Critica letteraria e Psicoanalisi, oggi.Intervista a Benjamin Ogden



Contenuti tratti da :
Intervista a Benjamin Ogden, a cura di Maria Grazia Vassallo Torrigiani, Spiweb, febbraio 2016. :
http://www.spiweb.it/articoli-spi/6936-intervista-a-benjamin-ogden


 B.O. :
Il mio contributo esplora la logica piuttosto limitata su cui si basa la critica letteraria psicoanalitica e sostiene che c’è bisogno di una comprensione più sfaccettata dell’estetica e critica letteraria se si vuole che la psicoanalisi instauri un rapporto con la letteratura che non riduca la complessità letteraria ai dogmi psicoanalitici.
Non mi identifico del tutto in uno studioso di letteratura. Oggigiorno, gli studiosi sono ricercatori. Io mi considero uno scrittore, uno che scrive spesso di letteratura, ma che potrebbe farlo su qualunque altro argomento (se la mia tastiera dovesse portarmi in quella direzione).
Alla fin fine, la mia devozione è allo scrivere in sé, non alla letteratura o alla psicoanalisi o a qualsiasi altro soggetto.
Il mio interesse per la letteratura, quindi, deriva da ciò che mi offre in quanto scrittore.
 Sono stato certamente un lettore precoce da bambino e da adolescente per cui continuo a pensare che la mia passione per la letteratura sia all’origine del mio scrivere.
Non riuscirei a scegliere un singolo autore come particolarmente importante per me.
Nel corso della mia vita sono tornato a riflettere su alcuni scrittori: James Joyce, J.M. Coetzee, Kazuo Ishiguro, Philip Roth, Franz Kafka. In anni più recenti, altri autori sono stati fonte di ispirazione: Lucia Berlin, Donal Ryan, Alexandar Hemon, Flannery O’Connor.


M.G.V.T. .:
 Perché l'approccio psicoanalitico alla letteratura ha subito una marginalizzazione in ambito critico e accademico​ e come si potrebbe ripensarlo?

 B.O. : 
Gli studi letterari seguono delle mode, proprio come le seguono tutte le altre discipline accademiche. Determinati modi di pensare saranno sacri per un certo periodo, poi verranno sostituiti.
 La psicoanalisi è stata di moda per un po’, adesso non lo è.
 Per certi versi, voglio dire, la psicoanalisi sta semplicemente arrancando un po’, in una fase di impopolarità dovuta al naturale ciclo di vita di un settore disciplinare.
Parafrasando Robert Frost, la verità è in auge a momenti alterni.
Tuttavia, a essere onesti, la critica letteraria psicoanalitica è in parte responsabile della sua cattiva reputazione.
Ci sono due spiegazioni per questo fatto. In primo luogo, ogni qualvolta la psicoanalisi viene applicata alla letteratura, gran parte della sua complessità e qualità di esperienza tende ad andare perduta: la psicoanalisi diventa nient’altro che una serie di termini tecnici - “libido”, “formazione reattiva”, “transfert”, eccetera.- e la loro applicazione. A questo livello, la sola cosa che rende psicoanalitico un lavoro di critica letteraria è che in esso vengono usati termini psicoanalitici. Inevitabilmente, se un ambito disciplinare non è altro che una litania di termini specialistici, diventa rigido e alla fine privo di interesse. In secondo luogo, nel campo degli studi letterari, la psicoanalisi è essenzialmente Freud e Lacan, forse qua e là Jung o Klein. C’è scarsa consapevolezza degli sviluppi psicoanalitici contemporanei e di conseguenza, per coloro che si occupano di letteratura, la psicoanalisi si riduce poco più che a Freud e le sue applicazioni o altrimenti a un indirizzo semiotico di linguistica psicoanalitica. Se questa è la situazione, perché la critica letteraria psicoanalitica dovrebbe essere un campo di indagine attraente a cui dedicarsi?


M.G.V.T. .:
 Cosa pensa della tesi post-moderna sulla "morte" dell'autore, che non c'è niente oltre il testo e dobbiamo completamente dimenticarci della figura dell'autore?
Un testo è un’impresa creativo/ linguistica: non scaturisce da una mente/Sé che sta esprimendo il suo proprio mondo e che in qualche modo infonde al testo uno stile, una musica, un colore personale?


 B.O :
 Il titolo del saggio di Roland Barthes, “La Morte dell’Autore”, è così provocatorio e aforistico che è facile esagerare la posizione di Barthes, farlo diventare uno dei riformatori del ventesimo secolo alla stregua di un Nietzsche. Tuttavia, se lo contestualizziamo, ritengo che le ambizioni di Barthes non fossero così rivoluzionarie.
 Barthes scriveva per reazione alla pratica critica di cercare di individuare, a partire dall’opera, l’intenzione dell’autore - la visione politica, le dinamiche familiari, i desideri inconsci, le convinzioni religiose. 
Sostanzialmente, Barthes prese posizione contro la tendenza critica a trasformare i testi in riduttive allegorie dell’autore e della sua psicologia: in questo modo, il testo viene decodificato in relazione a una concezione monolitica dell’autore.
 La missione di Barthes era di liberare il testo dall’autore, affinchè potesse essere esplorata tutta la complessità dei testi e l’autore essere giustamente considerato come qualcuno che opera in un complesso sistema linguistico, non come un burattinaio che manovra un docile strumento.
In questo modo l’autore viene liberato anche dalla tirannia dell’interpretazione e può divenire irriducibile e sfaccettato come le sue opere.
Per rispondere alla sua domanda, il Sé/ Autore sta certamente cercando di esprimere se stesso usando il linguaggio, ma raggiunge questa espressione in gran parte attraverso una comprensione dei modi non deterministici in cui significato ed emozione ineriscono al linguaggio.

Qualsiasi aspetto di sé l’autore desideri esprimere, lo deve trovare nel linguaggioquesti aspetti devono essere riplasmati come linguaggio e ciò richiede una comprensione di come il linguaggio assume significato internamente.


Note.

Benjamin H. Ogden ,

Ha conseguito un PhD in letteratura presso la Rutgers University nel 2013. Attualmente è Assistant Professor of Literature and Humanities allo Steven’s Institute of Technology. Si occupa di letteratura del XX secolo, critica letteraria, stile ed estetica letteraria. Ha pubblicato lavori su J.M. Coetzee, Philip Roth, William Faulkner, Samuel Beckett e altri ancora.
Figlio del grande psicoanalista Thomas H. Ogden  (coautore, con Thomas H. Ogden, del libro : The Analysit’s Ear and the Critic’s Eye: Rethinking Psychoanalysis and Literature tradotto in italiano con il titolo L’orecchio dell’analista e l’occhio del critico. Ripensare psicoanalisi e letteratura, CIS editore 2013 http://www.ciseditore.it/Libri/SchedaLibriProf.asp?IDLibro=41).


Maria Grazia Vassallo Torrigiani 
psicoanalista, Società Psicoanalitica Italiana, studiosa dei rapporti tra psicoanalisi e arte contemporanea, a cui ha dedicato numerosi lavori e ricerche fra cui  Proiettare emozioni: percorsi tra cinema, video e psicoanalisi, ETS, Pisa 2008 .

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