti insanabili coi genitori, seguiti alla sua relazione con un uomo sposato. Per quanto Maria Letizia abbia cercato la sorella, per ridarle i beni di sua spettanza, non l'ha mai trovata. E si è pure servita della Agenzia Investigativa Di Cillo, una delle più rinomate se non la più rinomata, a Napoli.
Una bella sera, viene trovata morta dal marito Gianni Mennella. Un cocktail micidiale a base di whisky e ansiolitici l'ha stecchita. La polzia non sa se trattarsi di incidente, suicidio o assassinio. Ma più che passa il tempo si convince che si è trattato di omicidio, tanto più che nel lavello della cucina viene trovato, oltre al bicchiere incriminato ma senza impronte, uno con un fondo di whisky, che sembra essere stato lavato male.
A prima vista sembra chiara la responsabilità: il giudice Pieranunzi, nonostante la morte sia stata stimata intorno alle 20 e nonostante Mennella per quell'ora era altrove e vi sono dei riscontri che fosse lì, comunque sia per la strana condotta di Mennella che non si sa per quale motivo temesse per la salute della moglie quella sera, pensa ad un uxoricidio, essendo lui l'erede della moglie. E quindi sarebbe stato lui a bere il whisky assieme alla vittima. Ma successivamente, l'aver appreso che non avrebbe potuto assumere alcolici per il reflusso gastroesofageo di cui patisce gli effetti, e il fatto che stranamente nessuno nel palazzo ha sentito nulla, e sembra non interessarsi a quello che è accaduto al primo piano, spingono il commissario Bonocore e i suoi aiutanti, l'ispettrice Garzya e il sovrintendente Michele Macchia, ad allargare le indagini all'entourage immediatamente prossimo, cioè ai vicini di casa, e poi a chi possa essere la sorella della vittima: i primi, perchè nessuno sarebbe potuto entrare nello stabile se non con le chiavi del portone oppure su invito del diretto interessato; la seconda, perchè per essere stata esclusa dall'eredità dei genitori, avrebbe potuto avanzare pretese nei confronti della sorella, anche se erano state molto vicine. Ma si sa, i tempi cambiano le persone. E così... le indagini vanno avanti.
E se il sostituto procuratore Pieranunzi concede prima due giorni per chiudere il caso, a Bonocore, e poi per altri riscontri, li rinnova, Bonocore stesso è alla ricerca del filo dell'aquilone: l'aquilone (cioè il caso in questione) eviterà che gli possa di nuovo sfuggire, quando terrà ben stretto il filo (cioè avrà risolto il caso). Il filo gli sfugge per uqsi tutto il caso, nonostante egli stia lì per acchiapparlo: le indagini si susseguono, la sorella scomparsa intratteneva una relazione con un uomo sposato con il quale aveva avuto una bambina. Ci si arriva per le indagini dell'agenzia investigativa che fornisce pure alla polizia il nome di una testimone, una vecchia collega della donna che potrebbe ricordare il nome dell'uomo. Ma di lì a poco vengono uccisi prima un detective dell'agenzia investigativa, poi la testimone. Poi anche un inquilino dello stabile della vittima che voleva ricattare l'omicida e infine chi l'aveva fatto entrare nel palazzo.
Bonocore e la Garzya arrivano insieme al nome dell'omicida e in un finale convulso....
Enrico si è evoluto, rispetto ai primi romanzi pubblicati anni fa, rimanendo fedele però ad una sua impronta ben chiara: la derivazione dalla scuola italiana, e soprattutto dal cinema italiano. Come mi ha detto lui: Con rispetto e amicizia, io sono sempre stato solo Luceri, nel bene e nel male.
Ma è evidente che rispetto a Il mio volto è uno specchio l'evoluzione è ben netta. E tuttavia è un recupero della tradizione, più classica che non si può. Le atmosfere non sono più quelle di un film thriller degli anni settanta (sul vincitore del Tedeschi le influenze del cinema italiano giallo da Bava a Fulci a Avati sono evidenti), ricalcano modelli più antichi e cristallizzati ma sempre attuali: qui è l'assassinio in uno stabile. Nessuno ha visto e sentito, ma qualcuno pure dovrebbe aver dovuto sentire qualcosa! E non viene ucciso solo la Romano, ma anche l'inquilino del terzo piano, e poi anche l'infermiera del secondo.
L'assassinio in un condominio (o in una pensione o in un albergo) è un tema classico, più classico che non si può: nel passato vari scrittori si sono cimentati in variazioni, da Quentin Patrick (Murder at the Women 's City Club) a Augusto De Angelis (L'Albergo delle tre rose), da Stanislas A. Steeman (L'assassin habite au 21) a Claude Aveline (La Double mort de Fréderic Belot), da Todd Downing (The cat screams) a Nieves Mathews (She died without light); ma nel tempo stesso è un tema non solo virtuale ma reale: come non ricordare il delitto di via Poma per esempio?
Enrico Luceri elabora quindi una storia, che potrebbe benissimo avvenire in qualsiasi condominio, legandola a idee proprie di alcuni romanzi soprattutto della Christie: si sa che lo scrittore romano ne è un grande fan e conoscitore, e quindi non è un caso che prenda (e lo riconosce nella postfazione) spunti da molti libri della scrittrice inglese:da A Pocket full of Rye a A Murder is Announced. da Sad Cypress a Death in the Clouds. Nonostante ciò, e nonostante vengano citate anche altre opere, tra cui L'Albergo delle tre rose di De Angelis, gli indizi veramente importanti e risolutivi del romanzo di Luceri, legati a romanzi del passato, sono due: l'assassino che potrebbe aver ucciso la moglie di Mennella senza necessariamente essere un inquilino dello stabile, richiama Hercule Poirot's Christmas, mentre l'indizio che porta ad identificarlo senza ombra di dubbio, cioè l'inalatore di cortisone, si allaccia ad un testo che Luceri non cita ma che in modo chiarissimo è legato al suo romanzo: The Egyptian Cross Mystery di Ellery Queen (l'indizio della boccetta di tintura di jodio, che solo l'assassino sapeva dove si trovava).
Il ragionamento che porta Bonocore ad acchiappare il filo del suo caso, si basa su un non senso: sul perchè cioè nella casa della vittima la stanza in fondo ad un corridoio sia una cucina (nella zona notte, cosa alquanto bizzarra), mentre in quella sopra al secondo piano è un più naturale bagno: proprio sulla base che l'inalatore si trovava in una stanza, la cucina, di cui l'assassino non avrebbe dovuto conoscere l'ubicazione se non appunto per il fatto che fosse già entrato nell'appartamento per uccidere la moglie di Mennella, che è collegato al riferimento di Queen dal fatto che lì l'assassino non avrebbe dovuto sapere dove stava la boccetta di Jodio per medicare una ferita, mentre lo sapeva, Commissario e Ispettrice incriminano l'omicida. Del resto, a ben pensarci, non è l'unico romanzo in cui l'assassino non avrebbe dovuto sapere una cosa, ma messo alle strette da una certa situazione, esce dal seminato del suo piano e commette il fatale errore: infatti anche nel celebre romanzo di Rufus King,The Lesser Antilles Case, l'assassino compie un fatale errore mentre è in fondo al mare: entra nella cabina di un relitto per trovare una cosa che se non fosse già stato lì non avrebbe saputo dove cercare.
Ma non si ferma a questi romanzi il ricordo di Luceri: nel suo romanzo sono esemplificati i vari generi del giallo classico, esaminati e fatti interagire con altri: c'è l'esemplificazione di una serie di alibi che sembrerebbero a prova di bomba ma che vengono smontati (richiamo a Crofts); c'è il ritorno dell'erede, magari tenuto lontano dal patrimonio, ma che per rientrarne in possesso uccide (richiamo a Christie); c'è il tema del malato assisitito dall'infermiera ( es. la madre dei Greene in The Greene Murder Case, di Van Dine); c'è quello della vendetta e del patrimonio.
Quello che forse differenzia Luceri dal tema classico in senso stretto e lo fa essere figlio di un tempo più vicino a noi ( e molto vicino al modo di inquadrare l'assassino da parte di Paul Halter), è il tema della pazzia, la follia psicopatica, in virtù della quale l'assassino non è solo un elemento freddo e astuto che uccide per pura malvagità o per calcolo, ma anche un elemento che uccide per il piacere che gli procura uccidere. Non solo: in Luceri assistiamo al susseguirsi di scene anche splatter (possono richiamare Fulci per esempio) che difficilmente sarebbero state inserite in un giallo di Agatha Christie, in cui la scena del delitto, per quanto il delitto fosse abominevole, era asettica: in Luceri invece, la scena del delitto, è viva, la vediamo svolgersi in tutta la sua crudezza, insomma è figlia del suo tempo. Inoltre in Luceri il giallo classico si sposa con il giallo a sfondo suspence, e in questo parrebbe essere come un ritorno alle origini, alla Rinehart per esempio, come però potrebbe benissimo anche essere la filiazione di un certo cinema italiano.
Insomma Enrico Luceri è un giallista a tutto tondo. Forse il miglior giallista in circolazione in Italia. E questo romanzo è uno dei suoi migliori, un singolare omaggio alla grande Età d'oro del Giallo: perfetto per festeggiare i 90 anni del Giallo Mondadori (forse una delle migliori uscite di quest'anno se non la migliore uscita assieme all'Halter), ma perfetto anche per essere venduto in libreria, accanto proprio ai romanzi della Christie da lui citati.
Pietro De Palma
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