Santina Favolla la masciara bianca :recensione di Chiara Troccoli Previati.




Guglielmo Campione torna alla scrittura con un lungo racconto che non lascia tregua.

Lo leggi tutto d’un fiato: non puoi fare a meno di lasciarti incantare nello svelamento, pagina dopo pagina, degli eventi di una strana storia, ricca di magia e traboccante fantasia eppure vera e originalissima.

Santina ne è protagonista: una quattordicenne figlia di masciare o fattucchiere da generazioni che appare come una novella Alice per la sua genuinità e per la ricchezza stravagante dei vissuti in cui volta per volta s’imbatte catturando prestissimo la fantasia e sete di avventura del lettore così come del resto tutti i personaggi, i quali, poco a poco compaiono tra le pagine del racconto.

Si entra immediatamente, come è consueto nei racconti di Campione, nel mondo fisico e oggettivo dei protagonisti, non svelato nelle coordinate geografiche reali ma certamente riconoscibile agli occhi di chi questi luoghi conosce e vive.

Cosí ci si addentra e si percorrono le stradine strette da ‘casba’ del centro antico, così simile a tanti di altri contesti mediterranei e medio orientali , nei quali c’è sempre un’atmosfera di sussurri e grida, di sguardi curiosi e indiscreti, di mistero e occulto, soprattutto se a svelarsi sono i segreti delle ‘masciare’ e fattucchiere, coi loro poteri oscuri e insondabili.

Una vicenda universalmente mediterranea.

Dopo averci fatto addentrare nella casba di questa città che guarda a Oriente, l’autore ci rivela ben presto il segreto di Santina: fin da bambina questa insolita protagonista scopre di possedere una doppia natura.

I racconti che fan voli pindarici, come questo, partono sempre da un’occasione, che dobbiamo intendere proprio in senso ‘montaliano’. Per levarsi in volo si parte da terra, sempre; il volo si spicca se hai lo sguardo interiore giusto e vedi un’occasione che diventa epifania.

Forse un' immagine ben impressa nella memoria dell'autore da bambino un bel giorno riaffiora casualmente, grazie a una foto ritrovata e fino ad allora dimenticata.

Ecco, forse, la scintilla che provoca l’epifania di questo splendido racconto meticoloso nei dettagli, come è nello stile di Campione.

Egli ci incanta partendo dalla concretezza di una situazione storico-antropologica, con diramazioni geografiche ampie, ben fondata storicamente come descritto da lui stesso nella prefazione al libro , arrivando ai confini dell’irreale fantastico, del fantasy apparente,ma così vero da poterlo toccare; fino a giungere poi a profondità che si pregustano ed intuiscono, a ben guardare, fin dall’inizio.


(Personificazione del Kairos, II sec. A.C.)

Già l’introduzione della parola Kairos infatti, al principio del racconto, ci illumina sulle possibili ampiezze che questo testo ci offrirà: il mondo dei riti magici, delle pozioni e filtri d’amore, di petali di fiore e raggi di luna, di malocchi e date fatidiche, di giaculatorie e saluti obbligati alla ‘fata della casa ‘, di trasmissione di conoscenze da nonna a nipote masciàra.

Un mondo magico che s'arricchisce man mano di luce e sguardi che attraversano l’animo, di sentimento religioso sotteso ad ogni azione, di ricerca di senso, di fede nella morte e resurrezione, di cultura classica, di mondi antichi mediterranei.


Tutti i racconti di Guglielmo Campione, questo ancor più, chiedono d’esser guardati prima ancora che letti: sono una sequela d’immagini che si srotolano come un nastro filmico e nel mentre leggo mi sovviene la memorabile sequenza figurata in ben ventitré giri che si avvolge sulla Colonna di Traiano e narra delle sue vittoriose campagne belliche in Dacia. Arricchita da rappresentazioni di luoghi, di spostamenti, di battaglia, di vincitori e vinti che mantengono tutta la loro dignità umana, queste realistiche scene non perdono mai di tono narrativo non cedono mai alla pausa, alla stanchezza e hanno smalto vivo addosso.

Così è la regia narrativa sopraffina di Campione, il quale sa passare dalla panoramica al flash-back e si sofferma frequentemente sulla zoomata come accade in un mirabile episodio che ascolti mentre leggi, perchè i suoni della lingua madre affiorano intensi, anche se sussurrati. Alludo al capitolo 7 che si svolge in parte in un sottano, nella stanza da letto di un defunto, un certo Colino. Ě una scena nella quale si snoda una teoria di personaggi popolari , tra i quali le immancabili lamentatrici prezzolate (prefiche) che vegliano al capezzale il defunto, alternando un rosario chiacchierato agli immancabili aspri pettegolezzi sulla vita erotica della piacente giovane moglie del defunto. Una scena indimenticabile e concretissima, da film neorealista in cui il comico confluisce nel drammatico e viceversa.



Ma torniamo al Kairos, vero bandolo della matassa di questa storia: esso apre e chiude questa narrazione a uroboro come nelle "composizioni ad anello" (Ringkomposition) che si trovano nei testi classici greci e romani, nonché nella Bibbia ebraica.


Il racconto comincia, finisce e ricomincia lí dov'ě iniziato, portando in sé il germe di vita, morte e rinascita.


Kairos ě il più nobile tra i quattro termini con i quali nell’antica lingua e cultura greca si parla di tempo, inteso contemporaneamente come tempo attimale ed eterno, perché fatidico.

Si riferisce al tempo ‘opportuno’, quello giusto perché un’azione si compia e sia compiuta, un tempo rivelatore da cogliere e vivere nell’immediatezza del quotidiano e che ti aiuta a ‘leggere’ gli eventi della tua vita interiore. In teologia è il tempo in cui Dio agisce, il tempo cruciale dell’incontro con Dio, guida del tuo operare.

Nella vita di Santina affiora fin dall’inizio l’entità del kairos, non casuale, da cogliere, comprendere e lasciar agire. Si presenta nelle prime pagine nella scoperta della sua doppia natura, poi nella difficile gestione del suo segreto soprattutto dal momento dell’incontro con Achille, l'uomo col quale nasce un'avventura sentimentale autentica quanto segreta e con profondi risvolti psicologici.


La storia d’amore tra Santina e Achille parla di eternità, di sogno, di incanto e dolcezza, come la più autentica delle storie d’amore.

I sogni e i segreti sono il sale della vita e il loro incontro ne è ricco fin dagli esordi, necessariamente.

Con mosse reciproche accorte i due costruiscono la loro storia, così speciale ma anche così normale, in maniera mirabile, giorno dopo giorno, fino alla loro unione matrimoniale che avviene il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate.


"Il solstizio è un simbolo della rinascita spirituale nonché il simbolo della sconfitta del male e delle tenebre da parte del Sole e il trionfo della luce”, recita a tal proposito il racconto nel finale.

Santina, pur continuando in parte la tradizione di guaritrice di sua madre e sua nonna epurerà dal suo ruolo, tutto ciò che non sia frutto di ‘magia naturale’: richieste di “fatture d'affàscino, malocchi, filtri d'amore e quant'altro fosse da fare contro la volontà di qualcuno come era secondo la tradizione delle vecchie masciare della generazione di Nonna Porzia; un modo di esercitare il potere magico non luminoso che proprio per questo nei secoli subì l'appellativo di nero.”


Grazie alla guida di Donna Innocenza medium di rinomata fama, maga e sua guida, figura centrale del racconto, Santina impareră a praticare solo una magia naturale , guidata attraverso “ lo studio delle sue leggi e in armonia con esse, ritenendo che ogni organismo, fenomeno o evento abbia un posto nel disegno universale stabilito da Dio, in quanto partecipe di un'unica Anima del mondo.

Santina, sottometterà la propria volontà alle leggi del cosmo in armonia con l'universo grazie al senso morale basato sull'obbedienza alla volontà di Dio come gli aveva insegnato Innocenza.

Farà dunque una scelta di campo precisa”, luminosa e per questa sua rivoluzione verrà soprannominata la Masciara bianca.

Nulla è casuale, nella finzione narrativa così come nella vita reale?
Con questo interrogativo pare congedarci l'autore.

IMMERGERSI :IL.MARE E LA PSICOANALISI



 




FUORI TERRA :NON SCORDARE LA FISARMONICA di Mariella Procaccio: recensione di Guglielmo Campione.


 

"Itaca, terra mia!

Vedo lo speco

e l’opaco di fronde antro ridente

ove sgozzai sui fumiganti altari

capre alle Ninfe; ed ecco l’alto Nérito

monte, e il porto di Fórcine, e il fronzuto

olivo torto che gli sorge in cima.

Soltanto Ulisse è un altro Ulisse, ormai!

Vecchio, canuto ed acciaccato, curvo

sopra un bastone, con gli occhi cerchiati,

torna l’Eroe. 

Gran trionfo, nei lunghi,

brulli, nebbiosi e desolati inverni

sognato, in mezzo ai taciturni Eroi

giacenti al freddo nelle notti ete

rne!"


Fuori Terra, prima opera letteraria di Mariella Procaccio, ě un libro che dà una rappresentazione intensamente femminile del  Nostos, del sentimento della lontananza dalla propria Terra.

Per questo, ho voluto far aprire questa mia recensione con la celebre citazione del ritorno di Ulisse a Itaca dall'Odissea, il Poema del nostos. 

La scrittura di Mariella Procaccio ě una scrittura emozionale, rievocativa, precisa, attenta ai dettagli  emotivamente concreti e concretamente emotivi che son quelli sotto cui si celano i fatti veramente importanti i segreti, i sentimenti. 

Sono i dettagli infatti  che cambiano il corso della Storia e del pensiero. Sono i dettagli che descrivono la psicologia dei personaggi.


Il Libro ě una macchina magica del tempo che funziona grazie alla chiave dei dettagli : solo cosi possono infatti rivivere le relazioni, i costumi,i valori culturali familiari, ,le emozioni, i sentimenti, in altre parole la microstoria quella che fanno quotidianamente gli umani e non appare sui libri di storia.


Sul palcoscenico del Teatro di FUORI TERRA, c' ě una famiglia italiana degli anni 60 che vive il dramma dello sradicamento dolente ma anche gravido di speranze dalla propria cultura. Fuori Terra appartiene interamente alla tradizione non solo letteraria del neo realismo da questo punto di vista. 

Tornano cosí alla memoria i mille viaggi fatti in treno,verso il sud,  le mille storie raccontate di notte da un’ umanită dolente ma autentica che tra un tarallo e un ricordo scambiava davvero i propri mondi. Una condivisione cha manca incredibilmente oggi nella galera tecnologica dei social e negli odierni noiosi e asettici viaggi aerei.

Maria, la piccola protagonista ě timida ma curiosa di quella curiosită che Melania Klein grandissima analista inglese chiamò ISTINTO EPISTEMOFILICO del bambino e che ě la base dell amore per il sapere, la cultura, la conoscenza scientifica  filosofica letteraria e psicologica.


Io credo che la  scrittura di Mariella Procaccio sia una scrittura molto intima ma anche una  donazione di sě coraggiosa e generosa nel momento in cui sceglie l’autobiografia come genere letterario raro e in controtendenza oggi ai noir, ai soliti cryme o alla subcultura di falsità e fake news di influencers e false identită.

Diversamente dalle finte condivisioni che ci vengono ammannite dai vari social, tutti americani per altro, Fuori Terra rappresenta un esempio di autentica condivisione letteraria di valore di un'esperienza, quella del Nostos, universale e che oggi alla luce delle migrazioni puo diventare uno strumento di comprensione prezioso. 

Solo la verita nutre la mente, diceva W. R. Bion, mentre la menzogna e il segreto che incatena l'avvelenano. 

Gesù nel Vangelo di Giovanni dirà (8, 32): "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. 


GUGLIELMO CAMPIONE


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Mariella Procaccio (1961), laureata in filosofia, è presidente dell’Associazione Circoli Virtuosi. Organizza eventi pluridisciplinari; promuove tè/caffè filosofici e presentazioni di autori. La sua attività principale sono i laboratori di lettura filosofica che porta nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle biblioteche, in carcere e in ogni luogo in cui è stato possibile realizzarli. L’autobiografia Fuori terra è la sua prima opera scritta.

Il polpo e il teschio : 19 Canti per migranti e transfughi. Recensione di Chiara Troccoli Previati


  Chiara Troccoli Previati.                                           


Il polpo e il teschio 

20  Canti e 2 saggi per migranti e transfughi.







Con "Il polpo e il teschio" 

di Guglielmo Campione

ci troviamo di fronte a un libro “concept”. 


 A partire dall’immagine in copertina si innalza il canto e ci avvolge proprio come i tentacoli di quel polpo, chiarendoci subito per chi quel canto si leva.


La prefazione del libro trova un suo seguito e un raccordo nei due saggi finali dell’autore che, come la costa intorno al mare omerico, abbracciano il canto poetico che naviga nella parte centrale del libro; canto ininterrotto, talassocentrico, che avvolge con parole e pensieri.


E’ per far meglio comprendere al lettore di quale mondo si parla, si canta, si soffre e si piange, sulle orme dei Sepolcri di Foscolo, l’autore vuol mettere la sua impronta e far posare anche i nostri piedi, farli bagnare in quelle acque dove nel teschio di un uomo può annidarsi un polpo, dove i capelli ‘diventano

alghe’ (Ode a un padre morto, v.20) nella transizione di una vita verso una morte.


Vedi allora emergere il ‘cimitero del mare’ che mi riporta alla mente, in una specularità immaginifica avvalorata dal comune colore azzurro, (di mare e cielo), la definizione di Paul Celan dei ‘cimiteri dell’aria’ espressione usata a proposito del fumo che sale dai corpi bruciati nei forni crematori. Di questi ultimi non è visibile traccia, come per Edmond Jabès non v’è traccia delle impronte, cancellate o sepolte, nella sabbia del deserto, eppure il silenzio che ne emerge, in tutti i casi, si fa parola, parola poetica.


E allora attraverso il mare, l’aria, il deserto e i loro silenzi comprendi che “là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva” (F. Holderlin, Patmos): la poesia.


Una poesia di parole vere, non belle, perché la parola vera tende ad ammutolire e lì nel silenzio, avviene l’incontro: il vuoto si fa pienezza e l’universo dell’uomo si amplia.


Le persone cui l’autore si avvicina in questi canti, o meglio, in questo canto ininterrotto, de ‘Il polpo e il teschio’ vengono da vite schiave ma ora sono libere nell’eterno fluttuare della morte sott’acqua.


Tutte queste persone, come quelle sulla collina dell’Antologia di Spoon River, hanno un nome: 


Alì, padre di Selim, che lascia con coraggio Damasco ma non vi farà mai più ritorno,Ahmed, figlio di Amina, un bimbo con “ gli occhi che fanno coppia col sorriso” quando “la volontaria che lo prese in braccio” lo ha strappato alla morte; tutti i presenti nell’Ode alla pace: Fatima, Rayna, Yusuf, Farah, Beshir, Abdul, Jamila. 


Sembra di sentire dire dalla ‘voce ‘ del mare:

“Porto il nome di tutti i battesimi,  ogni nome il sigillo di un lasciapassare”(F. De Andrè, da Khorakhanè in Anime Salve)

Ma si sente anche il flusso dei pesci, molluschi, coralli, ultima visione di quei corpi scivolati in fondo al mare che il nostro autore, da sub esperto, chiama per nome e rivive tra sguardo e cuore.


Se nel Prologo Campione dice che “ultima sempre è la speranza” nell’Epilogo si respira “l’abissale silenzio della notte” calato in fondo al mare.


 L’appello finale qui è agli “uomini dormienti” quelli ai quali questi 19 canti vogliono ricordare il valore di parole come ‘straniero’, ‘ospitalità’, ‘prossimo’, ‘familiarità’.


Dal silenzio del cimitero del mare queste parole si fanno canto, un canto di sfida, di pienezza, di presenze divenute assenze, di carne annegata nell’acqua, di grida divenute silenzi.


Ma, parafrasando Jabès, grazie alla poesia l’impossibile può diventare possibile se qualcosa ti smuove dentro e riesce a provocare anche il più piccolo tuo cambiamento.


Ho scritto questo commento di fronte al sole con indosso una maglia con brillantini che ha compiuto un piccolo prodigio: nel riverbero sullo schermo dell’iPad aperto alla pagina dell’ ’Ode a una madre morta’ mi sono apparsi i suoi capelli che fluttuavano nell’acqua come alghe e ho pianto.


Bari, 26 Ottobre 2021






Chiara Troccoli Previati è nata a Bari nel 1958. Studiosa e critica d’arte, insegna Storia dell’arte nei licei e, dal 2008, Storia dell’arte cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Odegitria” della Facoltà Teologica Pugliese di Bari. È autrice di saggi di storia della fotografia e di arte sacra.



IL POLPO E IL TESCHIO 19 CANTI PER MIGRANTI E TRANSFUGHI

 










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Il Polpo e il teschio: presentazione di Mariano Grossi










E’ un approccio nausicale o calipsico quello cui dovremmo aspirare nel nostro vagabondare naufragante nei mari della vita, ed è quello cui, consci ovvero ignari, anelano tutti i migranti della Terra. L’accoglienza, lo spirito di tutela e condivisione annusati nelle pagine omeriche dal maris vagabundus Ulixes al primo contatto con le due entità muliebri, non conta se in veste umana oppure divina, dovrebbe essere l’impronta che ogni straniero ricetta nel suo contatto xenico:

“et hospitalitatem nolite oblivisci: per hanc enim latuerunt quidam angelis hospitio receptis”

dice San Paolo in Ebrei, 13, 2.

E raccapriccia l’idea che una civiltà erede dei valori cristiani, quegli ideali che sottendevano come nella classicità greco-romana pagana il concetto della divinità ipoteticamente celata sotto le sembianze del forestiero, si sia recentemente scordata delle sue impronte fondanti vestendosi prima da Circe avvelenatrice e trasformatrice della forza lavoro allotria in soggetti di stampo simil-suino deprivati di ogni dignitas humana (si vada a Borgo Mezzanone e lo si constati!) ed oggi abbia eretto muri e barriere portuali per lasciar annegare in un calvinista mare di indifferenza la gente che attraverso le distese salmastre fugge dalla morte.

Questo è il grido di sdegnata invocazione che trabocca dalle liriche di Guglielmo Campione, in una intelligente rilettura delle pagine omeriche dove tra il Canto di Calipso e quello di Nausicaa v’è una non casuale contiguità rimarcante l’assenza di soluzione di continuo nell’afflato dessiotico (δεξίωσις, accoglienza) delle due figure femminili. Fa specie oggi, quando si guarda con scetticismo alle unioni miste tra migranti ed indigeni in ragione delle paratie etniche, religiose e culturali, leggere che prima del distacco la dea Calipso e lo straniero mortale τερπέσθεν φιλότητι, παρ’ ἀλληλοισι μένοντες, “godettero dell’amore stendendosi paralleli”! Ed ancor più sorprendente è il sentimento di diffidenza e di paura odierno all’arrivo di un migrante, se paragonato alle parole di Nausicaa dopo la captatio benevolentiae di Odisseo, maschio adulto nudo e sporco di fronte a lei, giovane bellissima lindissima vergine:

στῆτε μοι, ἀμφίπολοι· πόσε φεύγετε φῶτα ἰδοῦσαι; “Fermatevi, ancelle! Dove fuggite alla vista di un maschio?” “Nessuno può far male a noi Feaci…ἀλλʹὅδε τις δύστηνος ἀλώμενος ἐνθάδʹἱκάνει͵ τὸν νῦν κρὴ κομέειν· πρὸς γὰρ Διός εἰσιν ἅπαντες ξεῖνοί τε πτωχοί τε...”Però costui è un misero naufrago giunto qui e dobbiamo prenderne cura: vengono tutti da Zeus gli stranieri e i poveri!”

Parole retrospettivamente rivoluzionarie, diremmo!

E’ questa adesione spontanea, gravida d’umanesimo (la medesima di Didone ad Ilioneo supplice di dar loro naufraghi diritto d’ospitalità: “Solvite corde metum, Teucri, secludite curas…Tros Tyriusque mihi nullo discrimine agetur” “Sciogliete l’ansia dal cuore, Teucri, lasciate l’angoscia!...Teucro o Tirio, da me avrà ugual trattamento!”) che invocano le liriche di Guglielmo, scevra dal metodo malfidato di Circe, che, davvero, nella trasformazione dei migranti in porci rassembra gli sfruttatori della forza-lavoro straniera che per decenni hanno cauterizzato col profitto il fastidio per l’afflusso di manodopera non indigena prima che gli arrivi venissero considerati invasione.

Ma le note lacrimevoli già scandite nel tema del rifiuto dell’accoglienza, si esaltano in un concerto epicedico quando il poeta affronta il tema foscoliano (già catulliano) della negata sepoltura, laddove Guglielmo fa emergere tutte le radici dell’episteme scritturale e classica.

Come non riecheggiare nella sua “Le ossa e i coralli”, allorché egli struttura un periodo ipotetico terribilmente ottativo (“se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall’insultar de’ nembi e dal profano piede del vulgo e serbi un sasso il nome e di fiori adorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli”), l’anatema biblico della reductio ad pulverem tratto da Genesi, 3, 19:

“Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”?

E come non annusarvi l’afflato travalicatore dell’ostilità etnica del XXIV dell’Iliade in cui gli eroi vinti si accomunano in un unico dramma al di là del front line per una volta silenziato? Ed è lì, in quell’empito comune risolutore degli odi guerrieri, che, al termine della straziante supplica di Priamo, Achille e il vecchio sovrano teucro concordano il “cessate il fuoco” per la sepoltura delle spoglie di Ettore:

"ποσσῆμαρ μέμονας κτερεïζέμεν Ἕκτορα δῖον ὄφρα τέως αὐτός τε μένω καὶ λαὸν ἐρύκω “

per quanti giorni vuoi celebrare gli onori funebri d’Ettore?

Ch’io fin allora stia fermo e trattenga l’esercito”

ἐννῆμαρ μέν κʹαὐτὸν ἐνὶ μεγάροις γοάοιμεν͵ τῇ δεκάτῃ δέ κε θάπτοιμεν͵ δαινῦτό τε λαός͵ ἑνδεκάτῃ δέ κε τύμβον ἐπʹαὐτῷ ποιήσαιμεν

“Per nove giorni vorremmo piangerlo in casa, al decimo interrarlo, il popolo banchetterà, vorremmo innalzare sopra di lui la tomba all’undicesimo”.


La sepoltura è pausa all’astio, la sacralità della memoria ne silenzia l’urlo bellicoso: è giusto e legittimo lo sconvolgimento di Campione di fronte all’impossibilità di una cesura delle barriere razziali in ragione di un mare Mediterraneo trasformato da nastro veicolatore delle linfe vitali interetniche in immondo e cruento imbuto di corpi alimentatori di fauna ittica.

Attonito, egli assiste impotente all’annegamento delle matrici culturali fondate a ridosso di quel mare!




Mariano Grossi






IL POLPO E IL TESCHIO : 19 CANTI PER MIGRANTI E TRANSFUGHI recensioni di ANGELO PULPITO E MARCO PAPACCHINI

               












È un libro carico di dolore, di sentimento e soprattutto di tanta umanità. 
È costituito da poesie molto curate e profonde sulle migrazioni. Tutti immersi in un mare troviamo il bimbo salvato… ma anche tanti morti sommersi dai flutti… i defunti non sono uomini senza volto… sono padri, madri, figli… che lasciano dietro di sé un abisso di sofferenza. Sulle loro ossa nel testo troviamo persino delle variazioni sui Sepolcri di Ugo Foscolo.
Tra le onde le imbarcazioni sono tante ma alcune salvano, altre, incuranti, passano avanti… talvolta giungono in porti chiusi che incrementano la disperazione dei migranti… si fa ricorso “alla legge del mare che ispira eticamente e cristianamente il diritto navale internazionale”.  Altra sofferenza in questi uomini è determinata dalla promiscuità, dalla fuga dalla guerra, da un attesa inutile della persona amata…
Un Mediterraneo insanguinato rivive in questi splendidi e profondi versi dell’autore. 
Un libro sicuramente da leggere per riflettere

Angelo Pulpito

Quando la vita non riceve il rispetto dovuto, appare il niente in tutto il suo essere inerme. Privazione dei naturali diritti esistenziali fino all’assenza del respiro; e il dolore si libera nell’infinito della fine. Questo è il concetto che esprime Campione a proposito del tragico problema dei migranti. Scrive l’autore in una delle sue composizioni: “I vecchi non devono fuggire / devono restare seduti sulla soglia / a cavallo di due mondi / con la schiena protetta dal muro degli avi / e lo sguardo nello sguardo / dei ragazzi che li stanno a sentire”. Mi è piaciuta questa visione della vita che, attraverso il suo ciclo, dovrebbe ripetersi nel tempo attraverso il passaggio del testimone e che invece si interrompe, troppo spesso, a causa dell’egoismo umano.  È la dura legge di “Capitan Caino” (citazione da “Ode alla nave che passa avanti”) affiancato dal “capo che bacia i crocefissi”, con inevitabile riferimento alla politica italiana. 
Certo, il tema trattato è molto delicato. In Italia, come spesso accade, si è per una fazione piuttosto che per un’altra come allo stadio. Accoglienza sì accoglienza no, senza sapere le ragioni, i presupposti, le cause di tutto quello che c’è dietro un problema così importante. Vitale, direi, perché ne va della vita di troppe persone, nella maggior parte dei casi innocenti che cercano di migliorare la propria esistenza. Anche se, purtroppo, ho avuto modo di constatare che una buona percentuale di migranti non ha voglia di inserirsi nel paese ospitante e rimane indifferente alle proposte di integrazione . Sebbene questo atteggiamento mi rammarica e mi lascia perplesso, non faccio mai di tutta un’erba un fascio. Non divido il genere umano per colore, perché è necessario guardare sempre alla dignità dell’essere umano. 
Segue, dopo le poesie, un saggio breve,  in prosa, sul valore umano, sociologico, epistemologico ed esistenziale del mare Mediterraneo, diviso tra diverse culture storiche. È per questo che non può esserci una cultura dominante che decida anche per le altre. La metafora del mare come conoscenza e (stile di) vita si divide tra due personaggi cardine della cultura mediterranea: Ulisse ed Enea. Entrambi formano un cerchio che parte con il ritorno dell’uno e termina con l’andata dell’altro. Quasi uno spazio concettuale uroborico all’interno del quale si snoda la storia delle culture mediterranee che per gradi e nella storia si sono realizzate come in un colloquio. Il nostro tempo, invece, sembra segnato dall’ignoranza, ovvero di chi ignora che la diversità è ricchezza, una diversità che fa parte di quel cerchio storico culturale e vitale di andata e ritorno, tra Enea e Ulisse.
Nelle ultime pagine ancora un altro breve saggio sul filosofo Franz Rosenzweig, per un’analisi dello spazio geografico e mentale. Da quando l’uomo ha imparato l’aggettivo possessivo “mio”, è iniziata l’era dei confini, e dell’egotismo, dell’autorità fondata sulla forza e della sopraffazione. L’Europa ha fatto molta strada storica, civile, tecnologica, ma altrettanta ne deve fare sotto ogni profilo sociale e l’autore cita ancora il filosofo tedesco quando scrive “l’Europa incarna il progetto ideale  del dialogo fra culture”. Mi auguro che questa frase non rimanga soltanto una speranza, ma diventi una realtà a breve termine.

Marco Papacchini

L'UNIVERSO DEI GESTI TRA ARTE E POESIA : 1 IL PRENDERSI PER MANO di CHIARA TROCCOLI PREVIATI



-La bellezza non è che il disvelamento

di una tenebra

caduta e della luce che ne è venuta fuori.

Alda Merini






Questo è un percorso incentrato sull'analisi di alcuni gesti fondamentali nella comunicazione umana:

IL BACIO

LO SGUARDO

LA CAREZZA

L'ABBRACCIO

IL PRENDERSI PER MANO




Non c’è atto umano che non sia gesto cioè che non abbia a che vedere con la ‘gestazione’ nella quale c’è tutto il nostro essere.

Siamo stati bloccati per la pandemia che ci ha colpiti e provati nei gesti più importanti ma proprio per questo, forse, possiamo coglierne meglio la loro valenza.

Questo breve ma intenso percorso che apriamo con riflessioni dentro la Bellezza, attraverso l’analisi breve di alcune opere d’arte, vuol raggiungere lo scopo di insinuare nelle mente di chi vi partecipa che senza scoperta della bellezza non possiamo vivere bene.

Tutto ciò che sembra nulla si rivela come Tutto, come Assoluto se percorriamo la strada della Bellezza, cammino di progressivo svelamento.

Se quando siamo davanti a un tramonto non nascono in noi delle domande ma diciamo solo - che bello!- quel tramonto è venuto invano.

Anche l’arte, creazione dell’uomo, ci comunica bellezza; l’arte è sempre spirituale, basta fermarsi un attimo a riflettere, a domandarci, ad assaporare. L’esperienza della bellezza ci fa scoprire noi stessi e ci fa scoprire il senso che tutte le cose hanno.

Tutto ha un senso ma tocca a noi scoprirlo nel corso della nostra esistenza. “Il contrario della bellezza non è la bruttezza ma è la stupidità, la volontaria ignoranza”: parola di un grande artista, Paul Cezanne.



1. IL PRENDERSI PER MANO




MANO NELLA MANO: Rodin, Cattedrale, 1908







Due mani destre si affrontano, quasi si sfiorano, un attimo prima di allacciarsi. Non è il consueto gesto del mano nella mano, ha molta più forza. Tra poco forse intrecceranno le dita per poi stringersi o forse allacceranno i pollici stretti per trasmettersi la forza di un congiungersi.

Il poeta Rainer Maria Rilke è rimasto attratto da questo movimento in divenire e ha scritto:- Queste mani sono un delta i cui fiumi, provenienti da lontane sorgenti, si fondono nel mare dell’azione.-

Perfetta lettura. Queste mani sono un assolo, Rodin le soggettivizza, quasi le fa parlare, sembrano guardarsi prima di avviarsi a meta comune, un agire di intesa, di accordo; se lo sono detto con gli sguardi ma ora la parola è alle mani che si ingigantiscono. Così ci appaiono, comunicano in silenzio con grande forza.Autonomia e pienezza di queste mani si fanno tutt’uno col vuoto che le attraversa nel mezzo. Quello spazio vuoto che tra poco scomparirà, si farà pienezza; sta a rappresentare la riflessione precedente all’azione. Riflessione prima dell’azione: quel che ci fa uomini e donne veri.

E prima di sfociare nel mare dell’agire in sintonia, queste mani si lasciano guardare dall’artista stesso e da noi ed ecco che ci appare un arco gotico. Questo è il motivo per cui l’opera s’intitola “Cattedrale”: la sacra laboriosità sottesa a chi fa opera comune, a chi crea Bellezza.Quante mani in perfetta intesa hanno innalzato meravigliose cattedrali verso il cielo! Quanto bene produce il tenersi per mano!





Cammineremo insieme la mano nella mano

con l'anima infantile-

di Paul Verlaine



Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?



Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?


Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.


Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.


Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.


Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?


L'UNIVERSO DEI GESTI TRA ARTE E POESIA: 2 : L'ABBRACCIO di CHIARA TROCCOLI PREVIATI

             

ABBRACCIO: Marc CHAGALL, Sopra la città,1918






Nell’abbraccio tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati.

(Roland Barthes)

“Una delle migliori sensazioni al mondo è quando abbracci qualcuno e lui ricambia stringendoti ancora più forte”

( C.Bukowski)





Un gesto molto significativo questo sul quale ci soffermiamo stasera per il quale vale la pena di raccontare l’etimologia. Viene da amb-intorno e plectere (parallelo greco di pleko) intrecciare. Intrecciare intorno. Che potenza acquista una parola, quante sfumature in più quando se ne conosce l’etimologia!

Insomma un abbraccio è un intreccio vitale. Vitale perché non è solo un cingere e uno stringere ma è un INTRECCIO. Di cosa? Di parti del nostro corpo? No. di tutto noi stessi. Un abbraccio che ci circonda e mette in contatto la guaina del nostro corpo, la pelle, con quella di un'altra persona, ci smuove dentro poichè trasfonde corpo e anima nostra nell’altro. E viceversa. Quanto più è intensa questa trasfusione tanto più vorremmo far durare questo abbraccio.



Per questo gesto ho scelto un abbraccio onirico, immaginifico: così lo ha pensato e dipinto il suo autore, Marc Chagall. I due corpi, di Marc e di Bella Rosenfeld, l’amore della sua vita, si sovrappongono nel volo orizzontale sopra la loro cittadina natale, Vitebsk.

Da Vitebsk e dalla Russia, lì dove son nati, dovranno andar via definitivamente nel ‘23 per Parigi ma le radici di quella cittadina/ghetto ebraico resteranno sempre impressi nel loro cuore prima che nella memoria. Lo schematismo della rappresentazione di tutta la scena la rende ancora più magica e affettiva e serve quasi a estrapolare l ‘essenza del sentimento profondo sotteso alla visione. Scriverà Bella nelle sue memorie:- Mi trascini nei fiotti di colore. All’improvviso mi stacchi da terra e mi trascini mentre tu prendi lo slancio con un piede, come se ti sentissi troppo stretto in questa piccola stanza -. Il pittore visionario e bambino con “sguardo di una volpe negli occhi azzurro-cielo”, come diceva Belle, eleva nella leggerezza dell’ aria la sua amata in un abbraccio che è mutevole scambio e li vede, assieme, uniti, sospinti da un vento che lei carezza con la mano protesa.



Ma volare abbracciati è la quintessenza dell’abbraccio, unisce musica e poesia al colore, mezzo col quale un dipinto parla.

Si parla tanto del calore di un abbraccio ma qui, trattandosi di un’opera d’arte pittorica dobbiamo capire l’uso, mai casuale, dei colori. I colori scelti da Chagall per i due in volo sono colori freddi, il verde e il blu in diverse tonalità. Come mai, mi sono chiesta, non ha scelto colori caldi o i colori complementari più utilizzati dagli artisti, cioè il rosso e il verde? Il rosso lo troviamo, ma solo sulla casa natale di Vitebsk e su qualche tetto o finestra del paese. Come mai? L’artista ha sempre nel cuore il suo paese e ce lo dimostra anche con il colore. Per sé sceglie invece il colore verde, il colore del vento, della fortuna,della libertà, del soffio vitale, dello Spirito, lo pneuma e per la moglie i colori del cielo, perché è abbracciare lei che gli fa toccare il cielo. Ecco il perché della scelta del grigio per il cielo. L’azzurro, Il cielo è dentro di lei, per lui; e il cielo è dentro ogni nostro sentito, caloroso, passionale, sincero abbraccio.



ISTRUZIONI PER ABBRACCIARSI

di Chandra Livia Candiani



L’Universo non ha un centro

ma per abbracciarsi si fa così.

Ci sia avvicina lentamente

eppure senza motivo apparente.

Poi, allargando le braccia, si mostra il disarmo delle ali

e infine si svanisce insieme

nello spazio di carità fra te e l’altro.





La Magia Di Un Abbraccio ( Pablo Neruda)



“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo.”









L'UNIVERSO DEI GESTI TRA ARTE E POESIA 3 : LA CAREZZA di CHIARA TROCCOLI PREVIATI

 


Carezza: Giorgio De Chirico, Le consolateur, 1929. 









L’arte serve anche a conoscere meglio se stessi: l’arte Metafisica di De Chirico, forse, ancora di più perché si arriva a riflettere sull’essenza dei significati attraverso un procedimento inusuale. Attraverso spazi silenti e ampi, spesso piazze semi-deserte con l’ausilio di qualche oggetto o soggetto, una statua, un manichino, su indicazione del titolo dell’opera, in De Chirico e nella sua pittura metafisica si esplora l’invisibile.
Qui lo spazio è addirittura annullato dalla grandiosa presenza di due uomini – manichino, col solo accenno contestuale del divanetto rosso su cui sono seduti e di uno sfondo vibrante di luce reso con pennellate filamentose. E’ un’opera di forte impatto visivo e comunicativo realizzata con una solidità di impostazione e una raffinata espressività pittorica e concettuale. Il manichino, emblema della spersonalizzazione, diventa per De Chirico soggetto di comunicazione universale, assume forme, abito e movenze di grande realismo e dialoga con noi anche senza volto. Qui giganteggiano le parti del corpo che interessano per raccontare stato d’animo e azione. Quel che appare sproporzionato è marginale rispetto al vissuto narrato.
L’uomo a destra manifesta inquietudine, atteggiamento ombroso e tristezza. Il ‘consolatore’ è leggermente ruotato verso di lui e pone la sua mano sinistra sulla spalla mentre con la destra gli carezza la sua, trattenendola. L’inventiva tutta di De Chirico è raccontarci il mondo segreto e invisibile dell’animo dei due personaggi, dal petto fino alle viscere, un mondo a colori con poche forme riconoscibili ed altre che riescono incredibilmente a narrarci il turbamento dell’uno e la maggiore tranquillità e forza del consolatore. In quest’ultimo infatti si riconosce un edificio turrito, una specie di cascata e forme rossicce a rilievo ben evidenziate. Nell’altro c’è un cielo che da sereno diventa nuvoloso, complesse forme geometriche che terminano poi in moti ondosi turbolenti. Qui è tutto lasciato alla nostra immaginazione e si sconfina nell’inimmaginabile; ma la posa, le luci, le ombre e quella pennellata vibrante e volumetrica ci raccontano perfettamente il valore di quella carezza, di quell’appoggio morale e spirituale che la persona in difficoltà sta ricevendo.


La compassione che nasce nell'animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri […].



-La carezza non è un semplice contatto, allora verrebbe meno al suo significato.
Carezzando l'altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza sotto le mie dita. La carezza fa parte di quei riti che incarnano l'altro, fa nascere l'altro come carne per me e per lui.-
( Jean Paul Sartre)

Penso che una carezza offerta con cura, serva a spegnere l’inquietudine in chi accetta di riceverla e trova accoglienza proprio in quel semplice ma toccante gesto.
(Giacomo Leopardi, Zibaldone, 108,1)

L'UNIVERSO DEI GESTI TRA ARTE E POESIA : 4 LO SGUARDO : di CHIARA TROCCOLI PREVIATI

 



Sguardo: Franz Von Stuck, Stelle cadenti, 1912






si vede bene solo con il cuore,
perchè l’essenziale è invisibile agli occhi 

(Antoine de Saint-Exupéry) 



Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo.

Cantico dei Cantici,4:9




“Anche se la finestra è la stessa, non tutti quelli che vi si affacciano vedono le stesse cose:

la veduta dipende dallo sguardo.”

Alda Merini



C’è un primato dello sguardo umano, insostituibile, che va incontro, che esprime, che risponde, che illumina e stabilisce una relazione, la costruisce.

Lo sguardo ha una preminenza sugli altri gesti: il riverbero della luce. Ha per questo un potere maggiore e la luce di cui uno sguardo fa esperienza, emana da quello sguardo. Quando lo sguardo è colto da stupore si vive un’esperienza eccezionale. Allora il soggetto non è solo illuminato ma diventa lui fonte d’illuminazione.

E’ particolarmente interessante che questo avvenga, nell’opera che ho scelto, durante una notte stellata, a ribadire che la luce di uno sguardo può essere presente anche nel buio.

Il pittore e sua moglie si sono predisposti a stupirsi e si sono seduti sull’erba di una collinetta, di notte, sotto un meraviglioso cielo stellato. In fondo, sulla destra, dietro alle dune, si intravede il mare. Il cielo stellato occupa i tre quinti della composizione e comprende una miriade di stelle col loro alone luminoso intorno, più vicine e nitide, più lontane e ridotte a un puntino; alcune appaiono addirittura di fuoco. In questo modo l’artista, se pur con tocchi fugaci riesce a darci l’impressione della rotondità e dell’immensità del cielo. Ma lo stupore in se’ e per sé è sempre imprevedibile e qui l’incanto è dato soprattutto dalla presenza di due stelle cadenti che lasciano una importante scia di luce, la famosa polvere di stelle, ognuna delle quali traccia un arco. Proprio verso questo punto dell’immensità della notte stellata, rivolge il suo sguardo la donna, attonita e immersa nell’armonia dell’infinito dal quale si lascia stupire, ancora una volta. Un cielo stellato è di tutti, ma non tutti lo vanno a cercare, non si può possedere ma ci cambia lo sguardo interiore e può fare di noi delle persone migliori.

Quello che rende particolare questo coinvolgente dipinto è che l’uomo non sta guardando anche lui verso il cielo ma ha lo sguardo rivolto verso la moglie ed è proteso delicatamente nella sua direzione. Il cielo stellato lo vede in lei, attraverso lei, attraverso i suoi occhi. Lui guarda nello sguardo stupito di lei e simultaneamente lo stupore prende anche lui. Questa scelta dell’artista ci induce a riflettere: quanto si può comunicare con uno sguardo, soprattutto se si è in sintonia? Si può guardare con gli occhi di un altro? Avete mai detto a qualcuno cui volete bene – ti presto i miei occhi, guarda tu anche per me!- Credo che quando ci esercitiamo a guardare l’oltre, anche attraverso gli occhi di un altro, ci apriamo a una dimensione che affina la nostra condizione umana e accresce la nostra speranza cristiana.



PABLO NERUDA

Se tu mi guardi con i tuoi occhi
dai quali mi viene incontro la tenerezza
e se io guardandoti con i miei occhi
ti faccio spazio dentro di me,
in questo incrocio di sguardi
che riassume milioni di attimi e di parole,
in questo scambio silenzioso
che per entrambi è guardare e lasciarsi guardare,
in questo penetrare l’uno nell’altro
nel tempo con benevolenza,
ci è dato tessere la reciprocità di questo amore
e forse la gratuità.

L'UNIVERSO DEI GESTI TRA ARTE E POESIA 5 : IL BACIO di CHIARA TROCCOLI PREVIATI



Ogni bacio perfetto scosta il tempo,

ci getta indietro, amplia il mondo breve

dove è ancora possibile baciare.

Non ha il suo culmine l’Amore quando arriva o si trova

ma nella resistenza a separarsi

dove si può sentire

altissimo, nudo, tremante.


PEDRO SALINAS







                   Ron Hocks "Kisses and coffee", 2014



Penso che gli artisti siano persone che provocano il pensiero-dice Ron Hicks artista statunitense che nasce nel 1965 a Columbus, in Ohio. Viene definito un impressionista ma a mio parere questa attribuzione va declinata più sui contenuti che sulla tecnica pittorica.

Infatti lui si sofferma sempre sulla restituzione vibrante della sensazione di un attimo vissuto dai protagonisti delle sue opere rendendo impossibile il non diretto e immediato coinvolgimento di chi la guarda. Lui afferma: - Amo l’interazione delle persone che fanno qualcosa, qualunque cosa sia. Potrebbe essere la cosa più banale, ma trovo grande bellezza in questo.-

Sapientemente ambientati in presa diretta ma focalizzati sull’intimità della situazione i suoi dipinti di questo periodo pur raccontandoci con realismo il contesto della scena inquadrano la spontaneità di un gesto che è il precipitato di un sentimento umano carico di commozione.

Ha dipinto tantissimi baci compiuti Hicks, ma io ho voluto soffermarmi su questo che trovo straordinario nella sua semplice verità.

In un caffè d’epoca, con rivestimento ligneo color mogano a parete, su sedie scomode e un tavolino minimal ci sono un giovane uomo e una giovane donna i cui volti sono incorniciati da uno specchio a parete che non riflette nulla del contesto dell’ambiente ma serve a far da sfondo luminoso alla scena/soggetto dell’opera. I due sono immortalati nell’istante carico di tensione esplosiva, ma non manifesta, prima di un bacio, forse il loro primo bacio, quando le loro teste ancora si sfiorano soltanto.

Magia pura quegli istanti che precedono un primo bacio tanto più carico di emozioni quanto più atteso e sognato. E’ un’intesa perfetta, un passo di danza da fermi in cui lui si solleva dalla sedia e protende il busto e lei fa leva coi gomiti sul tavolino pronta ad accogliere il bacio. Complementarietà totale- a) cromatica: in lei prevale il bianco in lui lo scuro e un lieve tocco di rosso sulle labbra di entrambi; b) di sguardo: lei ha gli occhi bassi, lui la guarda e i nasi quasi si toccano; c) di luce: lei ha le mani in ombra, lui illuminate. C’è tutto quel che dev’esserci, ma non c’è ancora il bacio che noi però vediamo perchè non stacchiamo gli occhi dall’opera e ce lo immaginiamo. Comunicano in modo complice, si sfiorano ma non si toccano, sussurrano ma sono in silenzio, si guardano dentro l’animo, sguardo invisibile, si stanno per baciare ma non ancora si baciano. E’ accaduto che si sono riconosciuti e non aspettano altro che dirselo con un bacio.

E’ tutto molto più grande di un bacio perché c’è tutto il prima e il dopo di un’azione, la completezza.

- L'attesa del piacere è essa stessa piacere.” Scrive Lessing.

E Montale addirittura afferma –“ in attendere è gioia più compiuta.”

Il tempo sospeso dell’attesa è una ricchezza inestimabile: “Waiting for a miracle” direbbe Leonard Cohen. Perché l’attesa si carica di sorpresa e la sorpresa, quando si rende manifesta crea stupore, come l’accadimento di un miracolo.

Prima di lasciarvi vorrei mostrarvi l’esatto contrario di tutto quello che è rappresentato nell’opera opera di Ron Hicks, perché sono convinta che per capire meglio il significato di qualcosa bisogna pensare a qual è il suo contrario, così come per sentire dentro il valore di qualcosa che hai, dall’aria che respiri alla persona amata, devi provare a starne senza.

E allora cogliamo insieme tutta la sagace ironia dello street artist Bansky in questa immagine dal titolo ‘Mobile lovers’.

Vi auguro di non baciare mai così, neanche dopo anni e anni e che ogni bacio sia sempre il primo, nuovo ogni volta, perché ‘primo’ non va inteso in senso temporale ma nel senso della sua unicità.

Credo che la finalità più importante di questo percorso a tratti attraverso i gesti consueti, per tempo negati, sia proprio quella di non abusare mai di un gesto svuotandolo del suo più profondo significato ma imparare a gustarne sempre e rispettosamente , per se stessi e per gli altri, la sua unicità.




MOBILE LOVERS , BANSKY