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INDICE

 

PREFAZIONE: IL MISTERO QUESTO SFUGGENTE CONOSCIUTO

di Genevieve Maltese

 

AVVERTENZE PER I LETTORI

 

1.       L’ENIGMA DELLA TASCA E DEL BUCO

2.      UN POZZO PROFONDO

3.      IL GOMMISTA LUPO MANNARO

4.      LA METAMORFOSI DELLA DONNA GRANCHIO

5.      LA IERODULIA DI QEDESHA

6.      PROSERPINA LA MEDIUM

7.      IL SOGNO DEL PARTIGIANO

8.      LE TRE LETTERE ANONIME

9.      L’AREOPORTO NATO DA UNA VISIONE

10.   IL CAVALLO MORENTE

11.    IL POETA E IL PESCATORE

12.   MEMENTO MORI

13.   L’INCOMPIUTA

14.   L’OVILE DEL DEMONIO

15.   IL SEGRETO DI ANAHIT L’ARMENA

16.   IL MISTERO DEL BATIK LAPISLAZZULO

17.   LA LETTERA OTTUSA

18.   IL PASTO SACRO

19.   LA TAVOLA DIE FANTASMI

20.  LA SPIRALE ESOTERICA DEL TRULLO

21.   IL SEGRETO DEL THIEBOUDIENNE DI AMINA

22.  IL MISTERO DEI QUADRI DI CARAVAGGIO

 

POSTFAZIONE: IL MISTERO DELLA SCRITTURA di Guglielmo Campione

 

RINGRAZIAMENTI

 

NOTE SULL’AUTORE                           


 

Parliamo di Bellezza di Chiara Troccoli Previati






Partiamo dalle foto di sole al tramonto e all'alba.

Quando siamo di fronte ad uno spettacolo del genere cosa proviamo dentro? Ma, soprattutto, a cosa pensiamo?

Facciamo esperienza vera di bellezza? 
Sentiamo vivo in noi un innegabile ANELITO ALLA BELLEZZA?
 Contempliamo. Ammiriamo. 

Ma se tutto si fermasse qui, al piacere estetico, al dire -mi piace! -, -che bello! -, non ci illumineremmo, non sentiremmo aprire dentro di noi alcun cancello che da questo finito, contingente spettacolo, si espanda verso l'infinito, il profondo.

Il bisogno interiore di bellezza, i cui canoni l’arte delle prime avanguardie storiche hanno messo in discussione fino a proporne, in modo sempre più eclatante nel corso del ‘900, il loro netto ribaltamento, è ancora e sempre una emergenza oggettiva dell’uomo, anche di quello confuso, distratto, impreparato, inconsapevole, sordo, superficiale, cieco talvolta, presuntuoso, del nostro tempo.

Dunque, da sempre, dicevo: Facciamo l'esempio dell'arte preistorica per la quale, non a caso, si parla di ‘arte e magia’.

Pensiamo all'uomo che, senza alcuna inculturazione, ha visto per la prima volta un arcobaleno, un temporale coi fulmini, un tramonto. Ha assistito al cambio delle stagioni, ha ammirato la luna, il sole e le stelle.
Quest'uomo ha sentito l'esigenza di 'mettersi in contatto’ col cielo da cui ha visto provenire questi meravigliosi o tremendi eventi e cosa ha realizzato, creato, che esigenza di comunicare quel che sentiva dentro, ha avuto?
Ha innalzato megaliti verso quel cielo. Semplici menhir o addirittura costruzioni complesse come nel Caso di Stonehenge. Lo stupore di fronte a questa ‘opera d’arte’ nasce quando veniamo a conoscenza del fatto che il cerchio interno dei megaliti di Stonehenge, le cosiddette ‘pietre azzurre’ (2100 ca a C.) ovvero la dolerite maculata son stati prelevati da una cava distante circa 200 km dal sito famoso. Che motivazione interiore avevano per compiere un simile immenso sforzo quegli uomini? L’azzurro è il colore del cielo e quella era un’opera che, come un osservatorio astronomico, mostrava quel che loro avevano compreso del cielo.

Quello che ho potuto sperimentare e osservare in me e negli altri con cui di quest’argomento ho discusso è che quando dall'esperienza fisica si passa a quella metafisica si scopre la meraviglia. 
 Ci accorgiamo di avere due sguardi: quello degli occhi del volto, della carne, e quello degli occhi della mente, meglio, dello spirito. L'azione sinergica dei due sguardi coglie più profondamente la bellezza come luce che ci illumina e ci muove quindi verso la scoperta e la conoscenza. (Brano di Riccardo di San Vittore pag. 67 da Benjamin maior)

Parlando di bellezza abbiamo già visto la bellezza della natura ma anche la bellezza creata dall'uomo ovvero quel che merita il nome di opera d'arte. (La radice ariana di arte è ar che in sanscrito vuol dire muoversi, andare verso qlc. no, dunque l’arte è comunicazione.)

La più compiuta definizione di bellezza viene dai greci che parlano di completezza della bellezza usando il temine kalokagathia: riferito ad un soggetto indica colui che alla bellezza fisica unisce la rettitudine morale così da raggiungere l'ideale di persona; riferito ad un oggetto il kalos kai agathos indica ciò che è bello e funzionale, fatto a regola d'arte. Risponde cioè a criteri di gradevolezza estetica derivanti dall’unione di armonia, equilibrio, proporzione, perfezione che però l'artista sa bene, avendo i modelli davanti, che in realtà non esiste ed è dunque qualcosa di ideale.
 Dunque, l’artista classico greco scolpisce l'uomo come sarebbe se fosse divino, perché la scultura, così come l'architettura dei templi, sono pensati dai greci per essere un omaggio alla divinità! Dunque, non possono essere men che perfetti.

Successivamente, dopo il momento dell'arte classica greca di cui questi erano i canoni, si comprende gradatamente passando dall’età post-classica a quella ellenistica come in realtà esista e pertanto vada contemplato, anche il non perfetto, il diverso, la vecchiaia, il dolore, che entrano a far parte delle rappresentazioni artistiche che comunque noi definiamo bellezza e allora comprendiamo una cosa importante: il contrario della bellezza non è la bruttezza. Arriveremo più tardi a spiegare cos'è.

Cosa hanno secondo voi in comune le due bellezze cui ho accennato, quella naturale e quella creata dall'uomo?

Quel che condividono e' certamente il dato naturale, la natura in tutti i sensi, perché l’espressione artistica nasce dal confronto con il dato naturale che ci circonda, è mimesi e insieme suo superamento, ma, quello che condividono è lo svelamento dell'invisibile attraverso il visibile, che rende evidente la relazione tra finito e infinito. L'esperienza sensibile della bellezza ci pone dunque in relazione con l'infinito, con l'assoluto, con ‘l’oltre’.

La contemplazione attenta della bellezza rende consapevole chi la attua di avere dentro di sé una speranza di eternità. L’esperienza della bellezza ti colpisce come un dardo e ti annienta l'idea del nulla. Ecco perché, dice il filosofo Wittgenstein nel 1916, che - il bello è ciò che rende felice- perché l'idea del nulla ti angoscia mentre l’idea di eternità, di un oltre, ti rasserena.

Ma facciamo un esempio di bellezza creata dall'uomo da parte di un artista rinascimentale che si suole identificare con l'idea di bellezza: Botticelli.
Leggiamo insieme La Primavera, opera che incanta tutti, esperti e neofiti per quei canoni classici di cui abbiamo già parlato.
Lettura dell'opera e scoperta dei suoi molteplici significati dei quali una spia è il porsi la domanda, dopo una attenta visione contemplativa: - Ma perché se l'opera si intitola La Primavera la sua rappresentazione non è al centro del quadro? Chi c’è al centro? E chi sono gli altri personaggi?

Possiamo quindi affermare che per fare esperienza della bellezza dobbiamo passare attraverso:

a) la contemplazione, silenziosa (perché cm già diceva Platone la bellezza chiama, associando il nome kalos al verbo kaleo e se io non sono in silenzio non riesco ad ascoltare!!!)

b) la scoperta e la conoscenza che nasce quando la ammirazione diventa cosciente

c) il godimento, la felicità che ne viene. (Come sono felice quando riesco a entrare nel messaggio che la natura, l’artista con la sua creatività vuole comunicarmi!)

Dimostriamo ora come il contrario della bellezza non sia la bruttezza leggendo un'altra famosa opera coeva della precedente: La ‘Maddalena penitente’ di Donatello. Scultura che si propone come apparente negazione della bellezza esteriore. Nessuno guardandola direbbe subito: -che bella! -
Una volta che ci educhiamo a relazionarci con la bellezza, con l’arte autentica e cominciamo a riconoscerla e a gustarla ne veniamo rapiti e impariamo a immergerci nelle sue profondità. Affiniamo la nostra sensibilità imparando a contemplare la bellezza e capiamo che il nostro destino non è solo nel tempo che irrimediabilmente si dissolve ma è nell'infinitezza.

Come riconoscere la bellezza? Con l'esperienza e la conoscenza.

Come educarsi alla bellezza? Con piccoli gesti che stimolino lo stupore, il desiderio di lasciarsi sorprendere, l’amore per le piccole cose, anche una piantina in camera da curare e veder crescere, la visita a luoghi naturalistici e paesaggistici, a luoghi culturali ricchi di arte, insomma si può essere educati alla scoperta della bellezza, fin da piccoli.

Vi siete mai chiesti perchè quando siamo in una cattedrale paleocristiana, o gotica, rinascimentale, avvertiamo un senso di pace, di splendore, che ci predispone alla contemplazione?

E vi siete chiesti perché invece in moltissime chiese moderne anche se progettate da illustri e famosi architetti si resta indifferenti e queste ci appaiono non dissimili da luoghi mondani come un auditorium, e non certo sacri, come la funzione liturgica dell’edificio richiede? Sono luoghi vuoti, perché non connettono l’aspetto con la funzione, il luogo non rimanda alla presenza invisibile di Dio.

A questo punto proviamo a capire quale possa essere il contrario della bellezza: lo diceva il grande Cezanne, artista-filosofo, capace di trascorrere gli ultimi 10 anni della sua vita a dipingere sempre la stessa montagna, il Monte Saint Victoire, spostandosi solo poco più a sn o poco più a ds.
In un percorso conoscitivo-speculativo sulla realtà che gli sta davanti Cezanne si sente sollecitato a una scoperta senza fine che passa dalla restituzione quasi fedele, pur con la sua tecnica a spatolate, dello spettacolo naturale che ha davanti agli occhi ad una rappresentazione della profondità dello stesso; passa gradatamente da un qualcosa di visibile all'invisibile, che è qualcosa che ci sopravanza. Penetrare il finito per arrivare all'infinito e' il suo scopo e non perfezionando la tecnica, raggiungendo un effetto finale gradevole e somigliante alla realtà, perché questo-come lui stesso dice- suscita l'ammirazione degli imbecilli! 
Il suo fine è una pittura vera e sapiente che sveli come quel monte contenga l'essenza ontologica della bellezza, cioè Dio. 
Ecco perché l'azzurro diventa gradatamente più pregnante.
È' il volto che lui cercava in quel monte.
Ha raccontato la serie di trasfigurazioni verso la bellezza andando dal monte verso Dio.
Questa è, inaspettatamente, arte sacra.

Ecco cosa diceva Cezanne: il contrario della bellezza NON è la bruttezza ma e' la stupidità, la volontaria ignoranza.

La bellezza del mi piace/ non mi piace ti imprigiona, non rimanda a nient'altro e finisce scioccamente e vanamente lì', non ti porta a trascendere e, se credi, ad ascendere.

La bellezza vera invece ti interroga, ho provato a dimostrarlo, e ti fa partire verso un avventuroso percorso di conoscenza che prima o poi ti conduce alla verità.

Posso aggiungere che se la bruttezza non è il contrario della bellezza essa può coincidere con la bellezza stessa. Umberto Eco dopo aver scritto il “Manuale della Bellezza” ha scritto quello della Bruttezza per dimostrare che la Bellezza è negli occhi di chi guarda e sa guardare.

Quando si usa e spesso abusa della frase di Dostoevskij" la bellezza salverà il mondo" ci si ricorda cosa lui intendesse per bellezza? E in che senso salverà il mondo?

Cominciamo col dire che KRASOTA’ in russo vuol dire molto più che bellezza, significa meraviglia, splendore, fascino, eleganza, perfezione, insomma; nella costruzione russa della frase MIR SPASET KRASOTA’ mir significa mondo (ma anche pace), dunque la traduzione dovrebb’essere -il mondo (lo)salverà la Bellezza? Cioè il mondo sarà salvato dalla Bellezza? Qual è la Bellezza che può pretendere di salvare il mondo?

Quella bellezza, diventando 'bruttezza', perché avrà una parabola tragica terrena, il mondo lo ha salvato, annunciando la resurrezione dalla morte. Ma sta a noi scoprirlo sulla nostra pelle.

Chiara Troccoli Previati

Il realismo magico e le Sinestesie di SANTINA FAVOLLA: recensione di Paola Zinni.


Ho molto apprezzato SANTINA FAVOLLA : lo definirei  un "realismo magico mediterraneo con suggestioni di sacra arte muratoria e l'eco di antiche pratiche sapienziali indigene",un mix davvero gustoso, come quello di certe buone, segrete erbe spontanee note quasi solo alle masciare!


Il riferimento alla liuteria in questa narrazione mi ha fatto anche pensare, in qualche modo, alla raccolta e trasformazione del bisso sardo : forse perché, in entrambi i casi, si ha a che fare con una materia intrisa di tempo, di un lavoro anche interiore che progressivamente la matura e la trasforma a fondo affinché serva a scopi ulteriori, sopraffini, impalpabili.


Mi piace poi l'accento  posto, più volte, sull'importanza contestuale di "momento giusto" e "iniziazione": penso infatti che se tutti noi, fin da piccoli, potessimo attingere a tale orizzonte di senso, sono certa che ogni Vita avrebbe più chance di svilupparsi come dovrebbe, e cioè come un'originale e autentica Opera d'Arte.


In Santina Favolla risuonano leggende medioevali (penso a Cristalda e Pizzomunno musicata da Gazzé) e c'è un uso molto amabile di sinestesie: in particolare le sensazioni olfattive che arrivano dalla casba, dai sottani, dal mare, dal sudore, dal pane, dallo zolfo, dalla cera sull'arancia.


Infine, come non gioire di tutta un'impronta cruciale e deliziosamente molto junghiana - ma non per questo meno Campioniana-  che rimanda all'urgente necessità di esemplificare la suprema integrazione dell'Ombra? 

Per me, in tutta franchezza, l'innata (o educata? O auto-educata? Mistero!) complessità sentimentale del. Personaggio di Achille, che riconosce ed ama doppiamente Santina/Favolla (cioè con duplice sovrabbondanza) , è davvero l'unico eroico amore che valga la pena di vivere.


ADRIANA ZANESE " LA STAGIONE DEL MALE" : recensione di G.Campione

 Il Tradimento costruzionististico delle Realtá.



Nella stagione del male di Adriana Zanese é possibile ,come succede talvolta nei suoi noir,cogliere il loro sapore filosofico e psicologico al di lá del racconto scritto come una trama onirica latente rispetto a una trama diurna manifesta ,per usare la celebre metafora di Freud.

La veritá nei romanzi di Adriana é una conquista , una costruzione cognitiva , che si ottiene tenendo sempre acceso il dubbio generatore di domande euristiche e nel caso del noir , inquisitive.

La relazione apparentemente ordinaria tra Marco e Linda e quella parallela tra Marco e la psicoanalista di Linda , Veronica paiono giocarsi sul tema del doppio femminile ,Linda moglie,Linda paziente, Veronica analista della moglie, Veronica amante del marito della sua paziente, Veronica istigatrice dell'assassinio della moglie di Marco ma anche della sua paziente. Ma anche sul doppio Maschile : c'é un Marco marito ,un Marco amante, un Marco assassino,un Marco soggiogato.

Linda morta e non morta.

Il tradimento multiplo incrociato ,lungi dall'essere un vizio etico e libidico ,assume qui i contorni di un generatore di ipotesi identitarie. Mi contraddico in quanto ho dentro di me una multitudine di identitá, come recitava Walt Whitman .

Pare un gioco di specchi in cui la realtá é saltata come la stessa definizione

 di normalitá puramente frutto di una convenzione linguistico-sociale come direbbe Chomsky .Da vicino nessuno é normale , recitava uno slogan antipsichiatrico anni 70.

La lezione Pirandelliana della maschera e del relativismo dell'identitá di Cosí é se vi pare é servita , in salsa noir .

Donna Beatilla letta da Giorgia Anese

 




Ad un libro-che sia un romanzo, un racconto o un saggio-chiedi sempre che ti conduca in un mondo reale o immaginario, comunque diverso da quello da cui se partito.

Chiedi-quel mondo-di fartelo conoscere, toccare e, se ha colpito la tua immaginazione, di farlo tuo.

E che al ritorno, magari per altre strade, quel che hai visto,conosciuto, toccato, ti abbia,almeno un po', cambiato lo sguardo.

È quel che accade ogniqualvolta ti capita tra le mani uno scritto di Guglielmo Campione, diventato,ormai,compagno di viaggio abituale delle nostre serate di lettura.

Questa volta ci racconta il percorso spirituale e di vita di un personaggio realmente esistito all'esordio del secolo scorso.

E lo fa da narratore vero, di razza, qual'è.

Ma il racconto è, come suo stile e consuetudine,solo una cornice intarsiata di ricordi ed immagini,spesso, sublimi,entro la quale è incastonata una tela da dove emergono di volta in volta, come bassorilievi illuminati, le tante tematiche che gli stanno a cuore e che contribuiscono a farne uno scrittore vero, a tutto tondo, abile come pochi altri a delineare i caratteri umani e, in questo caso, soprattutto, morali dei personaggi che abitano nei suoi romanzi, non prescindendo mai da una perfetta contestualizzazione spazio-temporale delle vicende raccontate.

Nascono, così,fotografie di sublime dolcezza
(le case bianche del villaggio addossate l'una accanto all'altra colte nel tenero atto di proteggersi) ovvero quadretti di struggente nostalgia come la descrizione fedele quanto minuziosa della sartoria lo dico da figlia di "mescia sarta" che in quell'atmosfera   soffusa ed austera ci ha vissuto gli anni della sua giovinezza, tanto da sentirne  ancora il profumo leggero delle stoffe con la vecchia Singer a pedale con ruota inferiore a trazione con corda e ruota superiore innescata-e frenata- a mano.

Così tutte le tematiche care all'autore,fede, ragione,filosofia, etica
(intesa come arte di vivere), morale, amore per la poesia, per la cultura classica e per quella popolare,per l'arte e la bellezza, il forte, tenace, legame per la propria terra (estesa, questa volta, fino alla Lucania) confluiscono e sono fatte proprie dalla protagonista della storia e il suo piccolo ma prezioso entourage di apprendiste.

Donna Beatilla, infatti, è donna umile e semplice quanto intuitiva, riflessiva, innamorata dell'arte e della bellezza ("la bellezza salverà il mondo" le fa pronunciare  l'autore evocando Dostoevskij), ma, soprattutto, è detentrice di una convinta e profonda filosofia di vita figlia, nella stessa misura,della sua sensibilità religiosa, del suo vissuto e di un ricco patrimonio di saggezza popolare.

In lei si fondono un'innata predisposizione all'ascolto ed una,quasi santa, capacità di adattamento e accettazione delle vicissitudini della vita proprie di una concezione evangelico-cristiana che l'autore, forse un po' ad abundatiam, fa confortare e corroborare perfino da una colta e raffinata disciplina orientale.

Nel racconto l'immagine simbolo di questa dedizione ed abbandono a Dio è data dall'atteggiamento di completo assenso al sacrificio attribuito alla postura del Crocifisso ritratto da San Giovanni della Croce.

Ma è il nostro universo interiore il vero campo di Agramante, il campo di battaglia dove,secondo Donna Beatilla, si affrontano  in un'asperrima lotta il nostro ego e la nostra anima.
Dall'esito di questo scontro dipende cosa farne della nostra vicenda terrena.

Se consacrarsi ad una idea suprema in cui l'uomo riconosca e si convinca con tutte le forze della sua natura che l'impiego più alto che egli possa fare della sua individualità consiste nel mortificare questo stesso io, nel donarlo interamente a tutti e a ciascuno individualmente e senza riserve, cercando di far crescere il nostro potenziale divino( santa Teresa d'Avila,richiamata nella dedica del racconto, ma anche Madre Teresa di Calcutta).

Oppure arrendersi alla tirannia del nostro ego, innescando una lenta ma costante caduta verso l'abisso dell'anima così mirabilmente descritta in ogni suo passaggio in una della pagine più dense ed inquetanti del racconto dove la statura letteraria ( e professionale!) dell'autore assurge a livelli quasi dostoevskijani.

Nessuno meglio del grande scrittore russo, infatti, ha saputo descrivere lo stesso dramma che, però,fa svolgere sempre entro due poli opposti, antitetici, tesi ed antitesi, Cristo ed il sottosuolo, i dèmoni.

L'idea principale del racconto/romanzo di Guglielmo Campione, invece, è e rimane quello di disegnare una natura umana pienamente bella:
a questa funzione rispondono tutti i personaggi, primari
( Donna Beatilla)o secondari( Carmelina, Dolores e Proserpina), nessuno dei quali assume mai un ruolo negativo o tormentato, pur in una ricca sfaccettatura di caratteri ognuno dei quali portatore di una sua personale,ma sempre positiva, filosofia di vita.

In questo senso, Campione è uno scrittore limpido che non lascia spazio ad interpretazioni, è tutto chiaro leggendo le sue parole, non si può fraintendere.

Il suo stile narrativo è immediato, la sua prosa sempre fluente , a tratti fitta e prepotente come pioggia battente, le sue poesie intercalate ricche di un lirismo antico.

A definitiva conferma che l'autore rappresenta un fenomeno naturale, prima che intellettuale, una ventata di novità e di freschezza nel panorama letterario italiano.

             


Santina Favolla letto da Adriana Zanesi :IL MITO CHE OCCULTA/SVELA LA REALTÁ



5,0 su 5 stelle

Un lungo e articolato brano di antropologia culturale, questa favola pop, ricca di simboli e suggestioni mitiche che affiorano dall’inconscio collettivo di Campione, proiettando la propria linfa vitale ,junghianamente, nella memoria visiva del lettore.

 Lo sfondo è un Sud ideale che è occasionalmente Puglia, ma potrebbe essere la Sicilia o la Calabria, con la dovuta differenza di sfumature date dal modo variegato con cui le popolazioni autoctone seppero declinare gli innesti culturali e di civiltà portati da invasori che l’Autore ravvisa nei Greci, nei Bizantini, fino agli Arabi; ma la Puglia, come la Sicilia fu anche, in particolare, il feudo imperiale del normanno-svevo Federico II Hoenstaufen, a cui la cultura del Sud Italia deve tanto.

Questo romanzo breve ci presenta Santina, una figura di masciara (in Sicilia majara) non una semplice fattucchiera o indovina, ma “colei che fa accadere le cose.” 

La descrizione della protagonista esprime bene l’essenza di poteri “magici” che sfidano la superstizione, il suo concetto, in una civiltà materialista, la nostra attuale, fondata su postulati, quali la materia, non dimostrati, come la fisica contemporanea afferma ormai con convinzione.

 Santina, ignara di possedere quei poteri, si situa,nei primi decenni del 1900, tra le figure eterne delle Pitie e delle Sibille della tragedia antica, ne ha il crisma e l’ingenuità, diremmo oggi la diversità: una femmina che compete (non del tutto inconsapevolmente) con i maschi, vendendo ormai vecchia i propri inquietanti favolli cotti e stecchiti (i granchi di mare pelosi) al mercato del pesce

Una donna che (come Cassandra) sfida la mascolinità e la ragione, il mondo visibile (cioè illusorio) proponendo la misteriosa conoscenza degli antichi Caldei.

Conoscenza che, per Santina, si svela per bocca di un favollo, un granchio, che le parla....

Donna Beatilla letta da Chiara Troccoli Previati




Apriamo questo nuovo libro di Guglielmo Campione, poeta e prosatore prolifico, dai variegati interessi, ed entro la prima pagina conosciamo già Donna Beatilla. Dopo poche righe entriamo a capofitto nel cuore del racconto e ne siamo rapiti per una frase, frutto della saggezza popolare della protagonista, aforisma che diventa presto l’anima vera di questa storia. Un’anima profonda che pesi a poco a poco e ti resta dentro marchiata a fuoco.

A breve fanno capolino gli altri personaggi, Carmelina, Proserpina, Dolores, pennellate a piccoli tocchi e via via tratteggiate sempre più finemente: lavorano nella Sartoria con Donna Beatilla, ognuna un gioiello diverso ma tutte quasi figlie per la maestra di taglio e ricamo. Come in un edificio a pianta centrale con colonne disposte in senso radiale tutto converge al centro quasi con forza centripeta, così qui tutti i personaggi ruotano attorno alla protagonista e relazionandosi con lei ne fanno affiorare il vissuto personale, la saggezza conquistata, l’equilibrio e la fermezza del carattere che spiazzano ma affascinano chiunque la va ad incontrare.

A ciascuno Donna  Beatilla dispensa la sua filosofia del quotidiano che traghetta con austera semplicità verso pensieri profondi e ampie riflessioni: uno stupore preannunciato già nella affermazione chiave, proposta a chi legge, fin dall’inizio del racconto ma che si arricchisce via via di ulteriori scandagli sul senso ultimo della vita e sull'idea di verità.

Dispensatrice di consigli, di moniti ed esortazioni, custode di memoria familiare, è scevra da superstizioni e frivolezze perché comprende quanto il ‘tempus breve est’ e come la vita sia un’altalena di conquiste e rinunce tra cui sapersi barcamenare per mantenere l’equilibrio che ti dona serenità interiore.

Alle clienti della sua raffinata sartoria, nella quale è coadiuvata dalle tre fidate fanciulle, ciascuna con un carattere e una propria  specificità nell’affiancamento a Donna  Beatilla, la protagonista offre anche risposte ai consulti su temi decisivi, con la consueta modalità aperta, quasi come un rebus, che lascia macerare dentro chi la interroga e serba  la sua risposta sibillina nel cuore.

In ogni contesto narrativo, come di consueto, Campione ci svela con certosina precisione luoghi, epifanie di ambienti quali la sartoria, il convento, la campagna di famiglia, un pranzo di nozze e così via, che accolgono i personaggi di volta in volta con la naturalezza che meglio li possa caratterizzare e rappresentare.

In una dualità espressiva ormai consueta, il nostro autore inserisce come bottone madreperlaceo in asola perfetta, la poesia, alternandola allo scorrere della narrazione in prosa. Qui si inseriscono come giri in giostra, racconti mitologici, temi di filosofia orientale, leggende popolari, per impreziosire un tessuto narrativo già di per sé accattivante.

Punto culminante nello svolgersi degli eventi è il dialogo tra Donna Beatilla e il priore del Convento francescano del paese, Padre Geronimo, il quale fa convocare la donna preoccupato della sua ingerenza in ambiti propri delle relazioni ecclesiastiche: lei è chiamata al capezzale dei moribondi o viene consultata prima di un matrimonio. La preoccupazione più profonda riguarda l’eventuale uso di pratiche misteriche e superstiziose che la Chiesa vuol spazzar via. Qui, nell'àcme, il lettore è colpito dalla grandezza della figura del Priore, il quale ha l’umiltà di confrontarsi senza pregiudizi con questa donna non colta ma profondamente saggia e pregna di fede, che è stata capace di cucirsi addosso, punto per punto, un habitus profondamente cristiano. Questo non sfugge all'avveduto   Priore, uomo di larghe vedute.

Uno snodo narrativo fondamentale che ci conduce verso un poetico finale.

La vita fa il suo corso e le apprendiste di Donna Beatilla, una ad una, iniziano il loro cammino di vita autonomo, trattenendo nell’animo gli insegnamenti della loro maestra. 

Le ultime pagine sono pregne di filosofia essenziale, naturale, meditata e vissuta; oggetto di riflessione per il lettore e specchio dell’animo dello scrittore.

Un finale commovente e poetico ci lascia chiudere il libro con un senso di ricchezza e compiacimento. 


Buona lettura!


L'ambigua oggettivitá della realtá nel noir di Adriana Zanese Inserra :Spillane detective di provincia.


 Sullo sfondo di una Puglia antica piu archeologico storica che balneare,che le restituisce il suo autentico valore scotomizzato per anni come se la Storia fosse solo un patrimonio di Roma della Toscana e del Nord,Adriana Zanese Inserra,tesse la trama di un noir che ,come insegnava Sciascia a Camilleri ,é solo una solida struttura narrativa per uno scrittore entro cui si possono dire molte e diverse cose. Adriana,inaspettatamente,ci parla di stati di coscienza caotici ordinati cronologicamente dalla mente ,di una realtá che ha un'ambigua oggettivitá, e che forse é invece il frutto di una strutturazione umana come il costruttivismo si propone di suggerire.

Spillane é la rara figura di un uomo,umano troppo umano direbbe Nietszche, indebitato e sognatore che si muove fra Barletta e Andria , e lentamente si fa avvolgere in un gorgo di eventi ambigui e onirici che lo avvolgono e vittimizzano come non ci si aspetterebbe da una figura ,quella del detective, che in modo stereotipato da sempre viene scritta come quella di un vincente che risolve ,salva e rende giustizia.
Un noir sofisticato nell'elegantissima scrittura di Adriana, che intreccia riflessioni filosofiche scientifiche ed esistenziali tutt'altro che consuete nel panorama ormai saturo e grondante ovvietá obsolete del noir .

Guglielmo Campione

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Adriana Zanese Inserra Scrittrice italiana. 

Ha studiato Lettere e Filosofia presso la Facoltà di Lettere dell'Università La Sapienza di Roma.

 Esperta di letteratura anglo-americana, storica della Cospirazione Globale. 

Nel 2015 ha fondato il Movimento Letterario L'altra Letteratura Scrittori Indipendenti , che tiene ogni anno un Festival della Letteratura dedicato agli scrittori che pubblicano sul Web. 

Il Festival si svolge con la partecipazione di importanti istituzioni pubbliche.

 Adriana Zanese ha pubblicato:

 Il Velo di Maya poesie, semifinalista Concorso di poesia di Genova 2012, Editore ilmiolibro.it/Feltrinelli (2012)e finalista con la 2a edizione, nello stesso Concorso nel 2018; Yermary, teatro, editore ilmiolibro.it/Feltrinelli (2012);

 Abduction, teatro, editore ilmiolibro.it (2013) e Kindle di Amazon.it (2016);

 Donna dai due volti, script, Editore Lulu.com (2014);

 Scomparsa, romanzo, Edit. ilmiolibro.it (2014) e CreateSpace/Kindle Amazon.it (2015 e 2016);

 Gli Illuminati di Sion, saggio storico (2 vol.) Edit. CreateSpace e Kindle di Amazon.it. (2017); anche nell'edizione inglese, The Illuminati of Zion.; Lunar Conspiracy, romanzo fantapolitico in due volumi, (2018) editore Amazon. 

Tra il 2005 e il 2006 è stata membro della commissione cultura del tavolo per il programma di governo di Romano Prodi, che ha contribuito a scrivere.

 Pubblicista, ha collaborato a periodici di attualità culturale e politica, Orizzonti Nuovi e Rolling Stone.

Donna Beatilla letta da NINO GRECO




Un romanzo da non perdere !

“ I vestiti devono avere sempre due tasche, una con un buco” e quel buco, diceva Donna Beatilla, servirà a lasciare andare le cose superflue della vita, quelle che fanno volume e sono destinate ad andare…

Le metafore sono la linfa della letteratura e della vita e Donna Beatilla ne faceva uso con lo stesso garbo con cui appuntava i merletti sui vestiti con la stessa attenzione con cui si approcciò a leggere le pagine de “ La notte oscura” di San Giovanni della Croce. 

Un appunto di Padre Geronimo vergato a “lapis” nella terza pagina citava: 

- Dalla sofferenza sono emerse le anime piu forti, i personaggi più imponenti sono solcati da cicatrici-.

Grazie, Guglielmo.


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Nino Greco

scrittore ,nativo di Oppido Mamertina,vive a Milano.

 Ha pubblicato :


Mastro Peppinu e Peppineju: storie di Paese.Racconti brevi,Editore Barbaro 2009


Il mare e la questione meridionale ,Racconti brevi. Editore Imma arti grafiche 2012


La tana del Fajetto , Romsnzo ,Editore Pellegrini 2015


Il mare e la sinistra ,Racconti ,2023

DONNA BEATILLA letto da Mapi Barraco Pellegrino


Autore di libri di psicoanalisi e analisi del mondo contemporaneo, di romanzi, di poesie ( IL LUNGO CAMMINO DEL FULMINE) tradotte in inglese, francese, portoghese, spagnolo,tedesco e (12 MESI DIALOGO COL TEMPO e EPIPHAINO) in latino e greco,  Guglielmo Campione, medico psichiatra e psicoanalista, pubblica il suo quarto volume dal titolo “Donna Beatilla” 
nella collana “Luci da Sud.

La protagonista del libro, anziana donna lucana, vive nel suo ambiente naturale per nascita e per destino; detiene una saggezza antica il cui lontano passato diventa simbolo delle nostre ierofanie, miracolose presenze o rivelazioni del sacro o del divino, che finiscono per incarnare magie nel tempo ciclico e “riattualizzabile” della vita.

Nessun mistero per  gli  abiti neri indossati da Donna Beatilla che non hanno paura del buio e accompagnano ricordi mai sopiti, accesi da una fiammella di una candela, la cui luce scalda il cuore della solitudine richiamando rêverie di memoria.

Quello che intriga il lettore, sin dal primo capitolo, è l’enigma di “Donna Beatilla” .
Un enigma diviene  pensiero riflessivo e meditativo per chi consulta l'anziana donna e spera in un responso sibillino.
 
All’ enigma di “ Donna Beatilla” lo scrittore aggiunge altri misteri, espressi dalla presenza di figure  femminili e apprendiste  dell'arte del taglio e del cucito, Proserpina,Dolores e Carmrlina delle gazze ladre.
Le tre giovani fanciulle esprimono  freschezza e sentimenti d'amore,  tra un rocchetto bianco, un filo teso e una cruna di un ago,maturano pian piano la capacitá di avere visioni dell'al di lá ,di predire eventi osservando gli elementi Naturali e interpretando il volo degli uccelli, o di farsi personificazione dell'amore .

Il mondo della magia e il misticismo religioso si alternano nell'intreccio di storie e di vissuti personali, parimenti alla ricerca di una luce che illumini le oscurità e i misteri della vita. 

Donna Beatilla viene invitata dal priore dell'ordine dei Francescani, Fra Geronimo, a conferire con lui che tutto vigila per fsrsi conoscere e spiegare i suoi  metodi. Il monaco si confronta cosí con l'anziana e riflessiva Donna, a cui la gente si rivolgeva per ricevere saggi consigli. Alla fine dell'incontro le dona un libro sacro ma enigmatico “La notte oscura” di San Giovanni della Croce.

 
In questa parte del romanzo la sospensione del giudizio,  l'umiltà e la gratitudine sono presentati dallo scrittore come una condizione ineliminabile dell'umana esistenza, (concetti che indicano una profonda autoconoscenza) in cui ciascuno dà espressione del proprio universo interiore. 

L'opera enigmatica del mistico spagnolo viene capita da Donna Beatilla  forse come una via di riflessione sull'Anima, “che può perseguire percorsi di miglioramento” e di compimento.

 Il romanzo di Guglielmo William è una modernissima opera che integra enigmi, mitologia, magia, rituali e culture di immensa fascinazione.  
La profonda ed intensa dedizione al Sud compare  in ogni tratto della scrittura, aprendo memorie e registri culturali delle radici della nostra terra,  rivelando un quadro magico che rimanda ai complessi e variegati rapporti del mondo psichico più antico e remoto.

Lascio ai lettori il compito di apprezzare la bellezza del romanzo, di cogliere le emozioni risvegliate dalle immagini di memoria archetipica e antropologica, alla luce di percorsi e di itinerari, che talvolta indebitamente vengono confusi con la  stregoneria primitiva.

Un preziosissimo contributo al Sud, alla Lucania e alla nostra contemporaneità.

Octapia ,recensione di Rosanna Galtieri

A Etretat, borgo marinaro nella Normandia occupata dai nazisti, nel 1944, il giovane pescatore Nicholas, impegnato nella Resistenza, vive una vicenda ai confini tra vita reale  e sogno, così intensa, anche nella dimensione immaginaria, da rendere indistinguibili tali confini. 

Egli, infatti, si innamora della selkie Octapia, una creatura marina che assume però anche sembianze femminili, una donna-foca. 

L’idillio prosegue tra le insidie di altre creature fantastiche e le urgenze della dimensione reale e storica, fino a quando quest’ultima, rimasta inizialmente sullo sfondo, sembra prevalere nel finale che, comunque, rimane aperto. 

In questo racconto, si colgono elementi ricorrenti  anche in altre opere dell’autore, tra cui la presenza del mare, non a caso un tutt’uno con il sogno e con il desiderio implicito di attingere ad una dimensione profonda, in qualche modo più autentica e più soddisfacente di quella reale e storica, qui emblematicamente rappresentata dall’occupazione nazista.  

Il mare evoca la dimensione onirica, il desiderio,  la nostalgia di una realtà immaginale, ovvero della fusione di immaginario e reale che caratterizzava il sentire degli antichi, ma anche la paura della perdita del controllo che tale complesso variegato di elementi comporta. 

Ho trovato molto efficace il contrappunto tra  leggenda, mito, aspetto favolistico e storia. Anche in Santina Favolla era presente e la storia non riguardava solo i grandi eventi, ma la condizione dei ceti popolari.

Come si legge comunque a conclusione nella postfazione, non possono, almeno per ora, che rimanere inevase le tante domande  sulla dimensione del sogno e, di conseguenza, sulla nostra esistenza.

Guglielmo Campione L’essere scritto dello scrittore.








La mia esperienza di scrittore mi ha avvicinato alla comprensione dell'esperienza della dissociazione creativa di cui quest'opera intende occuparsi.


Gilbert Rouget (1) descrisse meritoriamente, dal punto di vista dell'antropologia culturale, la fenomenologia dell'estasi e della trance come fenomeni mentali umani in cui possiamo sperimentare una diversa esperienza del soggetto.

L'estasi, per Rouget, è un certo tipo di stato modificato di coscienza raggiunto nel silenzio, l’immobilità e la solitudine (classicamente con tecniche repiratorie e meditative).

La trance, uno stato a cui si perviene unicamente in condizioni rumorose, agitate e in compagnia di  altre persone  attraverso la danza, la musica e l'uso di sostanze psicotrope.

Lo spossessamento dell'io è il nucleo centrale dell'esperienze di entrambe.

Nel Timeo Platone aveva differenziato le malattie  in soma nosemata e  psiche nosemata, a loro volta differenziate in anoia (stoltezza), mania (follia) e amanthia (ignoranza).

La manìa (la Trance di possessione per Rouget) è la manifestazione dell’entusiasmo (en-theos), letteralmente l’entrata di una divinità nel soggetto, che ne è pertanto posseduto (katechomenos).

Le Trance possono essere emozionali o eccitative e, a secondo del ruolo  dell’ascoltatore, passive o attive o più precisamente indotte o condotte : il soggetto è “musicato o è “musicante. Una distinzione interessante questa, che apre delle prospettive.

La scrittura letteraria, in particolar modo poetica, può a mio parere essere un'altra importante esperienza di modificazione della coscienza che in quanto solitaria è piu estatica nel senso rougettiano.

Lo scrittore da questo punto di vista è lo sciamano musicante che è autore del proprio ingresso in trance e non dipende da altri che cantano o suonano il tamburo come nel caso della trance di possessione. Anche lo scrittore da questo punto di vista s'induce da solo la modificazione dello stato di coscienza e di conseguenza può venir scritto ,per cosi dire, più che scrivere. Egli cioè può essere consapevole del presente , attingere alla memoria del passato e programmare un futuro, in questo avendo il proprio io in regia oppure rappresentare personaggi e situazioni che nascono, crescono e poi possono misteriosamente autonomizzarsi e chiedere di condurlo dove dicono loro  E nel far ciò, lo scrittore vive questa esperienza del mistero dell’essere scritto come del tutto nuova rispetto alle precedenti.

Scrivere è cioè poter fare esperienza dello stato di flusso.

Il termine flusso è stato introdotto, nell'accezione psicologica, da William James, nella sua celebre opera Principi di psicologia. James introducendo il concetto di flusso di pensiero intendeva sostenere che il pensiero è continuo mentre la coscienza è simile alla vita di un uccello, un'alternativa di voli e di riposi. I punti di riposo sono occupati da immagini sensoriali, i punti che corrispondono ai voli, invece, sono occupati da pensieri di relazioni, statiche o dinamiche, che si formano per la maggior parte fra i fatti considerati nei periodi di relativo riposo. (2)

Nello scrivere, per lo meno nella fase piu creativa e libera della composizione, possiamo vivere la trascendenza del „come se“ i confini del sé si fossero espansi. Come un marinaio che si sente tutt'uno con il vento, il mare e la barca , un musicista che sente un misterioso senso di universale armonia. In questi momenti la coscienza del tempo scompare e le ore sembrano volare via senza accorgersene. Agli estremi di questa esperienza spesso ci sono l'ansia e la noia dell’insignificanza.

Lo stato di flusso è una dimensione nella quale si abbandona un Io rigido legato a memoria e desideri, a favore di un Io più fluido, abbandonato al vissuto del fluire. Come osserva C. Tart, ci troviamo in un altro stato di coscienza, rispetto a quello ordinario, che è caratterizzato da un proprio pensiero, da una logica propria, da un tempo proprio, da un linguaggio proprio, da una memoria specifica di quello stato. Il passaggio ad esso è regolato dall'entrata in una sorta di silenzio interiore. Il silenzio consente di fermare l'ordine in cui gli eventi si presentano: è la realizzazione dell' hic-et-nunc.(3) 

Lo stato di flusso tipico dello scrittore è caratterizzato anche dall’intensa significatività di ciò che fa, una sorta di stato di grazia e di pienezza che lo attraversa. Eliminando la tensione emotiva, l’ispirazione fluisce, si raggiunge uno stato simil estatico in cui la mente è tranquilla perché stimoli ed inibizioni sono in accordo con la necessità del momento. L’estasi deriva dalla concentrazione prolungata (la meditazione puo essere un valido supporto), la condizione base per lo stato di Flusso.(4)

Intorno a questi temi va detto che già nel 1915, Luis Aragon e André Breton, studenti in medicina, interessati alla neurologia e alla psichiatria, ebbero da   dire cose interessanti, pur se da un'altra prospettiva; quella dell’inconscio psicoanalitico. A quei tempi Pierre Janet, professore al Collège de France e, all’epoca, figura di spicco della psicologia, nel suo saggio “Automatisme psychologicque” del 1889, sosteneva il ruolo fondamentale dei traumi psicologici sulla frammentazione (dissociazione)dello spirito e anticipava di poco Freud nell’affermare l’importanza dei ricordi inconsci nella quotidianità.

Su questa scia intellettuale e culturale, nel 1924, Breton formulò il noto manifesto del surrealismo, definendolo “un automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza d’ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d’ogni preoccupazione estetica o morale" . I surrealisti, quindi,  cominciarono a considerare la creatività automatica come una forma di attività artistica superiore, l’unica in grado di raggiungere la fonte della creazione poetica suprema, svincolata dalla tirannia della ragione, appellandosi all' universo inconscio  teorizzato da Freud. Breton, in realtà, aveva letto solo documenti di seconda mano riguardo Freud e le sue teorie, anche perché lui, così come la maggior parte dei suoi colleghi, non conosceva il tedesco. Nel 1921, decise di fare un viaggio a Vienna proprio per incontrare il mitico padre della psicoanalisi, il quale però pare lo ricevette piuttosto sbrigativamente, liquidandolo con una compassionevole pacca sulla spalla. Nonostante la sua delusione, Breton sostenne la psicoanalisi, sopportando anche le forti e continue tensioni ideologiche tra il movimento surrealista e quello psicoanalitico. I surrealisti, infatti, non hanno mai sposato uno dei concetti fondamentali della psicoanalisi, quello del complesso d’Edipo, definendolo come una ridicola uniforme per un astratto manichino.

Era il sogno l’anima del surrealismo.

Così Freud, consapevole del crescente riconoscimento che questi giovani sobillatori stavano conquistando anche in virtù di alcune sue teorie, cominciò a intrattenere una fitta corrispondenza con Breton. L’argomento fondamentale del loro epistolario era la relazione tra sogno e creazione artistica e, pare, che il tono tra i due fosse sempre piuttosto teso, reciprocamente sfidante come fossero due duellanti calamitati da sentimenti contrapposti d’amore e odio, sempre in bilico tra l’ironico e il pedante. Breton fu comunque fino all’ultimo un ammiratore di Freud, pur mantenendo una certa distanza dalle sue teorie.

D’altro canto,come sottolinea Paola Cerana, anche la psicoanalisi è stata fortemente influenzata dal surrealismo. Jacques Lacan s’ispirò quasi certamente a Salvador Dalì nel suo famoso metodo della critica paranoica e gli stessi concetti di dialettica del desiderio, immaginario e inconscio strutturato sembrano ispirarsi in tutto e per tutto a due opere di Breton, L’Amour fou e Le message automaticque.(5)


Io ritengo che la scrittura in quanto corpo stia in rapporto con l’elemento incorporeo psichico come tutto ciò che porta "il peso e l’inerzia della materia". Cosi essa, ad esempio, può farsi pesante sotto il peso di un’anima gravida di vissuti angoscianti o farsi arzigogolata e barocca simultaneamente ad un essere lezioso e mellifluo dell’anima.

Nel far ciò la scrittura si presta infatti usando parole, vocaboli e dunque convenzioni. In quest’uso dello scrivere la comunicazione avviene ancora sotto il beneplacito della tendenza raziocinante emisferica cerebrale sinistra (6) e dunque classicamente dell'io. D’altro canto il vocabolo non è certo l’unico medium utilizzabile in scrittura : v’è cioè un parlare, un sussurrare sottile attraverso il ritmo e la melodia e dunque attraverso la musicalità del testo: un cantare la gioia e la melanconia attraverso un ritmo narrativo vivace o monotono. In questo riconciliarsi con universi semantici simbolici e non verbali, l’ascolto si fa piu attento e la vista "torna a vedere."

Un fulmine è non solo un chiarore fra bui ,ma anche un presente tra passati e futuri, uno schiocco fra silenzi,un celeste fra neri e blu di prussia, e cosi ugualmente un’intuizione, un’ idea ,un flash back.

Quale più fedele mezzo per comunicare attraverso l’occhio e l’inchiostro personale che vuole trascendersi se non comporre l’immagine con la stessa brevità e velocità del fulmine?

E' quello che si deve essere chiesto James Joyce nell'“Ulisse“(7) inaugurando la scrittura a "stream of consciousness" ma anche Jack Kerouac in "On the road"(8). L’emisfero sinistro logico analitico e consequenziale che si esprime con le sue parole e punteggiature viene qui by passato in favore dell’emisfero destro intuitivo ,che ignora le divisioni spaziali /temporali del testo ,privilegiando la percezione olistica delle parole insieme alla loro musica. Attraverso ciò il compositore e il suo interlocutore possono giungono prima e meglio al cuore delle cose.

D'altronde la scrittura è metafora di un tempo soggettivo :" « Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi». (9)

Un tempo di coscienza  fatto di istanti eterni , di blocchi , di deja vù che scorrono come un fiume carsico , sotto il tempo meccanico digitale dei timer della produzione . Un tempo soggettivo che dà piu il senso dell’esistenza e all'esistenza.

L'Aiòn di Platone: il tempo interiore, coscienziale, che non ammette delimitazioni cronotopiche, ma è spazio della mente compenetrata nel Tiamat primordiale della religione sumera, un Io non ancora individuale immerso nella Consapevolezza Universale.).

Penso anche all'esperienza di leggere i miei testi poetici tradotti in latino, greco antico, tedesco, inglese, francese, portoghese e spagnolo: un'esperienza perturbante. Uso questo termine nell'accezione che ne diede Sigmund Freud nel 1919 per esprimere in ambito estetico una particolare attitudine del sentimento più generico della paura , che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo cagionando spaesamento.

Come se la traduzione avesse aperto nuove porte all’attribuzione di nuovi significati attraverso la nuova prosodia intrinseca alla nuova lingua in cui i testi apparivano tradotti per la prima volta dinanzi ai miei occhi. Sentire suonare in lingue diverse i propri testi, è stato come sentirli per la prima volta: una nuova nascita. Ma quante vite hanno essi allora. Mi sono chiesto? Possibile che io abbia scritto questo? Quale io ? Misteri delle lingue umane!

Della scrittura poetica mi affascina la prosodia, quel che unisce musica e parola, uno degli aspetti protomentali dell'esperienza umana. Mauro Mancia a proposito della musicalità del transfert in psicoanalisi usava il termine "sentire le parole"provenire dagli Archivi sonori della memoria implicita:“Ho così ridimensionato l’attenzione per la semantica delle parole, ma ho accentuato l’interesse per la loro musicalità. Questo mi ha permesso di acquisire una particolare sensibilità all’infraverbale, cioè non solo alle cose dette dal paziente, ma come vengono dette, al tono, timbro, volume della sua voce e alla struttura del suo linguaggio. Ciò è importante perché nel transfert questi elementi della comunicazione ripetono modalità comunicative che hanno caratterizzato precocemente la relazione madre/bambino e che sono state veicolo di affetti ed emozioni non ricordabili perchè a quell’epoca non si è ancora fortmato l’ippocampo struttura cerebrale fondamentale della memoria. Per questo motivo si parla di un inconscio non rimosso protomentale e di un inconscio rimosso successivo nell’evoluzione. L’inconscio rimosso, non permettendo il ricordo, si manifesta attraverso la musicalità del transfert e attraverso le funzioni simboliche del sogno“.(10)

D’altronde ,già dalla ventiquattresima settimana di vita nostra madre ci si è rivelata attraverso i suoi rumori organici, viscerali, ma soprattutto tramite la voce. Abbiamo assorbito tutta la sostanza affettiva di quella voce,  ne siamo stati impregnati; allora il desiderio di comunicare non era altro allora che il desiderio di non interrompere, o eventualmente di rinnovare, una relazione acustica con nostra madre così soddisfacente. Siamo stati immersi in un universo sonoro di rumori interni in cui ogni tanto faceva capolino la musica della sua voce. Per ritrovare l'universo musicale impregnato della voce materna abbiamo imparato a tendere l'orecchio perché potessimo instaurare nuovamente il dialogo con quella musica . Già nelle prime ore dopo la nascita abbiamo riconosciuto la sua voce rispetto a quella di altre donne e rispetto alla voce di nostro padre. .Parafrasando l’incipit del Vangelo secondo San Giovanni “in principio era il suono", Franco Fornari in Psicoanalisi della Musica (11) scrisse :” e il suono era presso la Madre, e il suono era la Madre”. D'altronde è  certo: la prosodia è la prima percezione, e la prosodia d'una lingua s'apprende in amnios : i bambini francesi piangono secondo la prosodia della lingua francese e cosi gli inglesi, gli italiani, i tedeschi e cosi via.

Come canta Pedro Solinas in "La voce a te dovuta ": 


Sì, al di là della gente

ti cerco.

Non nel tuo nome, se lo dicono,

non nella tua immagine, se la dipingono.

Al di là, più in là, più oltre.

Al di là di te ti cerco

Non nel tuo specchio e nella tua scrittura,

nella tua anima nemmeno.

Di là, più oltre.

Al di là, ancora, più oltre

di me ti cerco.

Non sei

ciò che io sento di te.

Non sei

ciò che mi sta palpitando

con sangue mio nelle vene,

e non è me.

Al di là, più oltre ti cerco”.


Il linguaggio della poesia è una danza continua tra la prosodia, la musica della parola, e il suo significato. In questa perenne oscillazione nulla più appare definito e una volta per tutte. Se la mente programma, calcola , infatti, la musica della parola che è musica del cuore, non conoscendo calcoli e opportunità, non mente mai”.

L’emergere interiore della parola poetica è uno di quei momenti in cui si può sperimentare il lasciar andare la guida dell'io, avere fiducia nell’intangibile che t'ha scelto come veicolo, solo leggendo i suoi segni non logici e imprevedibili nel Mondo e nella nostra vita.

Ci si lascia guidare da una voce arcana e misteriosa, seguendola come “parola che guida i miei Passi, come luce sul Mio cammino”, come dice il Salmo 118 e si risponde : 

"Mi fido di Te, Parola, ti ascolto, dialogo con Te anche se non sei un ragionamento ma non per questo sei da negare.

Insieme alla Parola, sogno".


((Immagine by Chiara Troccoli Previati)


Bibliografia.


Rouget  G., Musica e trance“ Einaudi, 2019


James W., Principi di psicologia, Principato, 2004


Tart C., Stati di coscienza,Ubaldini, 1977


Csikszentmihalyi M., Esperienza ottimale: studi psicologici sul flusso nella coscienza,  Cambridge: Cambridge University Press, 1988.


Cerana P., Psicoanalisi e surrealismo, la strana coppia https://www.outsidernews.it/psicoanalisi-e-surrealismo-la-strana-coppia/, 2012.


Erdman E., D.Stover, Beyond a world divided: human values in the brain mind science of Roger Sperry , Iuniverse.com, 1991


Joyce J., Ulisse, Mondadori,1984


Kerouac J., Sulla strada, Mondadori, 1995


Bergson H., C. Riquier Storia dell'idea di tempo, Mimesis.2019


Mancia M., “Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del  Transfert”, Boringhieri 2004.


Fornari F., Psicoanalisi della musica, Feltrinelli 1984.

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Guglielmo Campione .

Bari 1957 .

Ha compiuto studi classici presso il Liceo Quinto Orazio Flacco di Bari, allievo del filosofo Fabrizio Canfora. Dal 1976 vive e lavora a Milano come medico psichiatra, psicoanalista, scrittore, musicista e blogger. E’ stato collaboratore del neurofisiologo dell’estasi Marco Margnelli. Premio letterario Poesia 2019 Città di Castello,è autore di libri di psichiatria, psicoanalisi , poesia, racconti  e romanzi.

LA NATIVITA 3 CERCHI di Piero Ragone a cura di Guglielmo Campione.

La nativita 3 CERCHI dello scultore Piero Ragone, (personaggi e stella in tufo a grana grossa, con cerchi in metallo,interamente smontabile) dell'ospedale San Carlo di Potenza, é un progetto "en plen air '.

Si pone come il dialettico contraltare dell'aperto al chiuso, dell' antimateria alla sostanzialitá della pietra rispetto alle sue nativitá scavate nel tufo e nella pietra leccese.

Come una liberazione emerge dal mondo ctonio e disegna forme e spirito nell'aria, come un respiro nuovo e libero dopo l'immersione nelle caverne.

Fa dell essenzialita di linee e materiali la sua dimensione primaria. I cerchi concentrici che stringono al centro conducono l'occhio alla sacra culla, ricordando il simbolo arcaico della spirale, simbolo del tempo .D'un tempo che non procede linearmente ma ciclicamente ritorna diverso e trasformato .

Le figure tufacee della nativita stilizzate e dematerializzate al loro massimo assecondano e fanno un tutt uno con le curve della spirale ,in un concerto di inchini e schiene curve che si piegano su Gesú .

Tutto allude alla centralità e circolarità del divino.

 La culla - sarcofago e’ un classico paleocristiano ripreso sempre dalla cultura bizantina.Tutto si china davanti al fuoco centrale.

Nell’icona della nativitá  più famosa di Rublev il bimbo e’ in fasce a ricordare poi il seppellimento e in una ‘culla’ che rimanda alla tomba.

Anche qui il Salvatore appare

stilizzato massimamente nella culla che pare alludere a un piccolo sarcofago ,momento cruciale di potente profezia del simbolo in cui la culla predice da ora quel che sará domani la croce








Il sacro mistero della Pietra di scarto di Piero Ragone a cura di Guglielmo Campione

E Gesù disse loro:
«Non avete mai letto nelle Scritture: la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo ?
Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi.

(Sal 118/117,22-23)






La nativita di Gesú é credere nel Mistero.

Un Uomo Nuovo che entra nella storia umana, nato da un'adolescente  che lo accoglie in una nuova e insuperata ,straordinaria ricettivitá creativa femminile ,incondizionata, attraverso il mistero della fecondazione da Spirito e accudito ed educato da un padre anziano adottivo non naturale chiamato a credere nel mistero di una paternitá non "conjuncta" eppur massimamente Genitale in quanto generosamente generativa (uguale la radice "gen").

Le nativitá di Piero Ragone sanno di mistero ,di questo mistero .
Di una fatica di mani e unghie entusiaste (ενθουσιασμός che hanno Dio dentro,possedute da Dio) che parrebbe rischiosamente inutile nello scavare la pietra dura della ragione della sola evidenza materiale ma solo guidate dall'intuito del Mistero lí racchiuso invece alla fine lo scopre.

La diversa forma e consistenza della pietra tufacea dolce friabile ma intrisa di inclusioni,di altre misteriose gravidanze geologiche  ,e della pietra leccese ,piu consistente e resistente ma piu povera in inclusioni,testimonia dell' indistinta accoglienza di tutte esse come potenziali scrigni del Mistero, della disperata non accettazione di esse come scarto inutile , perché non c'é scarto ,in ognuna alla fine dello scavo puó manifestarsi la sacra Epifania.

Non c'é scarto infatti per un uomo che si riconosce figlio di Dio Padre ma un solo anelito : UT UNUM SINT ,affinché siate tutti UNO.

Guglielmo Campione



PIERO RAGONE

Piero Ragone pubblicista dal 1993, tecnico, coordinatore, regista e responsabile di Produzione presso la sede RAI per la Basilicata fino ad aprile 2021, ora in pensione scultore.