PROSSIMAMENTE IL NUOVO FANTASY STORICO : OCTAPIA LA SELKIE CHE AMO' NICHOLAS

PROSSIMAMENTE





 

Octapia é un fantasy sul sogno, sui confini tra realtà e sogno che segue in parte lo schema Morganiano dei racconti di fate medioevali.

Il sogno lo conosciamo tutti : ogni notte ci mettiamo a letto e perdiamo il contatto con la realtà, e con noi stessi, fino a quando, al mattino, il nostro cervello riunisce nuovamente i fili del sé e del mondo, preparandoci a un altro giorno di coscienza ordinaria nel mondo ordinario

Ma mentre la discontinuità narrativa é la regola del sogno per cui la narrazione é illogica, non consequenziale, se mai associativa e simbolica, scritta per salti di luoghi, persone e situazioni e cambia di notte in notte in Octapia invece vige una continuità narrativa di luoghi, personaggi , sentimenti, relazioni, emozioni che rende i sogni di Nicholas indistinguibili dalla realtà e più pauroso o desiderabili di essa.
Man mano che Nicholas si addormenta torna sempre li da Octapia , un sogno a puntate più simile a un accesso ad una realtà parallela come Matrix.

SANTINA FAVOLLA ,recensione di Marica Girardi



Bella storia molto al femminile.

Lettura semplice ma intensa di contenuti.

Riuscita sintesi di magia e realismo , sacro e profano, cultura e superstizione , maschile e femminile . 

Attraverso la storia di Santina Favolla e della sua famiglia l'autore è riuscito a disegnare un profilo molto profondo della natura femminile che mostra , non solo di conoscere , ma di apprezzare e valorizzare.

in preparazione ....


PROSSIMAMENTE




 

Kurt Müller 

1943 


ROMANZO




Santina Favolla la masciara bianca : recensione di Fernando Stendardo


Predisporsi alla lettura del racconto (o romanzo breve?) di Guglielmo Campione, richiede una preventiva rinuncia al nostro schema mentale di categorie letterarie.
Una definizione sinottica, infatti, risulta pressocchè impossibile, spaziando, l'autore, dalla commedia al saggio storico, dal melodramma al classico romanzo d'amore, fino a rasentare, senza mai abbracciarlo, il racconto gotico.
Tutti generi che Campione padroneggia da par suo dimostrando ancora una volta le possibilità pressocchè infinite dlla scrittura, il suo potere primordiale di portare sulle pagine storie, mondi, personaggi a volte, come nel caso della protagonista Santina, superiori alla realtà.
Questa volta, ci proietta in una favola d'altri tempi che trasuda intelligenza, tenerezza e magia.
Una storia fatta di indicibili segreti, poteri magici, incontri fatali, misteriose metamorfosi, amori che durano in eterno.
Il tutto in un'ambientazione ricostruita con tratti a volte essenziali, più spesso ridondanti e ricchi di colore, non pensati per dare una misura topografica esplicita, ma perfettamente in linea con una dimensione riconoscibile e familiare (difficile non identificare nella casbah, nel dedalo di vicoli, corti e sottani, il borgo antico di Bari, cui l'Autore, è legato da un mai reciso cordone ombelicale).
Così, alleggerito dall'uso sapiente del registro ironico, il racconto tocca, tuttavia, temi esistenziali e profondi.
L'Autore, lo alimenta attigendo a piene mani dall'inesauribile anfora rappresentata della psiche umana, soffermandosi sugli aspetti più introspettivi, quelli costituiti dai più gelosi segreti dell'anima.
Li affronta e li legge servendosi della lente che gli è più congeniale, quella della psiconalisi, sempre rigorosa com'è d'uopo per un professionista della materia quale Guglielmo Campione è, ma mai fredda e distaccata.
Il racconto interpreta, grazie alle chiavi del sogno, le dinamiche della psicologia e della psicoanalisi presenti in alcuni meccanismi inconsci legati all'identificazione della protagonista Santina: lo sdoppiamento di personalità, l'io scisso, l'io diviso che si trasforma in un altro essere, nel nostro caso in un granchio favollo, nelle notti di plenilunio.
Tema scientificamente rilevante e spesso ricorrente in letteratura come in psicoanalisi (basti pensare a Dr. Jekill e Mr. Hyde di Stevenson), e qui affrontato e risolto con indubbia inteligenza narrativa ricca di chiavi psicologiche importanti  ma immediatamente comprensibili.
Sempre, comunque, con raffinato pudore.
Per cui, ad esempio, pur muoventosi in un contesto di superstizione popolare, con masciare, fattucchiere, pozioni, riti e formule magiche, il racconto conserva sempre una dimensione illuminata e positiva che lo tiene ben lontano dall'atmosfera tetra e tenebrosa del romanzo gotico, dove le emozioni estreme sconfinano nella paura.
Qui tutto rimane sotto un dominio congiunto del cuore, della ragione e della fede, regni normalmente tra loro contrapposti ed in eterna esiziale lotta, ma che nella nostra storia trovano una sublime composizione nella scelta consapevole di Santina di consacrarsi al suo umanissimo sogno d'amore per Achille pur conservando la doppia natura, umana e magica, finalizzando, però, quest'ultima alla luce del bene, della verità, delle leggi naturali e dell'armonia del creato.
Così Santina smette per sempre i panni oscuri della masciara, per indossare quelli candidi e iridescenti della saggezza e della sapienza: sarà ancora masciara, ma masciara "bianca".
In questo modo tutto torna nel racconto di Campione nel punto esatto da cui si era partiti, il soprannome della compianta madre di Santina: "la Checchevasce", la civetta, l'uccello caro ad Atena, simbolo di saggezza e sapienza.
Infatti, in virtù della sua capacità di pre-vedere (e, quindi, pre-dire), di saper vedere prima degli altri senza ricorrere a vaticini, oroscopi o pittoreschi riti,di scandagliare le tenebre dell'animo umano, la civetta (nome scientifico Athene noctui!) rappresenta il simbolo della filosofia, il cui compito è proprio quello di far luce là dove apparentemente regna il buio dell'anima e della coscienza.
Il cerchio, quindi, si chiude mostrando nel suo perimetro il riverbero di tutto il mondo di rifermento in cui nasce e si sviluppa il racconto: l'amore ed il legame mai rescisso dell'Autore per la sua terra/città natia, il culto della memoria e delle tradizioni popolari, la sua solida cultura classica, la sua visione etica e filosofica della vita corroborata da una fervida fede reliogiosa, la passione per il mondo sommerso, non solo quello del mare, ma anche, sopratutto, dell'anima, vero terreno d'esplorazione di questo racconto.
Tanta ricchezza umana e culturale trova una composizione armoniosa ed esemplare nella storia di Santina e fa di Guglielmo Campione uno degli autori più completi ed interessanti del panorama letterario.

Santina Favolla :la masciara bianca recensione di Rosanna Galtieri.




Santina Favolla è un racconto fantasy che ha come protagonista una bambina, poi adolescente e giovane donna, che, inaspettatamente, scopre di avere poteri magici e di possedere una doppia natura, creatura umana e al tempo stesso marina, di essere anche, appunto, un granchio favollo.


La narrazione è scorrevole, di facile e piacevole lettura, l’intreccio è accattivante, ma un pregio dell’opera è il suo carattere “aperto”, in quanto la profondità del testo potrà essere colta ad una lettura più attenta, che renderà ancora più godibile la fruizione del racconto.

Infatti, non a caso, questo si colloca in un tempo ed in uno spazio ben precisi, un borgo antico sul mare, nel 1918, all’indomani della fine del tragico primo conflitto mondiale, quando, sullo sfondo, non appare ancora domata l’epidemia della spagnola.

Di fronte ad un mondo tradizionalmente gravato di problematiche complesse, il Sud d’Italia in questo caso, accentuate dalla contingenza storica, la forza dei miti, della fantasia, dell’immaginazione di un’altra dimensione, anche favolistica, sembra voler fare da contraltare alla brutalità della realtà e al tempo stesso soddisfare quella ricerca di senso dell’esistenza, presente sempre e particolarmente nelle condizioni più difficili.

I riferimenti storici, le tradizioni popolari, riportate dall’autore tramite un’ accurata ricerca, il substrato costituito dai miti del mondo greco e latino, le citazioni relative alle civiltà orientali non appesantiscono il racconto, ma lo sostanziano, fornendo al lettore delle suggestioni coinvolgenti.

Infine, ricorrono alcune tematiche presenti anche in altre opere di Guglielmo Campione: l’ evocazione del passaggio dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza, l’interrogarsi sull’amore, che dalla fase iniziale ed esaltante dell’innamoramento deve diventare “adulto”con fatica e saggezza, e il tema della morte, che appare tanto più accettabile quando più si comprende che il distacco dalle cose umane potrà rendere “leggeri” e quindi liberi.

Consigliata senz’altro la lettura!

Lombardia e Liguria segrete e sconosciute : Racconti



Guglielmo Campione

Il pasto sacro





 

Guglielmo Campione nelle tre edizioni di Racconti pugliesi Hystorica Edizioni 2019 -2021-2022



Guglielmo Campione

2019

Nicola il cicerone e la sarta di Parigi







Guglielmo Campione

2021

Ladri di mandorle







Guglielmo Campione

2022

LE PAGELLE DEL PESCIVENDOLO




 

Racconti Horror

Guglielmo Campione

Memento mori 




 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO EPIFANIE DELLA COSCIENZA LECCE 15 LUGLIO 2022 ORE 19 LIBRERIA ERGOT


15 luglio 2022 ore 19

 Lecce 


PRESENTAZIONE DEL LIBRO 

EPIFANIE DELLA COSCIENZA 


LIBRERIA ERGOT







La presentazione del libro si svolgerà all'esterno della libreria Ergot dalle 19 in poi.

Presenta e modera Marco Caiffa.

Relatori: Eugenio Imbriani, Guglielmo Campione e Rosario Puglisi.

L'Editore Stefano Donno e il curatore Vincenzo Ampolo, accompagneranno il varo di questo importante volume.





IMMERGERSI, IL. MARE E LA PSICOANALISI recensione di Adriana Zanesi Inserra .


 

5,0 su 5 stelle

Recensito in Italia il 12 gennaio 2022

Un approccio molto interessante, evocativa l'associazione immaginifica col mare come metafora della psiche , anch’essa originata dal mare, in senso biogenetico e psico-filogenetico, per dirla con Jung.
Nelle cosmogonie universali, ad esempio nelle tavolette sumere, si può trovare traccia in chiave mitica e religiosa, di questo percorso misterioso e affascinante. Questo studio di Campione sembra portare la questione su un piano di pratica analitico-terapeutica, secondo la visione pragmatica propria della psicanalisi freudiana; ma credo che non manchino i punti di convergenza con la concezione spiritualista che dalla psicologia analitica junghiana potrebbe essere trasferita alla variegata più attuale corrente di pensiero che va sotto il nome di Era dell’Acquario.

Adriana Zanese


Santina Favolla, recensioni


 

Adoro la  scrittura di Guglielmo Campione la trovo affascinante, elegante, ritmata, puntuale, significante, allusiva, mai scontata
Come quando sei di fronte ad un mago e pensi: chissà cosa tira fuori ora dal cilindro.
Intrigante.

G. Francia

SANTINA FAVOLLA recensioni


 Come sempre Campione fa ‘vivere’ profondamente  tutto quel che racconta. E’ la sua caratterstica :insinuare con nonchalance il profondo nel microtempo quotidiano con la sua normale e semplice scenografia

E’ un libro godibilissimo che resta impresso!


L’ho già letto tre volte !!!!!!!!!

Santina Favolla :recensione

 


Santina Favolla ě un libro  ricchissimo di rimandi letterari, che vanno  dalla cultura popolare a quella storica e dalle fiabe popolari, ai racconti orali fino al al fantasy.

Al suo interno ci sono altre cento pagine che chiedono di essere ancora sviluppate.
Molto bello l'incipit, la scena del funerale, la scena della fontana della Pigna dove si incontrano Achille e Santina  e si rompono le giare.
Personaggi maschili interessanti il liutaio e l'Acquaiolo.
Molto belli gli scorci del. Borgo antico e la sua'Casba', gli interni
I racconti sulle masciare. 


Gabriella Campione

Santina Favolla la masciara bianca :recensione di Chiara Troccoli Previati.




Guglielmo Campione torna alla scrittura con un lungo racconto che non lascia tregua.

Lo leggi tutto d’un fiato: non puoi fare a meno di lasciarti incantare nello svelamento, pagina dopo pagina, degli eventi di una strana storia, ricca di magia e traboccante fantasia eppure vera e originalissima.

Santina ne è protagonista: una quattordicenne figlia di masciare o fattucchiere da generazioni che appare come una novella Alice per la sua genuinità e per la ricchezza stravagante dei vissuti in cui volta per volta s’imbatte catturando prestissimo la fantasia e sete di avventura del lettore così come del resto tutti i personaggi, i quali, poco a poco compaiono tra le pagine del racconto.

Si entra immediatamente, come è consueto nei racconti di Campione, nel mondo fisico e oggettivo dei protagonisti, non svelato nelle coordinate geografiche reali ma certamente riconoscibile agli occhi di chi questi luoghi conosce e vive.

Cosí ci si addentra e si percorrono le stradine strette da ‘casba’ del centro antico, così simile a tanti di altri contesti mediterranei e medio orientali , nei quali c’è sempre un’atmosfera di sussurri e grida, di sguardi curiosi e indiscreti, di mistero e occulto, soprattutto se a svelarsi sono i segreti delle ‘masciare’ e fattucchiere, coi loro poteri oscuri e insondabili.

Una vicenda universalmente mediterranea.

Dopo averci fatto addentrare nella casba di questa città che guarda a Oriente, l’autore ci rivela ben presto il segreto di Santina: fin da bambina questa insolita protagonista scopre di possedere una doppia natura.

I racconti che fan voli pindarici, come questo, partono sempre da un’occasione, che dobbiamo intendere proprio in senso ‘montaliano’. Per levarsi in volo si parte da terra, sempre; il volo si spicca se hai lo sguardo interiore giusto e vedi un’occasione che diventa epifania.

Forse un' immagine ben impressa nella memoria dell'autore da bambino un bel giorno riaffiora casualmente, grazie a una foto ritrovata e fino ad allora dimenticata.

Ecco, forse, la scintilla che provoca l’epifania di questo splendido racconto meticoloso nei dettagli, come è nello stile di Campione.

Egli ci incanta partendo dalla concretezza di una situazione storico-antropologica, con diramazioni geografiche ampie, ben fondata storicamente come descritto da lui stesso nella prefazione al libro , arrivando ai confini dell’irreale fantastico, del fantasy apparente,ma così vero da poterlo toccare; fino a giungere poi a profondità che si pregustano ed intuiscono, a ben guardare, fin dall’inizio.


(Personificazione del Kairos, II sec. A.C.)

Già l’introduzione della parola Kairos infatti, al principio del racconto, ci illumina sulle possibili ampiezze che questo testo ci offrirà: il mondo dei riti magici, delle pozioni e filtri d’amore, di petali di fiore e raggi di luna, di malocchi e date fatidiche, di giaculatorie e saluti obbligati alla ‘fata della casa ‘, di trasmissione di conoscenze da nonna a nipote masciàra.

Un mondo magico che s'arricchisce man mano di luce e sguardi che attraversano l’animo, di sentimento religioso sotteso ad ogni azione, di ricerca di senso, di fede nella morte e resurrezione, di cultura classica, di mondi antichi mediterranei.


Tutti i racconti di Guglielmo Campione, questo ancor più, chiedono d’esser guardati prima ancora che letti: sono una sequela d’immagini che si srotolano come un nastro filmico e nel mentre leggo mi sovviene la memorabile sequenza figurata in ben ventitré giri che si avvolge sulla Colonna di Traiano e narra delle sue vittoriose campagne belliche in Dacia. Arricchita da rappresentazioni di luoghi, di spostamenti, di battaglia, di vincitori e vinti che mantengono tutta la loro dignità umana, queste realistiche scene non perdono mai di tono narrativo non cedono mai alla pausa, alla stanchezza e hanno smalto vivo addosso.

Così è la regia narrativa sopraffina di Campione, il quale sa passare dalla panoramica al flash-back e si sofferma frequentemente sulla zoomata come accade in un mirabile episodio che ascolti mentre leggi, perchè i suoni della lingua madre affiorano intensi, anche se sussurrati. Alludo al capitolo 7 che si svolge in parte in un sottano, nella stanza da letto di un defunto, un certo Colino. Ě una scena nella quale si snoda una teoria di personaggi popolari , tra i quali le immancabili lamentatrici prezzolate (prefiche) che vegliano al capezzale il defunto, alternando un rosario chiacchierato agli immancabili aspri pettegolezzi sulla vita erotica della piacente giovane moglie del defunto. Una scena indimenticabile e concretissima, da film neorealista in cui il comico confluisce nel drammatico e viceversa.



Ma torniamo al Kairos, vero bandolo della matassa di questa storia: esso apre e chiude questa narrazione a uroboro come nelle "composizioni ad anello" (Ringkomposition) che si trovano nei testi classici greci e romani, nonché nella Bibbia ebraica.


Il racconto comincia, finisce e ricomincia lí dov'ě iniziato, portando in sé il germe di vita, morte e rinascita.


Kairos ě il più nobile tra i quattro termini con i quali nell’antica lingua e cultura greca si parla di tempo, inteso contemporaneamente come tempo attimale ed eterno, perché fatidico.

Si riferisce al tempo ‘opportuno’, quello giusto perché un’azione si compia e sia compiuta, un tempo rivelatore da cogliere e vivere nell’immediatezza del quotidiano e che ti aiuta a ‘leggere’ gli eventi della tua vita interiore. In teologia è il tempo in cui Dio agisce, il tempo cruciale dell’incontro con Dio, guida del tuo operare.

Nella vita di Santina affiora fin dall’inizio l’entità del kairos, non casuale, da cogliere, comprendere e lasciar agire. Si presenta nelle prime pagine nella scoperta della sua doppia natura, poi nella difficile gestione del suo segreto soprattutto dal momento dell’incontro con Achille, l'uomo col quale nasce un'avventura sentimentale autentica quanto segreta e con profondi risvolti psicologici.


La storia d’amore tra Santina e Achille parla di eternità, di sogno, di incanto e dolcezza, come la più autentica delle storie d’amore.

I sogni e i segreti sono il sale della vita e il loro incontro ne è ricco fin dagli esordi, necessariamente.

Con mosse reciproche accorte i due costruiscono la loro storia, così speciale ma anche così normale, in maniera mirabile, giorno dopo giorno, fino alla loro unione matrimoniale che avviene il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate.


"Il solstizio è un simbolo della rinascita spirituale nonché il simbolo della sconfitta del male e delle tenebre da parte del Sole e il trionfo della luce”, recita a tal proposito il racconto nel finale.

Santina, pur continuando in parte la tradizione di guaritrice di sua madre e sua nonna epurerà dal suo ruolo, tutto ciò che non sia frutto di ‘magia naturale’: richieste di “fatture d'affàscino, malocchi, filtri d'amore e quant'altro fosse da fare contro la volontà di qualcuno come era secondo la tradizione delle vecchie masciare della generazione di Nonna Porzia; un modo di esercitare il potere magico non luminoso che proprio per questo nei secoli subì l'appellativo di nero.”


Grazie alla guida di Donna Innocenza medium di rinomata fama, maga e sua guida, figura centrale del racconto, Santina impareră a praticare solo una magia naturale , guidata attraverso “ lo studio delle sue leggi e in armonia con esse, ritenendo che ogni organismo, fenomeno o evento abbia un posto nel disegno universale stabilito da Dio, in quanto partecipe di un'unica Anima del mondo.

Santina, sottometterà la propria volontà alle leggi del cosmo in armonia con l'universo grazie al senso morale basato sull'obbedienza alla volontà di Dio come gli aveva insegnato Innocenza.

Farà dunque una scelta di campo precisa”, luminosa e per questa sua rivoluzione verrà soprannominata la Masciara bianca.

Nulla è casuale, nella finzione narrativa così come nella vita reale?
Con questo interrogativo pare congedarci l'autore.

IMMERGERSI :IL.MARE E LA PSICOANALISI



 




FUORI TERRA :NON SCORDARE LA FISARMONICA di Mariella Procaccio: recensione di Guglielmo Campione.


 

"Itaca, terra mia!

Vedo lo speco

e l’opaco di fronde antro ridente

ove sgozzai sui fumiganti altari

capre alle Ninfe; ed ecco l’alto Nérito

monte, e il porto di Fórcine, e il fronzuto

olivo torto che gli sorge in cima.

Soltanto Ulisse è un altro Ulisse, ormai!

Vecchio, canuto ed acciaccato, curvo

sopra un bastone, con gli occhi cerchiati,

torna l’Eroe. 

Gran trionfo, nei lunghi,

brulli, nebbiosi e desolati inverni

sognato, in mezzo ai taciturni Eroi

giacenti al freddo nelle notti ete

rne!"


Fuori Terra, prima opera letteraria di Mariella Procaccio, ě un libro che dà una rappresentazione intensamente femminile del  Nostos, del sentimento della lontananza dalla propria Terra.

Per questo, ho voluto far aprire questa mia recensione con la celebre citazione del ritorno di Ulisse a Itaca dall'Odissea, il Poema del nostos. 

La scrittura di Mariella Procaccio ě una scrittura emozionale, rievocativa, precisa, attenta ai dettagli  emotivamente concreti e concretamente emotivi che son quelli sotto cui si celano i fatti veramente importanti i segreti, i sentimenti. 

Sono i dettagli infatti  che cambiano il corso della Storia e del pensiero. Sono i dettagli che descrivono la psicologia dei personaggi.


Il Libro ě una macchina magica del tempo che funziona grazie alla chiave dei dettagli : solo cosi possono infatti rivivere le relazioni, i costumi,i valori culturali familiari, ,le emozioni, i sentimenti, in altre parole la microstoria quella che fanno quotidianamente gli umani e non appare sui libri di storia.


Sul palcoscenico del Teatro di FUORI TERRA, c' ě una famiglia italiana degli anni 60 che vive il dramma dello sradicamento dolente ma anche gravido di speranze dalla propria cultura. Fuori Terra appartiene interamente alla tradizione non solo letteraria del neo realismo da questo punto di vista. 

Tornano cosí alla memoria i mille viaggi fatti in treno,verso il sud,  le mille storie raccontate di notte da un’ umanită dolente ma autentica che tra un tarallo e un ricordo scambiava davvero i propri mondi. Una condivisione cha manca incredibilmente oggi nella galera tecnologica dei social e negli odierni noiosi e asettici viaggi aerei.

Maria, la piccola protagonista ě timida ma curiosa di quella curiosită che Melania Klein grandissima analista inglese chiamò ISTINTO EPISTEMOFILICO del bambino e che ě la base dell amore per il sapere, la cultura, la conoscenza scientifica  filosofica letteraria e psicologica.


Io credo che la  scrittura di Mariella Procaccio sia una scrittura molto intima ma anche una  donazione di sě coraggiosa e generosa nel momento in cui sceglie l’autobiografia come genere letterario raro e in controtendenza oggi ai noir, ai soliti cryme o alla subcultura di falsità e fake news di influencers e false identită.

Diversamente dalle finte condivisioni che ci vengono ammannite dai vari social, tutti americani per altro, Fuori Terra rappresenta un esempio di autentica condivisione letteraria di valore di un'esperienza, quella del Nostos, universale e che oggi alla luce delle migrazioni puo diventare uno strumento di comprensione prezioso. 

Solo la verita nutre la mente, diceva W. R. Bion, mentre la menzogna e il segreto che incatena l'avvelenano. 

Gesù nel Vangelo di Giovanni dirà (8, 32): "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. 


GUGLIELMO CAMPIONE


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Mariella Procaccio (1961), laureata in filosofia, è presidente dell’Associazione Circoli Virtuosi. Organizza eventi pluridisciplinari; promuove tè/caffè filosofici e presentazioni di autori. La sua attività principale sono i laboratori di lettura filosofica che porta nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle biblioteche, in carcere e in ogni luogo in cui è stato possibile realizzarli. L’autobiografia Fuori terra è la sua prima opera scritta.

Il polpo e il teschio : 19 Canti per migranti e transfughi. Recensione di Chiara Troccoli Previati


  Chiara Troccoli Previati.                                           


Il polpo e il teschio 

20  Canti e 2 saggi per migranti e transfughi.







Con "Il polpo e il teschio" 

di Guglielmo Campione

ci troviamo di fronte a un libro “concept”. 


 A partire dall’immagine in copertina si innalza il canto e ci avvolge proprio come i tentacoli di quel polpo, chiarendoci subito per chi quel canto si leva.


La prefazione del libro trova un suo seguito e un raccordo nei due saggi finali dell’autore che, come la costa intorno al mare omerico, abbracciano il canto poetico che naviga nella parte centrale del libro; canto ininterrotto, talassocentrico, che avvolge con parole e pensieri.


E’ per far meglio comprendere al lettore di quale mondo si parla, si canta, si soffre e si piange, sulle orme dei Sepolcri di Foscolo, l’autore vuol mettere la sua impronta e far posare anche i nostri piedi, farli bagnare in quelle acque dove nel teschio di un uomo può annidarsi un polpo, dove i capelli ‘diventano

alghe’ (Ode a un padre morto, v.20) nella transizione di una vita verso una morte.


Vedi allora emergere il ‘cimitero del mare’ che mi riporta alla mente, in una specularità immaginifica avvalorata dal comune colore azzurro, (di mare e cielo), la definizione di Paul Celan dei ‘cimiteri dell’aria’ espressione usata a proposito del fumo che sale dai corpi bruciati nei forni crematori. Di questi ultimi non è visibile traccia, come per Edmond Jabès non v’è traccia delle impronte, cancellate o sepolte, nella sabbia del deserto, eppure il silenzio che ne emerge, in tutti i casi, si fa parola, parola poetica.


E allora attraverso il mare, l’aria, il deserto e i loro silenzi comprendi che “là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva” (F. Holderlin, Patmos): la poesia.


Una poesia di parole vere, non belle, perché la parola vera tende ad ammutolire e lì nel silenzio, avviene l’incontro: il vuoto si fa pienezza e l’universo dell’uomo si amplia.


Le persone cui l’autore si avvicina in questi canti, o meglio, in questo canto ininterrotto, de ‘Il polpo e il teschio’ vengono da vite schiave ma ora sono libere nell’eterno fluttuare della morte sott’acqua.


Tutte queste persone, come quelle sulla collina dell’Antologia di Spoon River, hanno un nome: 


Alì, padre di Selim, che lascia con coraggio Damasco ma non vi farà mai più ritorno,Ahmed, figlio di Amina, un bimbo con “ gli occhi che fanno coppia col sorriso” quando “la volontaria che lo prese in braccio” lo ha strappato alla morte; tutti i presenti nell’Ode alla pace: Fatima, Rayna, Yusuf, Farah, Beshir, Abdul, Jamila. 


Sembra di sentire dire dalla ‘voce ‘ del mare:

“Porto il nome di tutti i battesimi,  ogni nome il sigillo di un lasciapassare”(F. De Andrè, da Khorakhanè in Anime Salve)

Ma si sente anche il flusso dei pesci, molluschi, coralli, ultima visione di quei corpi scivolati in fondo al mare che il nostro autore, da sub esperto, chiama per nome e rivive tra sguardo e cuore.


Se nel Prologo Campione dice che “ultima sempre è la speranza” nell’Epilogo si respira “l’abissale silenzio della notte” calato in fondo al mare.


 L’appello finale qui è agli “uomini dormienti” quelli ai quali questi 19 canti vogliono ricordare il valore di parole come ‘straniero’, ‘ospitalità’, ‘prossimo’, ‘familiarità’.


Dal silenzio del cimitero del mare queste parole si fanno canto, un canto di sfida, di pienezza, di presenze divenute assenze, di carne annegata nell’acqua, di grida divenute silenzi.


Ma, parafrasando Jabès, grazie alla poesia l’impossibile può diventare possibile se qualcosa ti smuove dentro e riesce a provocare anche il più piccolo tuo cambiamento.


Ho scritto questo commento di fronte al sole con indosso una maglia con brillantini che ha compiuto un piccolo prodigio: nel riverbero sullo schermo dell’iPad aperto alla pagina dell’ ’Ode a una madre morta’ mi sono apparsi i suoi capelli che fluttuavano nell’acqua come alghe e ho pianto.


Bari, 26 Ottobre 2021






Chiara Troccoli Previati è nata a Bari nel 1958. Studiosa e critica d’arte, insegna Storia dell’arte nei licei e, dal 2008, Storia dell’arte cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Odegitria” della Facoltà Teologica Pugliese di Bari. È autrice di saggi di storia della fotografia e di arte sacra.



IL POLPO E IL TESCHIO 19 CANTI PER MIGRANTI E TRANSFUGHI

 










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Il Polpo e il teschio: presentazione di Mariano Grossi










E’ un approccio nausicale o calipsico quello cui dovremmo aspirare nel nostro vagabondare naufragante nei mari della vita, ed è quello cui, consci ovvero ignari, anelano tutti i migranti della Terra. L’accoglienza, lo spirito di tutela e condivisione annusati nelle pagine omeriche dal maris vagabundus Ulixes al primo contatto con le due entità muliebri, non conta se in veste umana oppure divina, dovrebbe essere l’impronta che ogni straniero ricetta nel suo contatto xenico:

“et hospitalitatem nolite oblivisci: per hanc enim latuerunt quidam angelis hospitio receptis”

dice San Paolo in Ebrei, 13, 2.

E raccapriccia l’idea che una civiltà erede dei valori cristiani, quegli ideali che sottendevano come nella classicità greco-romana pagana il concetto della divinità ipoteticamente celata sotto le sembianze del forestiero, si sia recentemente scordata delle sue impronte fondanti vestendosi prima da Circe avvelenatrice e trasformatrice della forza lavoro allotria in soggetti di stampo simil-suino deprivati di ogni dignitas humana (si vada a Borgo Mezzanone e lo si constati!) ed oggi abbia eretto muri e barriere portuali per lasciar annegare in un calvinista mare di indifferenza la gente che attraverso le distese salmastre fugge dalla morte.

Questo è il grido di sdegnata invocazione che trabocca dalle liriche di Guglielmo Campione, in una intelligente rilettura delle pagine omeriche dove tra il Canto di Calipso e quello di Nausicaa v’è una non casuale contiguità rimarcante l’assenza di soluzione di continuo nell’afflato dessiotico (δεξίωσις, accoglienza) delle due figure femminili. Fa specie oggi, quando si guarda con scetticismo alle unioni miste tra migranti ed indigeni in ragione delle paratie etniche, religiose e culturali, leggere che prima del distacco la dea Calipso e lo straniero mortale τερπέσθεν φιλότητι, παρ’ ἀλληλοισι μένοντες, “godettero dell’amore stendendosi paralleli”! Ed ancor più sorprendente è il sentimento di diffidenza e di paura odierno all’arrivo di un migrante, se paragonato alle parole di Nausicaa dopo la captatio benevolentiae di Odisseo, maschio adulto nudo e sporco di fronte a lei, giovane bellissima lindissima vergine:

στῆτε μοι, ἀμφίπολοι· πόσε φεύγετε φῶτα ἰδοῦσαι; “Fermatevi, ancelle! Dove fuggite alla vista di un maschio?” “Nessuno può far male a noi Feaci…ἀλλʹὅδε τις δύστηνος ἀλώμενος ἐνθάδʹἱκάνει͵ τὸν νῦν κρὴ κομέειν· πρὸς γὰρ Διός εἰσιν ἅπαντες ξεῖνοί τε πτωχοί τε...”Però costui è un misero naufrago giunto qui e dobbiamo prenderne cura: vengono tutti da Zeus gli stranieri e i poveri!”

Parole retrospettivamente rivoluzionarie, diremmo!

E’ questa adesione spontanea, gravida d’umanesimo (la medesima di Didone ad Ilioneo supplice di dar loro naufraghi diritto d’ospitalità: “Solvite corde metum, Teucri, secludite curas…Tros Tyriusque mihi nullo discrimine agetur” “Sciogliete l’ansia dal cuore, Teucri, lasciate l’angoscia!...Teucro o Tirio, da me avrà ugual trattamento!”) che invocano le liriche di Guglielmo, scevra dal metodo malfidato di Circe, che, davvero, nella trasformazione dei migranti in porci rassembra gli sfruttatori della forza-lavoro straniera che per decenni hanno cauterizzato col profitto il fastidio per l’afflusso di manodopera non indigena prima che gli arrivi venissero considerati invasione.

Ma le note lacrimevoli già scandite nel tema del rifiuto dell’accoglienza, si esaltano in un concerto epicedico quando il poeta affronta il tema foscoliano (già catulliano) della negata sepoltura, laddove Guglielmo fa emergere tutte le radici dell’episteme scritturale e classica.

Come non riecheggiare nella sua “Le ossa e i coralli”, allorché egli struttura un periodo ipotetico terribilmente ottativo (“se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall’insultar de’ nembi e dal profano piede del vulgo e serbi un sasso il nome e di fiori adorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli”), l’anatema biblico della reductio ad pulverem tratto da Genesi, 3, 19:

“Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”?

E come non annusarvi l’afflato travalicatore dell’ostilità etnica del XXIV dell’Iliade in cui gli eroi vinti si accomunano in un unico dramma al di là del front line per una volta silenziato? Ed è lì, in quell’empito comune risolutore degli odi guerrieri, che, al termine della straziante supplica di Priamo, Achille e il vecchio sovrano teucro concordano il “cessate il fuoco” per la sepoltura delle spoglie di Ettore:

"ποσσῆμαρ μέμονας κτερεïζέμεν Ἕκτορα δῖον ὄφρα τέως αὐτός τε μένω καὶ λαὸν ἐρύκω “

per quanti giorni vuoi celebrare gli onori funebri d’Ettore?

Ch’io fin allora stia fermo e trattenga l’esercito”

ἐννῆμαρ μέν κʹαὐτὸν ἐνὶ μεγάροις γοάοιμεν͵ τῇ δεκάτῃ δέ κε θάπτοιμεν͵ δαινῦτό τε λαός͵ ἑνδεκάτῃ δέ κε τύμβον ἐπʹαὐτῷ ποιήσαιμεν

“Per nove giorni vorremmo piangerlo in casa, al decimo interrarlo, il popolo banchetterà, vorremmo innalzare sopra di lui la tomba all’undicesimo”.


La sepoltura è pausa all’astio, la sacralità della memoria ne silenzia l’urlo bellicoso: è giusto e legittimo lo sconvolgimento di Campione di fronte all’impossibilità di una cesura delle barriere razziali in ragione di un mare Mediterraneo trasformato da nastro veicolatore delle linfe vitali interetniche in immondo e cruento imbuto di corpi alimentatori di fauna ittica.

Attonito, egli assiste impotente all’annegamento delle matrici culturali fondate a ridosso di quel mare!




Mariano Grossi






IL POLPO E IL TESCHIO : 19 CANTI PER MIGRANTI E TRANSFUGHI recensioni di ANGELO PULPITO E MARCO PAPACCHINI

               












È un libro carico di dolore, di sentimento e soprattutto di tanta umanità. 
È costituito da poesie molto curate e profonde sulle migrazioni. Tutti immersi in un mare troviamo il bimbo salvato… ma anche tanti morti sommersi dai flutti… i defunti non sono uomini senza volto… sono padri, madri, figli… che lasciano dietro di sé un abisso di sofferenza. Sulle loro ossa nel testo troviamo persino delle variazioni sui Sepolcri di Ugo Foscolo.
Tra le onde le imbarcazioni sono tante ma alcune salvano, altre, incuranti, passano avanti… talvolta giungono in porti chiusi che incrementano la disperazione dei migranti… si fa ricorso “alla legge del mare che ispira eticamente e cristianamente il diritto navale internazionale”.  Altra sofferenza in questi uomini è determinata dalla promiscuità, dalla fuga dalla guerra, da un attesa inutile della persona amata…
Un Mediterraneo insanguinato rivive in questi splendidi e profondi versi dell’autore. 
Un libro sicuramente da leggere per riflettere

Angelo Pulpito

Quando la vita non riceve il rispetto dovuto, appare il niente in tutto il suo essere inerme. Privazione dei naturali diritti esistenziali fino all’assenza del respiro; e il dolore si libera nell’infinito della fine. Questo è il concetto che esprime Campione a proposito del tragico problema dei migranti. Scrive l’autore in una delle sue composizioni: “I vecchi non devono fuggire / devono restare seduti sulla soglia / a cavallo di due mondi / con la schiena protetta dal muro degli avi / e lo sguardo nello sguardo / dei ragazzi che li stanno a sentire”. Mi è piaciuta questa visione della vita che, attraverso il suo ciclo, dovrebbe ripetersi nel tempo attraverso il passaggio del testimone e che invece si interrompe, troppo spesso, a causa dell’egoismo umano.  È la dura legge di “Capitan Caino” (citazione da “Ode alla nave che passa avanti”) affiancato dal “capo che bacia i crocefissi”, con inevitabile riferimento alla politica italiana. 
Certo, il tema trattato è molto delicato. In Italia, come spesso accade, si è per una fazione piuttosto che per un’altra come allo stadio. Accoglienza sì accoglienza no, senza sapere le ragioni, i presupposti, le cause di tutto quello che c’è dietro un problema così importante. Vitale, direi, perché ne va della vita di troppe persone, nella maggior parte dei casi innocenti che cercano di migliorare la propria esistenza. Anche se, purtroppo, ho avuto modo di constatare che una buona percentuale di migranti non ha voglia di inserirsi nel paese ospitante e rimane indifferente alle proposte di integrazione . Sebbene questo atteggiamento mi rammarica e mi lascia perplesso, non faccio mai di tutta un’erba un fascio. Non divido il genere umano per colore, perché è necessario guardare sempre alla dignità dell’essere umano. 
Segue, dopo le poesie, un saggio breve,  in prosa, sul valore umano, sociologico, epistemologico ed esistenziale del mare Mediterraneo, diviso tra diverse culture storiche. È per questo che non può esserci una cultura dominante che decida anche per le altre. La metafora del mare come conoscenza e (stile di) vita si divide tra due personaggi cardine della cultura mediterranea: Ulisse ed Enea. Entrambi formano un cerchio che parte con il ritorno dell’uno e termina con l’andata dell’altro. Quasi uno spazio concettuale uroborico all’interno del quale si snoda la storia delle culture mediterranee che per gradi e nella storia si sono realizzate come in un colloquio. Il nostro tempo, invece, sembra segnato dall’ignoranza, ovvero di chi ignora che la diversità è ricchezza, una diversità che fa parte di quel cerchio storico culturale e vitale di andata e ritorno, tra Enea e Ulisse.
Nelle ultime pagine ancora un altro breve saggio sul filosofo Franz Rosenzweig, per un’analisi dello spazio geografico e mentale. Da quando l’uomo ha imparato l’aggettivo possessivo “mio”, è iniziata l’era dei confini, e dell’egotismo, dell’autorità fondata sulla forza e della sopraffazione. L’Europa ha fatto molta strada storica, civile, tecnologica, ma altrettanta ne deve fare sotto ogni profilo sociale e l’autore cita ancora il filosofo tedesco quando scrive “l’Europa incarna il progetto ideale  del dialogo fra culture”. Mi auguro che questa frase non rimanga soltanto una speranza, ma diventi una realtà a breve termine.

Marco Papacchini